sabato 21 agosto 2010

Al risveglio del mattino, aperti gli occhi, ho visto il mio giardino pieno di fiori.

Di tanto in tanto, quanto mi preoccupo!
Oggi, senza lavoro,
ho perduto il tempo, ho perduto il giorno.
No, o Signore, tutti quei momenti
non sono stati perduti:
Tu li hai raccolti tutti,
o Dio, testimone interiore.
Al tempo opportuno,
invisibile, nascosto, dentro
hai fatto rivivere
il seme in boccio.
Hai colorato le gemme fiorite,
hai tramutato il fiore in frutto
pieno di dolce linfa:
embrione ricambiato ancora in seme.
Io, addormentato in confortevole letto,
abbattuto dalla stanchezza, pensavo:
tutto il lavoro è rimasto da fare!
Al risveglio del mattino,
aperti gli occhi, ho visto
il mio giardino pieno di fiori.
TAGORE
NOIBEDDO

Benedite il Signore che vi da la possibilità di viaggiare senza biglietto, gratuitamente, lungo i meridiani e i paralleli della vostra vita

Racconta il filosofo danese Soren Kierkegaard la fiaba del capriolo che cerca disperatamente un muschio di cui l’ha stordito il profumo. Sfinito nella ricerca. Prima di morire, si lecca il petto e sente lì quel profumo affascinante: “Non cercare fuori di te il profumo di Dio, per perire nella giungla della vita. Non cessare di cercarlo dentro di te e vedrai che lo troverai”.

Ascolta: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà”. Il deserto, luogo della solitudine e dell’essenzialità, ri-torna ad essere il crocevia dell’incontro tra Dio e l’uomo. Israele, scampato alle persecuzioni e alle oppressioni, marcia verso la sua terra e vede profilarsi da lontano il volto di Dio. Appena sono di fronte e si fissano negli occhi, il Signore pronuncia una dolcissima dichiarazione d’amore: “Ti ho amato di amore eterno”. Non ci sono ne spiegazioni, ne recriminazioni. Perché – come scriveva Andrè Fossard – “di tutte le cose umane l’amore è la sola che non voglia spiegazioni. Gli amanti che si spiegano sono quelli che stanno per lasciarsi”.

Geremia, il simbolo di una giovinezza denigrata dagli uomini, ricercata da Dio. Vi ricordate!? Per fare il tavolo ci vuole il legno; per fare il legno ci vuole l’albero; per fare l’albero ci vuole il seme; per fare il seme ci vuole il frutto; per fare il frutto ci vuole il fiore. Per fare il tavolo ci vuole un fiore. Per fare la vita ci vuole il fiore, e il fiore è il simbolo della bellezza. Ragazzi, Geremia insegna a scegliere la vita. A tutti i costi. Amate le cose pulite, belle: la poesia, il sogno, la fantasia. Benedite il Signore che vi da la possibilità di viaggiare senza biglietto, gratuitamente, lungo i meridiani e i paralleli della vostra vita. Amate la vita, scegliete per la vita.

Se v’imbatterete nella fatica, fate banda con quell’uomo!
Geremia non è stato un perdente, è stato un “furbo” perché ha intuito che se ci si mette “in cooperativa” con Dio i conti tornano sempre.
Novembre 2009 - autore: don Marco Pozza

venerdì 20 agosto 2010

Signore, tutti urlano!

Aiutami...

Ad abbassare il tono della mia voce.
A trovare il silenzio dentro e fuori di me.
Ad ascoltare le parole appena sussurrate.
A sentire il profumo di un fiore appena sbocciato.
A discernere il bene dal male.
Ad usare sempre parole buone.
A benedire e non a maledire.
A comprendere i sogni e i desideri nascosti nel cuore della gente.
Ad inginocchiarmi davanti al tuo Santissimo Corpo.
Ad essere un uomo dalle mani dure ma dal cuore buono.
A riconoscere sempre i miei errori.
A togliere l'orgoglio dalla mia vita.
A portare ogni giorno la mia croce.
A riconoscerti nel volto di ogni persona.
Ad amare mia moglie di un amore eterno e sempre nuovo.
Ad accettare che i miei figli non sono "cosa mia".
Ad essere in ogni luogo espressione della tua felicità.
Aiutami, Signore, a riconoscere sempre la tua voce.
Amen!

(Adolfo Rebecchini)

giovedì 19 agosto 2010

Chi ascolta poi dev'esser disposto ad ascoltare, a discutere e ad imparare, con mente attenta e con animo schietto.

