sabato 12 marzo 2011

Stanchezza


« Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti e' dolce e il mio carico leggero » Matteo 11, 25-30
Siamo tutti malati.
Una malattia piuttosto strana, almeno nelle sue cause, anche se molto diffusa: la stanchezza.
C'è il peso della strada già percorsa che si fa sentire.
Il peso degli incidenti di viaggio.
Il peso delle delusioni, delle incomprensioni.
Il peso degli insuccessi.
Il peso delle persone.
Il peso di un ambiente meschino.
Il peso dell'ingiustizia.
Il peso della falsità.
Il peso della sfiducia.
Tutto ciò - e altro ancora - si accumula, si aggruma e, più che schiacciarti, ti intorpidisce, ti appanna la vista, ti svuota della tua sostanza, ti asciuga le energie.
La strada, allora, perde ogni interesse. L'unico interesse che può presentare è ormai quello di rintracciare un posticino dove adagia­re la propria stanchezza.
Si è come spenti.
Non si ha più voglia di nulla, salvo la voglia di « lasciarsi andare »
Basta così.
Non vale la pena.
Non è il caso di insistere. Per quello che si ricava...
C'è ancora un senso in tutto ciò?
Che cosa si ottiene a disturbare la quiete pubblica?
Che cosa si guadagna ad essere sinceri?
Paga ancora l'onestà, il senso del dovere?
Non è il caso di insistere.
Non vale la pena di lottare per queste cose.
Meglio mettersi tranquilli.
Ne ho abbastanza.
Un'esperienza del genere è stata vissuta, molti secoli fa, dai profeta Elia. Il racconto che troviamo nell'Antico Testamento ha valore di simbolo anche per noi.
« ... Egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire disse:
- Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri.
Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco, un an­gelo lo toccò e gli disse:
- Alzati e mangia!
Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi. Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse:
- Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, cam­minò per quaranta giorni e quaranta notti... » (1 Re 19, 4-8).
« Ora basta, Signore...
Poco oltre dirà: « Sono rimasto solo ».
Si è scavato il vuoto attorno a me.
E si sta scavando il vuoto dentro di me.
Ciascuno di noi ha a disposizione un ginepro sotto cui disten­dere la propria sfinitezza e addormentarsi.
Il ginepro della rassegnazione, delle abdicazioni, della medio­crità, della facilità, dell'indifferenza...
Qual è la risposta che il Signore dà alla stanchezza di Ella?
Non è una risposta consolatoria, nonostante le apparenze.
C'è, sì, un intervento che rivela la paterna preoccupazione di Dio per il suo profeta, il quale si ritrova a portata di mano una focaccia e una brocca d'acqua.
Ma c'è anche una proposta che suona provocatoria: devi per­correre tanta strada (anzi « troppa »).
E, soprattutto, il profeta che casca dal sonno, non può dormire in pace.
«~Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino ».
Dio ci libera dalla malattia della stanchezza adottando una cura decisamente insolita.
Prima di tutto, ci rivela le cause della nostra stanchezza. Ed è una scoperta per lo meno singolare.
Ci dice. Non sei stanco per ciò che hai fatto, ma per il troppo che non hai fatto.
Non sei stanco per la strada percorsa, ma per la troppa strada che ti resta da percorrere.
La tua è una stanchezza da non-affaticamento, stanchezza da ec­cessivo riposo, da sedentarietà assoluta.
Sei sfinito a forza di non muoverti. Spossato a furia di rimanere fermo.
La tua stanchezza è provocata non dal peso del lavoro, ma da quello del non-lavoro.
La stanchezza non ce l'hai dietro, ma... davanti.
Non è dovuta al passato, ma all'avvenire che rifiuti.
Sei stanco di ciò che non hai fatto, che non intendi fare.
Sei stanco di ciò che non intendi essere.
Sei stanco perché non hai il coraggio dei tuoi sogni.
Sei stanco perché non cammini.
E poi, sì, dopo questa sbalorditiva, scandalosa diagnosi del male, Cristo ci offre anche un ristoro:
« Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò».
Finalmente!
« ... Prendete il mio giogo sopra di voi... »Bel modo di curare la stanchezza...
Invece di alleggerirci il carico, invece di offrirci le sue carezze, il Signore ci regala il suo giogo. E anche se è « dolce », pur sem­pre di giogo si tratta.
Non ce la facciamo più. E Lui ci appioppa un carico supple­mentare, sia pure « leggero ».
E il pane?
Il pane che ti fortifica, dovresti averlo capito, è la strada.
« Io sono il pane vivo, disceso dal cielo » (Gv 6, 51), assicura Gesù.
Lui, dunque, è il pane.
Ma Lui, non dimentichiamolo, è anche la strada. « Io sono la via » (Gv 14, 6).
Dunque, mangiando Lui, noi ci nutriamo della nostra strada.
La strada diventa il nostro alimento. La strada diventa il rime­dio della nostra stanchezza.
« Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino ».
(Questo Dio che non ti lascia dormire, che non ti permette di cullare in pace la tua stanchezza...).
Cammina, dunque. Più sarà lunga e impegnativa la strada che intendi percorrere, e più avrai tempo a disposizione per lasciarti dietro la stanchezza...

