sabato 8 febbraio 2014

un compiersi positivo dell'intera storia umana con l'insieme del suo ambito culturale e naturale

le speranze temporali partendo dalla speranza eterna 

1. Seguendo Gesù
e affidandoci totalmente a lui
possiamo sperare anzitutto
in un compiersi positivo dell'intera storia umana
con l'insieme del suo ambito culturale e naturale.
Possiamo sperare in una raggiunta definitiva
armonia delle realtà
umane, sociali, naturali
nella pienezza del regno di Dio.

venerdì 7 febbraio 2014

Difficilmente evitiamo, nella pratica, l'uno o l'altro dei due estremi perché siamo limitati e ci riesce difficile abbracciare d'un solo colpo tutto l'orizzonte dell'uomo


La speranza cristiana rischia anch'essa una duplice riduzione:
o alle sole attese celesti per l'altra vita,
o (almeno come concentrazione psicologica) alle - anticipazioni terrene (il regno di Dio è già tutto qui!), come in alcune proposte di teologia politica.
Difficilmente evitiamo, nella pratica, l'uno o l'altro dei due estremi
perché siamo limitati e
ci riesce difficile abbracciare d'un solo colpo tutto l'orizzonte dell'uomo.
Dobbiamo continuamente riequilibrare il nostro pensiero
e il nostro linguaggio per cogliere l'unità
che tiene insieme le speranze terrene - di cui la Bibbia parla spesso -
con quelle invisibili, definitive,
che danno il sapore a tutto il resto.
Tra le due non c'è opposizione,
bensì continuità
e, se è comprensibile qualche oscillazione
nell'accentuazione della speranza dei cristiani
(a volte più sull'altra vita,
a volte più sui beni messianici di questa vita come anticipazione del mondo futuro),
non possiamo mai permettere
la mancanza di speranza, la rassegnazione amara, lo scetticismo.
Precedentemente abbiamo parlato di ciò che speriamo nella morte e dopo la morte;
ora diciamo qualcosa di ciò che speriamo nella vita terrena
per ciascuno di noi e per la collettività umana.
Per noi speriamo fin d'ora quanto è espresso più volte nei Vangeli e nelle Lettere apostoliche:
esultanza per la figliolanza divina (cf 1 Gv 3,1-2),
certezza di essere nelle mani di un Padre buono (cf 1 Pt 1,3 ss; 1,17-21), giustizia, pace e gioia nello Spirito santo (cf Rm 14,17),
consolazione interiore (cf 2 Cor 1,3-7),
tante espressioni del "centuplo in questa vita" (cf Mc 10,28-30),
che solo può intuire e gustare chi lascia decisamente tutto
per seguire Gesù povero e crocefisso.
Speriamo, per noi tutti, ciò che è oggetto della preghiera insegnataci da Gesù:
il pane per l'oggi, il perdono, l'essere custoditi dalla tentazione, la liberazione dal male.

giovedì 6 febbraio 2014

Il giudizio è l'incontro con lui che raggiunge la persona col suo sguardo penetrante e creatore e la porta alla piena conoscenza della verità su se stessa davanti all'eterna verità di Dio.


