sabato 8 ottobre 2011

Non per essere cinici a volte... ma poi la quotidianità

il famoso "discorso di Stanford" di Jobs ed in particolare la sua esortazione "stay hungry, stay foolish"  "ha fatto tornare in mente un passo della Recherche, dove Proust faceva notare come spesso, a fronte di discorsi simili, alla fine è più probabile che si finisca a fare comunque la vita di sempre, perché in fondo siao quello che siamo", 

Ne La prigioniera a proposito delle riflessioni di un uomo che deve battersi a duello Proust scrive:  


"Così ad esempio, proprio la mattina nella quale egli si deve battere a duello, in condizioni singolarmente pericolose, gli si rivela d'improvviso, nel momento in cui rischia di perderla, il valore di una vita della quale avrebbe potuto trar profitto per intraprendere un'opera, o almeno per gustare dei piaceri, ma di cui non ha saputo godere per nulla. "Ah! - egli si dice, - se mi salvassi, mi metterei subito al lavoro, senza perdere un attimo; e quanto mi divertirei anche!". La vita ha preso d'improvviso ai suoi occhi un valore nuovo, perche' nella vita egli mette tutto quanto sembra che possa dare, e non il poco che egli le fa fare di consueto. La contempla nella luce del suo desiderio, e non già quale l'esperienza gli ha insegnato che egli sapeva foggiarla: cioé, ben medicore! Essa si è riempita d'improvviso di lavori, di viaggi, di escursioni in montagna, di tutte le belle cose di cui egli si dice che lo priverebbe l'esito funesto di quel duello, senza pensare che ne era privo anche prima, per le sue cattive abitudini, che, anche senza quel duello, sarebbero continuate. Un'ora dopo, egli torna a casa, illeso; ma ritrova gli stessi ostacoli di prima ai piaceri, alle escursioni, ai viaggi, a tutto ciò di cui, per un istante, aveva temuto di essere privato per sempre dalla morte: a renderglieli impossibili basta la vita. Quanto al lavoro, dacchè le circostanze inconsuete non fanno che confermare quel che già preesiste in ciascuno di noi, l'attività nel laborioso e la pigrizia nell'infingardo, egli si dà vacanza".


Sappiamo che Proust non inventa mai nulla, ed anche questo passaggio è una rielaborazione di una sua esperienza personale: egli stesso infatti, il 6 febbraio 1897 aveva sfidato e si era battuto (coraggiosamente, come riconobbero tutti i suoi amici e in particolare Reynaldo Hahn) a duello con il giornalista Jean Lorrain che, dalle colonne deLe Journal lo aveva accusato di omosessualità.

E ancora: quando, nell'agosto del 1922 nel corso di un'intervista a L'Intransigeant il giornalista gli chiede "E se stesse per venire la fine del mondo [...] cosa fareste?"Proust risponde così:


Credo che la vita ci parrebbe improvvisamente deliziosa, se fossimo minacciati dalla morte, come voi dite. Pensate, in effetti, a tutti i progetti di viaggi, di amori, di studi che la nostra vita contiene in soluzione, invisibili alla nostra pigrizia la quale, sicura dell'avvenire, li rimanda continuamente.

Ma appena tutto questo rischierà di essere impossibile per sempre, come ridiverrà bello! Ah, basta che il cataclisma non avvenga per questa volta e non mancheremo di visitare le nuove sale del Louvre, di gettarci ai piedi di mademoiselle X..., di visitare le Indie. Il cataclisma non avviene e noi non facciamo nulla di tutto ciò, perchè ci troviamo reinseriti nella vita normale, in cui la negligenza smussa il desiderio. Eppure non avremmo dovuto aver bisogno del cataclisma per amare oggi la vita. Avrebbe dovuto bastarci il pensare che siamo esseri umani e che la morte può venire questa sera.

(Marcel Proust, intervista a L'Intransigeant, 14 agosto 1922. In Marcel Proust, Scritti mondani e letterari, a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini, Einaudi, I Millenni, 1984)

venerdì 7 ottobre 2011

Avere tutto ci fa male,

Quindi è attraverso la disciplina che in
qualche modo ci creiamo gli anticorpi per
resistere a questa società così opulenta e così
malata di indifferenza?
Il segnale che ci arriva di continuo in questa
società è: più consumi, più stai bene. Invece
non è così. Avere di più non incrementa il
nostro benessere, anzi spesso ci espone alle
grandi malattie di questo tempo: la mancanza di
relazione, il vuoto dei rapporti, le dipendenze di
ogni genere. Avere tutto ci fa male, ci fa bene
invece scegliere ciò che fa bene per noi: e in
questo ci aiuta la disciplina, che da una parte
ci contiene, ci spinge ad accontentarci di quello
che abbiamo, ad abbassare le pretese, e dall’altra
a compiere gesti sociali concreti.
Wolgang Fasser

giovedì 6 ottobre 2011

L’ho chiamata: “cascasse il mondo”.