di Alessandro Pronzato 

ma il corpo ricorda ed è grato


il sentimento di felicità può essere di natura assolutamente fisica: il contatto con gli elementi, l'aria, l'acqua, la terra, gli odori. La nostra memoria consapevole non trattiene tutte queste percezioni, ma esse rimangono inscritte nel corpo. Non ricordiamo quando, dove quel vento ha sfiorato la nostra pelle, né la carezza dell'aria, né il caldo del sole, né gli odori della natura. Di tutto ciò non ricordiamo né il giorno, né l'ora, ma il corpo ricorda ed è grato. Ed è così che in noi si viene mano a mano stratificando "una memoria immemorabile di piacere", un inconscio sentimento di soddisfazione che senza alcuna intenzione si trasforma in puro e semplice piacere di vivere.
Salvatore Natoli - L'attimo e il bene

venerdì 11 marzo 2011

tardi ci si accorge

La vita di ognuno 
è un'attesa.
Il presente 
non basta a nessuno.
In un primo momento, 
pare che ci manchi 
qualcosa.
Più tardi 
ci si accorge 
che ci manca 
Qualcuno.

E lo attendiamo.

don Primo Mazzolari

tu puoi indicarla ad altri

Solo Dio può dare la fede...
ma tu puoi dare la tua testimonianza.
Solo Dio può dare la speranza...
ma tu puoi restituirla a tuo fratello.
Solo Dio può dare l'amore...
ma tu puoi insegnare ad amare.
Solo Dio può dare la pace...
ma tu puoi seminare l'unione.
Solo Dio può dare la forza...
ma tu puoi incoraggiare lo scoraggiato.
Solo Dio è la via...
ma tu puoi indicarla ad altri.
Solo Dio è luce...
ma tu puoi far sì che brilli agli occhi di tutti.
Solo Dio è vita...
ma tu puoi far sì che fiorisca il desiderio di vivere.
solo Dio può compiere l'impossibile...
ma tu puoi fare il possibile.
Solo Dio basta a se stesso...
ma preferisce contare su di te.


chi dirà al principe il fatto suo

Non occorre che il profeta si prepari a governare: non è, infatti, una specie di leader dell'opposizione. Suo compito è quello di inquietare tanto le opposizioni quanto i poteri stabiliti. Ed è una vera disgrazia quando le rare forze di opposizione profetica diventano politiche, perché in tal caso, chi dirà al principe il fatto suo se il profeta si adegua a lui?
Abbè Pierre

In vita, amico, in vita

Non attendere che la gente muoia
per volerle bene e perché senta il tuo affetto.
In vita, amico, in vita.
Sarai più felice,
se impari a far felici
tutti quelli che conosci...
In vita, amico, in vita.
Non visitare sepolcri, non riempire di fiori le tombe,
ricolma i cuori d'amore...
In vita, amico, in vita.
(A. Rabate)

rischiare, disturba sempre

Accogliere è sempre rischiare, disturba sempre. Ma Gesù non viene forse a disturbarci nelle nostre abitudini, nei nostri comodi, nelle nostre stanchezze?
Accogliere non è per prima cosa aprire la porta della porta casa, ma aprire le porte del proprio cuore, e con questo diventare vulnerabili. E' uno spirito, un atteggiamento interiore. E' prendere l'altro all'interno di sé, anche se è una cosa che disturba e toglie sicurezza; è preoccuparsi di lui, essere attenti, aiutarlo a trovare il suo posto ... (Jean Vanier)