Tutto ciò che segue alla morte viene letto dalla fede nella luce dell'evento pasquale di Gesù.
Il giudizio è l'incontro con lui che raggiunge la persona col suo sguardo penetrante e creatore e la porta alla piena conoscenza della verità su se stessa davanti all'eterna verità di Dio. La sua vigilante anticipazione avviene nel confronto della coscienza con la Parola, nella celebrazione del sacramento, in particolare della Riconciliazione, nell'incontro con il fratello bisognoso di aiuto.
L'inferno è la condizione insopportabilmente dolorosa della separazione da Cristo, dell'esclusione eterna dal dialogo dell'amore divino; possibilità tragica e però necessaria se si vuol prendere sul serio la libertà che Dio ha dato all'uomo di accettarlo o di rifiutarlo. L'inferno, in quanto possibilità radicale, evidenzia la dignità suprema della vita umana, il valore sommo della vigilanza e la tragicità del male; proprio per questo e in tutto questo evidenzia l'amore del Dio che, creandoci senza di noi non ci salverà senza di noi Egli infatti che ci ha amato quando ancora eravamo peccatori, rimarrà separato da noi solo se noi ci ostineremo nell'essere separati da lui.
Il purgatorio è lo spazio della vigilanza esteso misericordiosamente e misteriosamente al tempo dopo la morte; è un partecipare alla passione di Cristo per l'ultima purificazione che consentirà di entrare con lui nella gloria. La fede nel Dio che ha fatto sua la nostra storia è il vero fondamento del credere a una storia ancora possibile al di là della morte, per chi non è cresciuto quanto avrebbe potuto e dovuto nella conoscenza di Gesù. L'anticipazione di tale spazio è il tempo dedicato alla cura della finezza dello spirito che si nutre di sobrietà, di distacco, di onestà intellettuale, di frequenti esami di coscienza, di trasparenza del cuore, di unificazione della vita sotto la regia della sapienza evangelica: come pure dell'ascesi e della purificazione necessarie per fortificarci nella tentazione, scioglierci dall'inerzia delle nostre colpe e liberarci dall'opacità delle nostre abitudini cattive.
Il paradiso è l'essere eternamente col Signore, nella beatitudine dell'amore senza fine: "Oggi sarai con me nel paradiso" (Lc 23,43). La parola del Crocefisso al ladrone pentito è la rivelazione di ciò che il paradiso è: un "essere con Cristo", un vivere eternamente in lui il dialogo dell'amore col Padre nello Spirito santo. Questa relazione con il Signore, di una ricchezza per noi inimmaginabile, è il principio essenziale, il fondamento stesso di ogni beatitudine dell'esistere. La vigilanza si esercita nell'anticipazione della gioia dell'incontro con il Signore e nella letizia della comunione fraterna vissuta con tutti coloro che ne condividono il desiderio.
La figura di tale anticipazione è così profonda e delicata da farci comprendere l'importanza della vita contemplativa, pur se la sostanza dell'anticipazione appartiene a ogni vita di fede, sollecitata a diventare esperienza vissuta nella confidenza con il Signore e nella fiducia della sua tenera cura. La spiritualità del Cantico dei Cantici - lo insegna una tradizione spirituale costante e sempre rinnovata del cristianesimo - è dunque una dimensione vitale della nostra relazione quotidiana con Dio; è il tempo dell'innamoramento, destinato a consumarsi nell'esuberanza dell'amore, da coltivare, custodire, impreziosire nell'intimità di un dialogo che raggiunge le fibre più sensibili del nostro essere.
Infine, nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. In essa l'essere con Cristo si estenderà ad abbracciare la pienezza della persona e la globalità dell'esperienza umana anche nella sua dimensione corporea, così come la risurrezione del Crocefisso nella carne ha portato nella vita eterna la carne del nostro tempo mortale, fatta propria dal Figlio di Dio. L'anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose, condotte alla loro destinazione propria, che è quella delle opere dell'amore.
Non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo, con alterne vicende, ha condotto una dura battaglia per respingere l'impulso al disprezzo del corpo e della materia in favore di una malintesa esaltazione dell'anima e dello spirito. L'esaltazione dello spirito nel disprezzo del corpo, come l'esaltazione del corpo nel disprezzo dello spirito, sono di fatto il seme maligno di una divisione dell'uomo che la grazia incoraggia a combattere e a sconfiggere. La vigilanza consiste nell'esercizio quotidiano dei sensi spirituali, ossia degli stessi sentimenti che furono di Gesù, nella coltivazione della sapienza evangelica che unifica l'esperienza e ci consente di apprezzare i legami fini e profondi del corpo con lo spirito. In tal modo possiamo custodire fin d'ora, in attesa che si compia la promessa della risurrezione della carne, il piacere della libertà del corpo da tutto ciò che è falso e ottuso, laido e volgare, avido e violento.
La fede nella risurrezione finale ci aiuta quindi a valorizzare e amare il tempo presente e la terra. La vigilanza cristiana, illuminata dall'orizzonte ultimo, non è fuga dal mondo, bensì capacità di vivere la fedeltà alla terra e al tempo presente nella fedeltà al cielo e al mondo che deve venire. Nella luce della Pasqua, i novissimi - morte, giudizio, inferno, purgatorio, paradiso e risurrezione finale della carne - sono tutte forme dell'essere con Cristo, che è promesso e donato all'abitatore del tempo e si configura a seconda del rapporto che, nella vigilanza o nel rifiuto, si stabilisce tra ogni persona umana e il Signore Gesù.

mercoledì 5 febbraio 2014

Nella risurrezione di Cristo ci è promessa la vita, così come nella sua morte ci era assicurata la vicinanza fedele di Dio al dolore e alla morte.