Io mi sono dato una regola dentro la regola.
L’ho chiamata: “cascasse il mondo”. C’è
infatti un gesto che ripeto due volte al giorno e che farei anche in mezzo al terremoto.
Sento che mi fa bene, è la palestra giusta.
È il mio bisogno di nutrimento, di sostegno.
Mi piace fare questo perché mi dà energia e
continuità, mi distoglie dai problemi e dalle
soluzioni, mi ricorda che sono fragile ma
che tutto sommato non è un gran problema.
Pier Luigi Ricci

mercoledì 5 ottobre 2011

bramavo sempre di dare un senso alla vita


Dare un senso alla vita

Ho osservato tante volte il marmo che mi hanno scolpito – una nave alla fonda con la vela ammainata. In realtà non rappresenta il mio approdo ma la mia vita.
Perché l’amore mi fu offerto ma fuggii le sue lusinghe;
il dolore bussò alla mia porta ma ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma paventai i rischi.
Eppure bramavo sempre di dare un senso alla vita.
Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave.
Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vago desiderio – è una nave che anela al mare ardentemente ma ha paura.


[Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, "George Gray"]

martedì 4 ottobre 2011

La promozione umana, la lotta contro le ingiustizie


La mia porta e il mio cuore saranno aperti a tutti, assolutamente a tutti. Cristo è morto per tutti gli uomini: io non voglio escludere nessuno dal dialogo fraterno. Cristo vuole che tutti i cristiani operino per la liberazione dei loro fratelli. La fedeltà al Vangelo può essere vissuta solo nel servizio ai fratelli. La promozione umana, la lotta contro le ingiustizie, la conquista della dignità sono il modo con cui gli uomini possono contribuire alla salvezza e alla redenzione, per le quali il Signore ha donato la sua vita. Aiutiamoci a vicenda ad affrontare, con la grazia di Dio, la conversione dai nostri peccati e la conversione dai peccati collettivi delle strutture ingiuste. In unione completa e costante con Cristo, di conversione in conversione, fino alla fine della vita, si imparerà la spoliazione, si imparerà a perdonare, a vivere l’esperienza della croce, a sperare contro ogni speranza.
Marie Jo Hazard
da Helder Camara
Paoline editoriale libri, Milano 2005

lunedì 3 ottobre 2011

L'amore che Dio ha messo nei nostri cuori non fa distinzioni,


L'arte di amare

L'amore che Dio
ha messo nei nostri cuori
non fa distinzioni,
è un amore rivolto a tutti.

Non ammette discriminazioni
tra il simpatico o l'antipatico,
l'istruito o l'ignorante,
l'amico o il nemico...
Tutti vanno amati.

Ma c'è una misura in questo amore:
amare il prossimo come se stessi.
Mettere il prossimo sullo stesso piano nostro.
Ciò va preso alla lettera.

L'amore cristiano non è quello del mondo, dove spesso si ama
perché si è amati...

L'amore cristiano ama per primo, non aspetta di essere amato.
Come Gesù, che è morto in croce per noi.
Ci ha dato la vita, per primo.
         

Questa è la grande arte d'amare:
Amare tutti.
Amare come sé.
Amare per primi.

C'è poi un modo tipico e pratico per attuare questo amore:
è "farsi uno" col prossimo.
Soffrire con chi soffre, godere con chi gode,
portare i pesi altrui.
Farsi, in certo modo, l'altro: come Gesù che, Dio, si è fatto uomo, per amore.

Farsi uno con tutti, in tutto, tranne che nel peccato.
Vivere l'altro, vivere gli altri.
Questo è un grande ideale.

domenica 2 ottobre 2011

un Dio appassionato


È un canto d'amore appassionato questo che nel libro di Isaia passa come il canto alla vigna.
"Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?"
... vangata, sgombrata dai sassi... piantata di scelte viti, costruito una torre di difesa, scavato un torchio.
C'è una passione in questo canto d'amore. Così come c'è una passione nel padrone della vigna del Vangelo: manda i servi, e poi manda altri servi più numerosi dei primi, e poi... e poi manda il figlio... Che cosa poteva fare di più?
E l'immagine è trasparente: per questa vigna che è Israele, che siamo noi, che cosa Dio doveva fare di più?
E quando Dio dice queste parole sente dentro una passione, una passione che vibra, che lo fa fremere.
Come è bella -mi dicevo leggendo- questa immagine di Dio: un Dio appassionato! Non è un Dio asettico - la sovrumana indifferenza, l'impassibilità- ma un Dio innamorato della sua vigna, appassionato. Così appassionato che poi sembra di minacciare, farla finita, ma è perché vuole svegliare la vigna, vuole smuoverla: vuole svegliare noi, vuole smuovere noi.
Tant'è vero che anche quando minaccia, o sembra minacciare, gli sfugge quel possessivo "mio", che dice il persistere -nonostante tutto- di un legame, di un attaccamento, di un'alleanza, che non riesce a spezzare: "Ora voglio farvi conoscere" -dice- "che cosa sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo".
Don Angelo Casati