giovedì 10 marzo 2011

lettera per lettera

Quand'uno legge uno scritto di cui vuol conoscere il senso, non ne disprezza i segni e le lettere, né li chiama illusione, accidente e corteccia senza valore, bensì li decifra, li studia e li ama, lettera per lettera. Io invece, io che volevo leggere il libro del mondo e il libro del mio proprio Io, ho disprezzato i segni e le lettere, a favore d'un significato congetturato in precedenza, ho chiamato illusione il mondo delle apparenze, ho chiamato il mio occhio e la mia lingua fenomeni accidentali e senza valore. No, tutto questo è finito, ora son desto, mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta.

Hermann Hesse, Siddharta.

adesso che calata è la nebbia

E' strano vagare nella nebbia!
Isolata è ogni pietra, ogni cespuglio;
non c'è albero che l'altro veda,
tutti sono soli.
Pieno di amici era i mio mondo
quando chiara era la vita mia,
adesso che calata è la nebbia
non ne vedo più nemmeno uno.
Certamente non può essere saggio
chi non conosca le tenebre che, ineluttabili e lievi,
da tutto lo separano.
E' strano vagare nella nebbia!
La vita è solitudine.
Non c'è uomo che l'altro conosca,
tutti sono soli...
(Hermann Hesse: in Pellegrinaggio d'Autunno)

il pastore che non aveva nulla

Ai tempi di Erode, la notte in cui nacque Gesù, gli angeli portarono la buona notizia ai pastori. C'era un pastore poverissimo, tanto povero che non aveva nulla. Quando i suoi amici decisero di andare alla grotta portando qualche dono, invitarono anche lui. Ma lui diceva: "Io non posso venire, sono a mani vuote, che posso fare?". Ma gli altri tanto dissero e fecero, che lo convinsero. Così arrivarono dov'era il bambino, con sua Madre e Giuseppe. Maria aveva tra le braccia il bambino e sorrideva, vedendo la generosità di chi offriva cacio, lana o qualche frutto. Scorse il pastore che non aveva nulla e gli fece cenno di venire. Lui si fece avanti imbarazzato. Maria, per avere libere le mani e ricevere i doni dei pastori, depose dolcemente il bambino tra le braccia del pastore che era a mani vuote... (Silvano Fausti)
Dio ti ama.
Gli interessi personalmente,
continuamente,
appassionatamente,
prova la tua gioia in te.
Gli sei necessario,
il tuo cuore lo rallegra,
la tua indifferenza lo stupisce,
la tua amarezza lo strazia.
Vuole con te una relazione continua.
Se non credi a questo,
se non ti senti sollevato da questa certezza
significa che non hai capito
che Dio è Padre. (Louis Evely)
VIVERE IN POVERTA'Per l'annunciatore del Vangelo non è un consiglio.
E' un ordine del Signore Gesù.
Uno non è ciò che ha, ma ciò che dà.
Chi ha cose, dà cose, chi ha nulla, dà se stesso ed è se stesso.
La povertà è condivisione e solidarietà,
non ti permette di dominare.
Ti costringe a servire e ti rende umile.
Ti libera dagli idoli del mondo:
l'avere, il potere, l'apparire.
Ti fa porre la fiducia nel Padre.
(Silvano Fausti)

Io bacio


Baciare la fronte – è cancellare la noia.
Io bacio la fronte.
Baciare gli occhi – è distruggere l’insonnia.
Io bacio gli occhi.
Baciare le labbra – è dare da bere.
Io bacio le labbra.
Baciare la fronte – è cancellare la memoria.
Io bacio la fronte.

(Marina Cvetaeva 

lingue senza alfabeto

I volti sono l' interiorità nascosta, i sensi,la maschera del non detto.
I volti sono francobolli vidimati dal tempo,
uno scandalo che denuda i pensieri e le intenzioni.
I volti sono ricordi che deridono il loro passato.
I volti sono una pozione chimica in cui circolano le domande.
I volti sono lingue senza alfabeto.
I volti sono lettere che restano sempre chiuse.
(Amal Al-Juburi)

mercoledì 9 marzo 2011

Svincolarsi dalle catene del rumore


Pregare è saldare il silenzio delle stelle
con il frastuono dei giorni.
Svincolarsi dalle catene del rumore
e scoprire le nostre musiche sotterranee.
Pregare è aprire un passaggio,
come si apre una chiusa o una diga;
aprire, nella trama dei giorni,
delle finestre su Dio,
fino a rendere la nostra vita porosa
alla vita di Dio,
fino a creare una osmosi,
uno scambio, un travaso di vita.
Pregare è indovinare la presenza
dell'eterno Assente,
e sapersene meravigliare,
e saperla respirare.