Il Dio che ha fatto suoi il tempo e la morte,
ha dato a noi la sua vita, nel tempo e per l'eternità.
La Pasqua del Signore rivela la solidarietà del Dio vivente
alla nostra condizione di abitatori del tempo,
e insieme ci dà la garanzia di essere chiamati a divenire gli abitatori dell'eternità.
Nella risurrezione di Cristo ci è promessa la vita, così come nella sua morte ci era assicurata la vicinanza fedele di Dio al dolore e alla morte.
La Pasqua è l'evento divino nel quale ci è rivelata e promessa la destinazione del tempo al suo felice compimento nella comunione in Dio.
Lo spazio temporale che sta tra l'ascensione e il ritorno di Cristo nella gloria appare così come un estendersi del mistero pasquale all'intera vicenda umana; nella sofferenza e nella morte, che ancora caratterizzano la nostra storia, si fa presente la sofferenza della Croce, perché la vita del Risorto sia pregustata da chi con Cristo percorre il suo esodo pasquale.
L'intera vita del cristiano è un pellegrinaggio di morte e risurrezione continua,
vissute con Cristo e in Cristo nello Spirito,
portando anzi Cristo in noi "speranza della gloria".
Vigilare è accettare il continuo morire e risorgere
quale legge della vita cristiana;
le condizioni della vigilanza evangelica
non sono dunque la stasi o la nostalgia,
bensì la perenne novità di vita e l'alleanza celebrata sempre nuovamente col Signore Gesù che è venuto e che viene.
Nella luce dell'evento pasquale
si coglie allora il pieno significato cristiano della morte fisica,
ultima vicenda visibile della nostra esistenza.
La morte è evento pasquale, segnato contemporaneamente dall'abbandono e dalla comunione col Crocefisso Risorto.
Come Gesù abbandonato sulla Croce, ogni morente sperimenta la solitudine dell'istante supremo e la lacerazione dolorosa; si muore soli!
Tuttavia, come Gesù, chi muore in Dio
si sa accolto dalle braccia del Padre
che, nello Spirito, colma l'abisso della distanza
e fa nascere l'eterna comunione della vita.
Perciò, per la grande tradizione cristiana la morte è dies natalis,
giorno della nascita in Dio,
dell'uscire dal grembo oscuro della Trinità creatrice e redentrice,
per contemplare svelatamente il volto di Dio,
in unione col Figlio, nel vincolo dello Spirito santo.

martedì 4 febbraio 2014

grazie alla speranza, il tempo quantificato (che non ci basta mai che è sempre troppo poco) diviene tempo qualificato, ora della grazia, tempo favorevole, oggi della salvezza, momento gustato nella pace