Questo post è particolarmente lungo, ma ne varrà la pena arrivare fino in fondo e magari continuare con la lettura del libretto... fino in fondo dentro di noi nella nostra coscienza. (http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/guardini_la_coscienza1.htm
Nessun individuo è esente da quello che tocca tutti. In un punto però può differenziarsi: che egli abbia la coscienza di questa trasandatezza. Che egli non chiami ordine questa devastazione, ma sappia ben distinguere. Che egli chiami con il loro nome il disordine e l'irriverenza e abbia la volontà che le cose cambino.

La coscienza
ROMANO GUARDINI  MORCELLIANA - Brescia 1977 
Titolo originale dell'opera: Das gute das Gewissen und die Sammlung
Matthias - Grünewald - Verlag, Mainz (2. Auflage)
Traduzione di Giulio DELUGAN
I edizione: 1933
II edizione: 1948 III edizione: 1961 IV edizione: 1977

PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA Questo piccolo libro è uno scritto pratico, non teoretico. Esso non vuole discutere filosoficamente l'essenza della coscienza del bene, bensì intervenire in aiuto della coscienza cristiana nella lotta intorno ai fondamenti della vita morale, quale è determinata dalla situazione spirituale in Germania.
Lotta: ma chi sono i nemici?
E in primo luogo Kant e lo spirito da lui suscitato che esige l'autonomia assoluta della coscienza ed afferma che il cristiano non è una personalità morale nel vero senso, piuttosto invece è eteronomo perché egli sottopone la sua coscienza al volere di Dio... E poi il Nietzsche che assurge a potenza sempre più vigorosa. Egli esige l'assoluta creatività della personalità morale. Il cristiano, egli afferma, ha solo una morale esecutiva che è condannata all'infecondità; una morale da schiavo che lo esclude dall' esistenza veramente grande e degna... E il bolscevismo che soffoca lo spirito vivente, e distrugge la libera personalità nella compagine del collettivo e nel processo della storia, umiliandola a mero organo per la realizzazione di necessità superindividuali. Ed esso, poi, ritiene il cristiano un individualista pieno d'egoismo, un fantasioso che si abbandona a realtà incontrollabili e trascura in tal modo l'unica realtà. Ed altri ancora si potrebbero nominare.
Di fronte a costoro, questo libro vuol mostrare quale forte indipendenza e profonda iniziativa presenti la morale cristiana; quanto grandi siano le sue possibilità creative, con quanto senso di realtà essa stia di fronte alle cose. Esso pertanto vuoi animare la coscienza cristiana ed ispirarle fiducia nella sua forza. Il lettore dovrà dunque intendere il libretto in questa prospettiva di lotta e di aiuto: non come una trattazione scientifica, bensì come una parola veniente dalla vita per la vita. Come una parola indirizzata agli uomini d'oggi, in cerca ed in lotta, per ispirar loro forza contro determinati avversari; non quindi come un trattato morale o teologico sulla natura della coscienza.

Sembra che il libretto, con questa intenzione, non abbia fatto in Germania un cattivo servizio. Così può essere giustificata la speranza che non risulti inutile nelle discussioni del pensiero italiano, in cui lo introduce l'amichevole fatica del traduttore.

ROMANO GUARDINI, nato a Verona nel 1885, studiò in Germania, dove sempre visse. Dopo aver tentato gli studi scientifici e quelli umanistici, riconobbe la sua vocazione autentica nella teologia. Nel 1923 gli venne affidata la cattedra di 'visione del mondo'. cattolica nell'Università di Berlino. Insegnò in seguito all'Università di Monaco; morì nel 1968. Attento ai movimenti culturali e spirituali della Germania fra le due guerre, animatore prestigioso della Jugend-Bewegung, il Guardini concepì ognuno dei suoi libri con l'intento di rispondere ad una od altra delle esigenze più vive nell'uomo contemporaneo. La sua presentazione delle verità cristiane è sempre tesa a un preciso riferimento critico o polemico alle esperienze culturali che hanno esercitato maggior fascino sull'europeo del nostro secolo: lo storicismo, il nichilismo, l'esistenzialismo. Fra le numerose opere ricordiamo: Lo spirito della liturgia, Il Signore, L'essenza del cristianesimo, La figura di G. Cristo nel N. T., Il mondo religioso di Dostojevskij, Libertà Grazia Destino, Pascal, La conversione di S. Agostino, Ritratto della malinconia, La fine dell'epoca moderna, Il potere, Ansia per l'uomo, Rainer Maria Rilke, quasi tutte presentate al pubblico italiano dalla Morcelliana.