Ermes Ronchi

il mio rientrare in me stesso


Signore, solo tu conosci fino in fondo
quello che sono, quello che sento, quello che vivo...
Fa' che il mio rientrare in me stesso
di cui ogni tanto sento il bisogno,
non sia un rifugiarmi lontano da tutti e lontano da Te
per starmene solo e pensare ai fatti miei,
ma un incontrare più profondamente Te e gli altri.
Varie volte ho già fatto esperienza
che quando non mi lascio visitare dagli altri manca qualcosa:
la mia gioia, quando sono nella gioia, non è piena;
la mia fragilità, quando sono nella debolezza,
è coperta dalla paura o dall'ipocrisia.
Insegnami a lasciarmi guardare, a lasciarmi accogliere, a lasciarmi amare.
Così diventerò più umano, più me stesso:
nella crescente comunione con gli altri,
in una relazione personale che mi renda sempre più autentico.

martedì 8 marzo 2011

il silenzio ha un suo eros e un suo proprio linguaggio

Una riflessione di Eugenio Borgna sulla differenza fra la solitudine che si nutre di silenzio e l'isolamento che è impastato di mutismo: "Nella solitudine, così ricca di vita interiore, il silenzio ha un suo eros e un suo proprio linguaggio: dice le nostre malinconie, le angosce, le speranze inespresse, i timori, le attese. Dice i nostri desideri più autentici. Il silenzio ha mille modi di manifestare qualcosa e di nasconderla, di indicare e di alludere, di avvicinarsi e di allontanarsi, di affascinare e di intimorire. Quando invece si è isolati, distaccati dal mondo, monadi dalle porte e dalle finestre chiuse, non si hanno pensieri ed emozioni da trasmettere agli altri. Senza più parole, si sprofonda in un mutismo che ha un'unica dimensione: quella dell'insignificanza"

Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse

Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: "Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".
E il cielo si abbassa di un altro palmo.
Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.
Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole.
Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?"
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E' un'avventura, ricostruire se stesse. La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi.
Ma soprattutto per noi stesse".
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre.

Quando meno te l'aspetti.
..

DONNE IN RINASCITA
di Jack Folla

Dove è che corre, non sarà stanca?


Ritratto di donna

Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l'unica al mondo.

Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
Ingenua, ma ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l'avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serva questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.

Tiene nelle mani un passero con l'ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.

Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l'amor del cielo!
-- Wislawa Szymborska

lunedì 7 marzo 2011

passavo sull'orlo del loro fascino, senza neppure guardare, e tantomeno sorridere


La timidezza...La verità è che vissi molti dei miei primi anni, e forse dei miei secondi e dei miei terzi, come una specie di sordomuto. Ritualmente vestito di nero sin dalla prima adolescenza, come si vestivano i veri poeti del secolo scorso, avevo la vaga impressione di non essere poi tanto male d'aspetto. Ma, invece di avvicinarmi alle ragazze, sapendo che mi sarei messo a balbettare o sarei arrossito davanti a loro, preferivo scantonare quando le vedevo e allontanarmi mostrando un disinteresse che ero ben lungi dal provare. Erano tutte un gran mistero per me. Io avrei voluto morire bruciato in quel rogo segreto, affogare in quel pozzo di enigmatica profondità, ma non avevo il coraggio di gettarmi nel fuoco o nell'acqua. E siccome non incontravo nessuno che mi desse uno spintone, passavo sull'orlo del loro fascino, senza neppure guardare, e tantomeno sorridere.......La timidezza è una condizione strana dell'anima, una categoria, una dimensione che si apre verso la solitudine. E' anche una sofferenza inseparabile, come se si avessero due epidermidi, e la seconda pelle interiore s'irritasse e contraesse di fronte alla vita. Fra le compagini umane, questa qualità o questo difetto fa parte di un insieme che costituisce nel tempo l'immortalità dell'essere.