Le dodici ore del giorno (cf Gv 11,9) sono vissute pienamente nella luce
quando sono vissute nella speranza.
La speranza non è soltanto l'attesa di un bene futuro arduo,
ma possibile a conseguirsi;
è l'anticipazione delle cose future promesse e donate dal Signore
che ha avuto tempo per l'uomo,
il terreno d'avvento dove il domani di Dio
viene a prendere corpo nel presente degli uomini.
E la sorella più piccola, come dice, che tiene per mano e guida verso la mèta le due maggiori, la fede e la carità (6).
Nella speranza l'oggi si apre all'orizzonte della eternità e l'eternità viene a mettere le sue tende nell'oggi;
grazie alla speranza, il tempo quantificato (che non ci basta mai che è sempre troppo poco) diviene tempo qualificato, ora della grazia, tempo favorevole, oggi della salvezza, momento gustato nella pace.
La speranza è la condizione filiale (l'essere figli del Padre celeste in Gesù, che è il tutto della vita cristiana) vissuta riguardo all'avvenire:
perché "noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è" (1 Gv. 3,2).
E la vigilanza è l'atteggiamento di chi tiene salda la speranza,
non permettendo che sia insidiata la sua condizione di figlio,
mantenendo la tensione del desiderio di vedere il volto del Padre
e difendendola dall'afflosciarsi nel presente,
dal lasciarsi imprigionare dalle banalità quotidiane.
Il già, accolto dalla fede e vissuto nell'amore,
si proietta verso il non ancora della promessa grazie alla speranza;
speranza è perciò l'altra faccia della vigilanza,
l'andare incontro consapevole, libero e desideroso a Colui
che - venuto una volta - sempre nuovamente ci viene incontro fino a che non si compiano i tempi ed Egli venga nella gloria.

lunedì 3 febbraio 2014

Il Signore conosce l'ambiguità nascosta nel tempo dell'uomo: sta a noi scegliere se vivere nella luce o nelle tenebre.


Introducendo il racconto della risurrezione di Lazzaro,
l'evangelista ricorda una parola misteriosa di Gesù
che vuole incoraggiare i suoi discepoli
ad affrontare il pericolo
superando la paura di salire con lui verso Gerusalemme:
"Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce" (Gv 11,9-10).
Il Signore conosce l'ambiguità nascosta nel tempo dell'uomo:
sta a noi scegliere se vivere nella luce o nelle tenebre.
Vigilare è decidere di camminare nelle ore luminose del giorno,
credendo a Colui che dice:
"Io sono la luce del mondo: chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12).
Vigilare è seguire Gesù, scegliere ciò che Gesù ha scelto,
amare ciò che lui ha amato, conformare la propria vita al modello della sua;
vigilare è avere la percezione di vivere ogni attimo del tempo
nell'orizzonte dell'amore con cui Dio ci ama in Gesù
e vuole essere amato da noi in Lui e con Lui.

domenica 2 febbraio 2014

La vigilanza richiesta al cristiano consiste nel vivere i giorni nell'orizzonte del Dio che è venuto, che viene e che verrà.


Il "riconoscimento" di Dio come Signore della propria vita
equivale a risorgere a una vita nuova,
ad accedere all'esistenza autentica.
Quando ero ancora incerto sul titolo da dare alla Lettera,
uno di quelli che più mi attraevano si riferiva al racconto della risurrezione di Lazzaro (cf Gv 11,1-44).
Pensavo all'espressione "Vieni fuori dalla prigione del tempo!",
per indicare che chi ascolta la voce di Gesù si lascia svegliare dal sonno mortale dell'illusione di possedere il tempo e della disperazione che ci spinge a evaderne. Illusione e disperazione chiudono la nostra vita all'azione di Dio.
Abbiamo bisogno di essere liberati dalla chiusura, dalla prigione;
"Lazzaro, vieni fuori!" (Gv 11,43) è il grido che il Signore fa risuonare nel tempo per liberare non solo dalla prigionia della morte,
bensì dalla prigionia del tempo vissuto nell'illusione e nella frustrazione.
Chi si lascia risuscitare come Lazzaro dal Dio
che gli viene incontro e piange sulla sua creatura mostrando quanto la ama (cf Gv 11,33-36),
vive l'esperienza della liberazione dal non senso,
dall'angoscia di un tempo chiuso all'orizzonte dell'eternità.
La vigilanza richiesta al cristiano consiste nel vivere i giorni nell'orizzonte del Dio
che è venuto, che viene e che verrà.
Rapportare a lui la propria vita, riconoscere in lui l'ultimo senso e
l'ultima patria che dà valore e sapore a ogni scelta
e a ogni passo nel tempo significa rispondere con amore
all'amore con cui Dio ci ha amati e ha tempo per noi.
Dire a qualcuno: "Lazzaro, vieni fuori!" significa proporgli la gioia e la pace di gustare il presente come ora della venuta del Signore, attesa del suo ritorno per prenderci con Lui nella gloria.