sabato 6 aprile 2013

la natura stessa della Chiesa, la quale - è vero - non è una 'democrazia', ma è e dovrebbe essere sempre di più - e questo è ancora più impegnativo - una 'comunione'.

«Ma se il diritto deve pure determinare chi ha la facoltà dell'ultima decisione, occorre anche capire come si debba giungere a questa decisione, se attraverso l'arbitrio (nel senso buono di 'responsabilità') del capo o non invece per maturazione comunitaria, se cioè l'ultima' parola - pur necessaria per il cammino di una comunità - possa essere tale (ultima) solo se ce ne sono state prima altre, così da non essere l'unica'.
La lunga, travagliata discussione conciliare sulla collegialità, non come sostituzione del primato del Papa (come qualcuno accusava i promotori, i quali - almeno al Vaticano II - non l'hanno mai pensato), ma come aiuto per un esercizio più intenso e più agevolmente accettato, ha in fondo portato a renderci conto di come una più larga partecipazione alla maturazione di tutte le decisioni risponda alla natura stessa della Chiesa, la quale - è vero - non è una 'democrazia', ma è e dovrebbe essere sempre di più - e questo è ancora più impegnativo - una 'comunione'.
Forse l'allontanamento o il disinteresse di tanta parte del popolo di Dio (a cominciare dai giovani) potrebbero essere alimentati anche dal non sentirsi coinvolti realmente nella gestione della Chiesa. Si potrebbe perfino giungere a riflettere sul fatto che la Chiesa ed ogni sua parte costitutiva dovrebbero invece diventare davvero testimonianza della SS. Trinità, di un unico Dio che è tale proprio perché è intima comunione di Tre Persone. Ogni forma di individualismo all'interno della Chiesa non solo rende più difficile l'esercizio della propria responsabilità, ma soffoca o quantomeno attenua la missione dell'annuncio di Dio nel creato».
Luigi Bettazzi, Non spegnere lo Spirito, 52-53 (anno: 1996)

venerdì 5 aprile 2013

Perché allora è una potenza, schiava come ogni potenza?


Io voglio sapere

se Cristo è mai stato creduto,

se l’evento è reale e presente,

se è venuto, e viene e verrà;

o sia appena un’invenzione

per un irreale giorno del Signore

di contro al cupo giorno dell’uomo.

Io voglio sapere

se veramente qualcuno crede

e come è possibile credere:

se almeno i fanciulli

– avanti ogni cultura –

vedono ancora la faccia del Padre.

Io voglio sapere

se l’uomo è una fiera

ancora alle soglie della foresta:

se la ragione è una rovina

se i fatti hanno una ragione

se la ragione è ancora utile.

Io voglio sapere

se ci sono ancora gli assoluti

o se io sono sacerdote

di colpevoli illusioni,

se è vero che saremo

finalmente liberi se saremo

ancora liberi se saremo mai liberi.

Io voglio sapere

se cantare è ancora possibile

se da ricchi canteremo ancora

se dipingere è ancora possibile

se la bellezza esisterà sempre,

se possibile sarà ancora contemplare.

Io voglio sapere

se la vita è solo meretricio

se il vostro vivere è appena una difesa

contro la vita degli altri:

se qualcuno, almeno qualcuno

crede che tutti gli uomini

sono una sola umanità.

Io voglio sapere

se l’uomo cresce

se c’è un altro avvenire

se la scienza non sia la morte

e la sua macchina non sia la nostra

bara di acciaio.

Io voglio sapere

se esiste una forza liberatrice:

se almeno la chiesa non sia

la tomba di Dio,

l’ultima sconfitta dell’uomo.

Io voglio sapere

se la pace è possibile

se giustizia è possibile

se l’idea è più forte della forza:

quest’uomo bianco,

il più feroce animale

sempre all’assalto

contro ogni altro uomo

o maledetta Europa.

Io voglio sapere

se Cristo ha ancora un senso

chi ha fede ancora in un futuro.

Io voglio sapere

se Cristo è veramente risorto

se la chiesa ha mai creduto

che sia veramente risorto.

Perché allora è una potenza,

schiava come ogni potenza?

Perché non batter le strade

come una follia di sole,

a dire: Cristo è risorto, è risorto?

Perché non si libera dalla ragione

non rinuncia alle ricchezze

per questa sola ricchezza di gioia?

Perché non dà fuoco alle cattedrali,

non abbraccia ogni uomo sulla strada

chiunque egli sia,

per dirgli solo: è risorto!

E piangere insieme,

piangere di gioia?

Perché non fa solo questo

dire che tutto il resto è vano?

Ma dirlo con la vita con mani candide

occhi di fanciulli.

Come l’angelo dal sepolcro vuoto

con la veste bianca di neve nel sole,

a dire: «Non cercate tra i morti

colui che vive!».

Mia chiesa amata e infedele,

mia amarezza di ogni domenica,

chiesa che vorrei impazzita di gioia

perché è veramente risorto.