Pablo Neruda, da "Confesso che ho vissuto"

La fortezza è allora molto necessaria oggi e tutti i giorni

...tutti noi abbiamo momenti di paura, di ansia, di angoscia. Chi non soffre, nel compiere il bene, tentazioni di ripugnanza, di disgusto? chi non è a volte legato dalla timidità, soprattutto in situazioni pubbliche difficili? Spesso la paura ci impedisce di compiere ciò che sappiamo essere bene o giusto, oppure non ci permette di parlare. Noi preferiamo usare i termini "conformismo" e "rispetto umano"; ma si tratta, in realtà, di paura.
...

In quale modo possiamo vincere le paure, superare il rispetto umano, mostrare coraggio?
Enuncio  cinque tesi:
1. la fortezza suppone la nostra vulnerabilità; posso, cioè, essere forte e coraggioso perché sono vulnerabile.
2. La fortezza è riferita, in ultima analisi, all'ultima vulnerabilità dell'uomo: la morte. La fortezza è, appunto, la virtù che ci fa superare la paura della morte.
3. Di conseguenza, per il cristiano la fortezza si riferisce in maniera privilegiata al martirio: dare la vita, affrontare la morte per il sommo bene e per evitare il sommo male che è il peccato, la perdita della fede, il tradimento di Dio.
4. La fortezza non è semplicemente una forma di audacia, di spavalderia che fa stringere i denti in uno sforzo eroico. È, invece, un abbandonarsi in pace a Dio, sapendo che siamo deboli, fragili; è distensione del cuore, pace interiore.
5. La fortezza si esprime al meglio nel resistere, nel vivere la virtù cristiana della pazienza, e non nell'aggressività dell'attacco (si è forti perché si attacca). La grandezza d'animo del cristiano e la sua magnanimità si rivelano nella paziente fortezza.
...È una grazia da implorare quotidianamente con umiltà, sapendo che non possiamo acquistarla puramente con le nostre forze, dal momento che siamo segnati dal peccato originale, dalla paura, dal compromesso, dall'egoismo.
...San Tommaso, citando Aristotele, scrive: "È principalmente nel resistere alla tristezza che alcuni sono detti forti". Resistenza quindi alla tristezza, al tedio, all'accidia, che ostacolano il compimento del bene...
....c'è la quotidianità, nella quale dobbiamo resistere nel nostro dovere, nel nostro lavoro, nel fare il bene malgrado tristezze, fatiche fisiche, psicologiche, malinconie, forse nostalgie di situazioni diverse. Dobbiamo resistere nel bene non solo quando ci sono i nemici interni, come appunto la fatica e la frustrazione, ma pure quando i nemici vengono dall'esterno: incomprensioni, maldicenze, strumentalizzazioni, calunnie. E dobbiamo resistere nella pace, perché è questo il dono della fortezza.
La fortezza è allora molto necessaria oggi e tutti i giorni. È necessaria soprattutto in una società molle, flaccida, paurosa, in cui ci si spaventa di fronte alla prima difficoltà, nello studio, nel lavoro, nella vita coniugale, nella vita comunitaria. È virtù di tutti i giorni, perché non c'è bontà senza fortezza, non c'è giustizia senza questa capacità di resistere al logorio quotidiano. Proprio nella quotidianità si esprime la magnanimità del cristiano, la sua capacità di sopportare, per amore e con la grazia di Dio, situazioni pesanti e ingrate.
...la stessa salute psicologica viene minata dalla mancanza di fortezza. Perché chi è debole e, anziché chiedere a Dio il dono della fortezza, si lascia vincere dalla scontentezza, dalla divisione interne, o chi crede di essere forte e perciò è ancora più debole, finisce per logorare il suo fisico e la sua psiche.
In Dio solo è la nostra fortezza. Tu .sei la mia fortezza, il mio baluardo, il mio scudo di salvezza: tu solo, Signore!
Carlo Maria Martini LE VIRTÙ-
LA FORTEZZA

risollevarsi la settima per rivoltare il suolo pietroso

ELOGIO DELLA DIMENTICANZA

Buona cosa è la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalle madre che lo ha allattato?
Che gli ha dato le forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova?

Oppure come farebbe l’allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere?
Quando il sapere è dato
l’allievo deve mettersi in cammino.

Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l’hanno costruita
la casa sarebbe troppo piccola.

La stufa riscalda. Il fumista
non si sa più chi sia. L’aratore
non riconosce la forma di pane.

Come si alzerebbe l’uomo al mattino
senza l’oblio della notte cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo?

La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.

da “Poesie” di Bertolt Brecht

la virtù della prudenza viene dallo Spirito santo...

-Prudenza è l'equivalente di sapienza: saper comprendere gli avvenimenti e le scelte umane da fare, alla luce del Signore.
-Prudenza vuol dire anche discernimento...proprio di chi ha lo spirito della sapienza di Dio, distingue nei comportamenti quelli che rispondono al Vangelo da quelli che sono lontani da esso.
-Prudenza significa senso di responsabilità, cioè agire facendosi carico delle conseguenze delle proprie azioni.
-la prudenza ha... un altro concetto che sarà ripreso da san Tommaso: quello del decidere con realismo e concretezza, del non tentennare, del non aver paura di osare. È ben diverso dal nostro concetto di prudenza che invita a esitare, a essere cauti!


...la virtù della prudenza viene dallo Spirito santo...
La virtù della prudenza viene anche dall'esercizio del discernimento, dall'esercitarci a giudicare con oggettività secondo Dio.
...viene pure da una certa abitudine al silenzio, alla calma, evitando la precipitazione nei giudizi e nelle azioni...


La prudenza genera dunque saggezza di vita, armonia, tranquillità d'animo e serenità, ordine, chiarezza, pace interiore e ci rende capaci di guardare a ciò che è essenziale
Card. Martini- Le virtu- La prudenza

domenica 6 marzo 2011

Quando pronuncio

Le tre parole più strane

Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba già va nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.


Wislawa Szymborska

determinazione dei comportamenti fondamentali che rendono morale l'esistenza umana

Parlare del futuro da credenti comporta la scoperta che è indispensabile ad una vita cristiana coerente sviluppare delle abitudini buone; l'al di là infatti è già cominciato, come ci ha promesso con chiarissime parole il Signore prima di risuscitare Lazzaro (Gv 11, 23-27). E dunque colui che vuoI vivere da discepolo deve 
badare alla limpidità del suo cuore, 
allenare la sua intelligenza a comprendere se stesso, 
operare per acquisire 
quegli atteggiamenti che diventano spontanei 
per dono di Dio e per libera accettazione dell'uomo. 
Le virtù consentono 
la facilità dei giudizi, 
la chiarezza dei sentimenti, 
l'immediatezza delle scelte...
L'oggi diviene allora il tempo che il Signore ci concede perché si prepari il futuro; e giacché ci fidiamo di Lui e delle sue promesse, è indispensabile che percorriamo il presente come veri figli di Dio, che sanno di avere una patria altrove, e proprio per questo vivono nella patria terrena con la capacità di distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo.
E le virtù sono per i cristiani l'aiuto quotidiano a compiere con immediatezza e semplicità le scelte giuste, che dichiarano nei fatti ciò che costruisce per l'eterno...

...chi, avendole ascoltate e pregate imparerà a praticarle, sarà beato, come ha promesso il Signore, come dice la Buona Novella.
Giovanni Giudici


...Comprendiamo allora che una riflessione sulle virtù non ci aiuta semplicemente ad approfondire la nostra conoscenza catechetica o teologica, bensì ci permette di vivere meglio, di impegnarci a essere più buoni, più giusti, più veri, perché ci appassionano al meraviglioso disegno che Dio ha su ciascuno di noi, disegno di espansione umana e divina.
...C'è un secondo vantaggio a riflettere sulle virtù. Non solo esse ci appassionano al disegno di Dio su di noi, ma ci aiutano a mettere ordine nella nostra vita, per chiarire ciò che è bene (virtù) e ciò che è male (vizio). I grandi atteggiamenti della vita secondo Cristo ci fanno distinguere - nella quotidianità personale, familiare, sociale, ecclesiale - i comportamenti positivi dai negativi, ci fanno discernere il meglio dal mediocre (non solo il bene dal male), l'autentico dal falso, dallo spurio, dal non genuino. L'operazione non è sempre facile, ed è proprio una buona dottrina sulle virtù quella che insegna a dire per esempio: questi giovani che stiamo educando sono su una strada autentica; oppure: questi ragazzi non vanno bene e dobbiamo cambiare metodo.
Carlo Maria Martini