E noi grondare luce

perché vive di noi:

noi questa sola umanità bianca

a ogni festa

in questo mondo del nulla e della morte. Amen.
David Maria Turoldo

giovedì 4 aprile 2013

allora saprò pregare anche nel momento della grande tentazione che è la sofferenza

Signore, sono limitato in tutto: salute, conoscenze, abilità. 
Ma l’amore, in me, non ha limiti, se non quelli imposti dal mio egoismo... 
Signore ho fuggito la santità, ho avuto paura, sono sceso a compromessi, ho esitato, calcolato, quando c’era invece bisogno di dare tutto...  
Signore, eccomi qui: con tutta la mia viltà e i miei sciocchi desideri. Dammi il tuo aiuto. Ho bisogno della tua bontà infinita. Dimentica il cattivo amico che sono stato... 
Desidero iniziare con Te un’amicizia nuova, un’amicizia giovane e ardente, un’amicizia in cui tutto è in comune, un’amicizia per la vita e per la morte... 
Signore, ponimi di nuovo al posto di combattimento, in un luogo dove io possa resistere con fermezza, con l’aiuto della tua grazia, della tua forza... 
(Pierre Lyonnet)
Del gesuita Pierre Lyonnet, nato in Francia nel 1906, sappiamo davvero poche cose. Ma ci bastano. Gravemente malato fin dagli anni del suo noviziato, fu ordinato prete nel 1937. Alternò a lunghi soggiorni in clinica il suo servizio presso lo studentato di Fourvière e nel 1939 presso il collegio di Saint Etienne, dove morì il 23 gennaio 1949. Conserviamo di lui testi di intensa spiritualità. Come questo, davanti al Crocifisso: 
“Ora, Signore, non prego più: 
ti invito ad ammirarmi. 
No, mio Dio, non vi sono ricchezze in me 
che tu non ve le abbia poste, 
nessuna virtù che non sia dalla tua grazia. 
Custodiscimi umile e forse allora saprò pregare 
anche nel momento della grande tentazione 
che è la sofferenza”. 

mercoledì 3 aprile 2013

Ma se non siamo colpiti personalmente, noi passiamo avanti a tutte le conseguenze della crisi.

Come ritenere estraneo alla religione un fatto come la crisi, che interessa tutti, sconcerta tutti e fa soffrire tutti? Lo studieremo considerandolo sotto tre aspetti: i nostri torti come maestri cristiani di fronte alla crisi; gli effetti materiali della crisi e i nostri doveri come maestri cristiani di fronte alla crisi. Il primo torto è di occuparci della crisi soltanto personalmente. Quando siamo colpiti, mettiamo per esempio da una diminuzione di stipendio, allora, sì, esiste la crisi. Ma se non siamo colpiti personalmente, noi passiamo avanti a tutte le conseguenze della crisi. Con quella spaventosa indifferenza che l’egoismo sa trovare. Il secondo torto è di non occuparci della crisi religiosamente, ossia di non sentire le influenze disastrose che la crisi porta nel mondo religioso. È l’incapacità di vedere tutto in una visuale cristiana. Si è tentati di chiedere: «Ma la crisi non fa bene religiosamente? Se i cristiani parlano sempre di sofferenza, se la considerano come la strada regia per arrivare al cielo, questa crisi tremenda avvicinerà ancor di più a Dio»
don Primo Mazzolari

martedì 2 aprile 2013

Aiuta, insicuro. Tenta, benché insicuro, perché insicuro. Vedi se puoi reprimere il ribrezzo e la noia dei nostri dubbi e delle nostre certezze

Non spaventarti se il lavoro è molto: 
C’è bisogno di te che sei meno stanco. 
Perché hai sensi fini, senti 
Come sotto i tuoi piedi suona cavo. 
Rimedita i nostri errori: 
C’è stato pure chi, fra noi, 
S’è messo in cerca alla cieca, 
Come un bendato ripeterebbe un profilo. 
Che ha salpato come fanno i corsari, 
E ha tentato con volontà buona. 
Aiuta, insicuro. 
Tenta, benché insicuro, 
Perché insicuro. Vedi 
Se puoi reprimere il ribrezzo e la noia 
Dei nostri dubbi e delle nostre certezze. 
Mai siamo stati così ricchi, eppure 
Viviamo in mezzo a mostri imbalsamati. 
Ad altri mostri oscenamente vivi. 
Non sgomentarti delle macerie 
Né del lezzo delle discariche: noi 
Ne abbiamo sgomberate a mani nude 
Negli anni in cui avevamo i tuoi anni. 
Reggi la corsa, del tuo meglio. Abbiamo 
Pettinato la chioma alle comete, 
Decifrato i segreti della genesi, 
calpestato la sabbia della luna, 
Costruito Auschwitz e distrutto Hiroshima. 
Vedi: non siamo rimasti inerti. 
Sobbarcati, perplesso. 
Non chiamarci maestri. 
(Primo Levi, Delega). 

lunedì 1 aprile 2013

non far della tua vita solo un inutile eterno rimpianto



Vivi così

Prendi i tuoi sogni
e raccontali a chi sa capire,
apri la tua anima
a chi non ti farà mai del male.

Prendi la tua voce
e parla serena delle tue paure,
porgi il tuo ascolto
a chi sa dirti solo la verità.

Prendi il tuo cuore
e sappi sempre perchè batte,
offri il tuo "eccomi!"
a chi saprà che cosa farsene.

Prendi il tuo sorriso
e regalalo a chi lo desidera,
dona il tuo sguardo
a chi ti cerca con il suo.

Prendi i tuoi giorni
e fa di loro un radioso disegno,
distendi le tue ali
e impara a volare più in alto.

Prendi quel che sei
e adoperalo con saggezza,
sii sempre pronta
a comprender ciò che non sai
per non far della tua vita solo
un inutile eterno rimpianto.

Calizan

domenica 31 marzo 2013

la libertà è altrove

Ho sete della mia libertà
e qui non è facile ottenerla,
anzi qui dentro, non esiste;
la libertà è altrove,
nell'amore, nella gentilezza,
e più che mai nella fede.
(Alda Merini)