INTRODUZIONE
Ci siamo radunati per parlare di alcuni problemi fondamentali della nostra esistenza personale. Prima però di entrare in argomento vorrei fare alcune osservazioni.
Mi sia lecito dire che questo nostro conversare intorno a tali cose, dev'esser qualcosa di diverso da una solita conferenza. Non vogliate vedere in ciò presunzione di sorta; non pretendo di fare più di colui, che espone onestamente quello che sa. Ma si tratta invece di diversità sostanziale.
È naturale che uno comunichi ad altri quello che crede di sapere. A tal fine quello che si esige da lui è che sappia veramente ed esponga con chiarezza quello che sa. Chi ascolta poi dev'esser disposto ad ascoltare, a discutere e ad imparare, con mente attenta e con animo schietto.
C'è anche un altro modo di parlare: quando uno dice non soltanto quello che sa, ma quello di cui è personalmente convinto; convinto nel senso specifico, profondo di questa parola. Egli dice dunque delle cose, delle quali si può essere veramente «investiti», delle verità che toccano da vicino. In questa convinzione è entrata la persona vivente; altrimenti non si potrebbe parlar di convinzione. Perciò, quando il discorso è di tal natura, da chi parla si esige che la sua persona si trasfonda veramente nella parola; dall'uditore invece che sappia di esser messo di fronte ad una parola personale e che egli stesso prenda un atteggiamento personale, abbia cioè rispetto e disposizione a discutere seriamente.
Più in là ancora vi è finalmente un terzo modo di parlare: quando uno dice non soltanto quello che sa; parla non soltanto di quello che forma la sua convinzione; ma parla di « ciò che dobbiamo fare ». In questa cosa si tratta del destino umano; di ciò che trova la sua ultima espressione religiosa nella parola: la salvezza dell'anima. Un tal parlare non basta che sia fatto con serietà e con senso di responsabilità. Per essere veramente alla sua altezza, dev'essere un'intesa tra chi parla e chi ascolta, nel senso che entrambi vogliano veramente trattare assieme di quello «che dobbiamo fare ».
Qualche cosa del genere è quello che qui stiamo facendo.
Noi viviamo in un'età devastata. Le cose dello spirito e le cose della salvezza non hanno più una propria sede. Tutto è buttato sulla strada. Ognuno parla, ascolta, scrive e legge di tutto ad ogni istante.
Abbiamo dimenticato che quanto riflette lo spirito è di una nobiltà molto esigente e che il comprenderlo è possibile solo a certe condizioni. Che i diversi interessi del mondo spirituale esigono di volta in volta un diverso modo di parlare e di ascoltare; richiedono uno spazio interiore diverso, nel quale possano svolgersi questo parlare e questo ascoltare.
Viviamo in un tempo, nel quale l'avvilimento dell'onore che spetta allo spirito è diventato una pratica comune, che non impressiona più in modo particolare. Per accorgersene basta dare uno sguardo attento a quanto riguarda l'educazione pubblica, con le sue conferenze, discussioni e riviste e coi suoi giornali; basta osservare l'andazzo seguito nel trattare di cose spirituali, il linguaggio che in ciò si usa... Se vi è un compito di vera formazione, è ben quello di tornare ad erigere in questo caos delle barriere, di tracciare dei confini, di separare ambiente da ambiente, di distinguere gradi gerarchici degli spiriti, di far sentire quello che di volta in volta è richiesto da chi vuol cogliere qualche cosa di spirituale.
Ebbene, un po' di siffatta riflessione e di quest'ordine dovrebb'essere il frutto di queste parole introduttive.
Qui non si tratta di una conferenza che esponga ciò che si sa ad uditori disposti ad imparare. Non si tratta nemmeno di sostenere una convinzione davanti ad uomini disposti ad ascoltarla rispettosamente e a discuterla. Si tratta piuttosto di scambiarsi, uniti nella medesima preoccupazione per la nostra più intima esistenza, una parola su problemi che riguardano appunto questa esistenza e la sua salvezza.
L'oratore dunque intende parlare qui ad uditori che siano pronti a condividere questa preoccupazione. Soltanto con loro. Questa esclusività è necessaria per la dignità della cosa e per l'onore della propria interiorità. Con ciò è chiarito l'oggetto della nostra conversazione, definito il nostro atteggiamento, e circoscritto il suo ambito.
Se tutto ciò vi dovesse sembrare troppo esigente, eccovi la risposta: il dir questo fa appunto parte dell'argomento di cui ci occupiamo. Ne determina il carattere. Ognuno deve assoggettarsi al giudizio che venne pronunciato sopra la trascuratezza colpevole del nostro tempo. Nessun individuo è esente da quello che tocca tutti. In un punto però può differenziarsi: che egli abbia la coscienza di questa trasandatezza. Che egli non chiami ordine questa devastazione, ma sappia ben distinguere. Che egli chiami con il loro nome il disordine e l'irriverenza e abbia la volontà che le cose cambino.
E ancora un'osservazione: il discorso deve aggirarsi intorno ad alcuni problemi della vita interiore: problemi religiosi e morali dunque. Però non si intende con ciò di esporre un sistema di etica, ma soltanto di mostrare un fecondo punto di partenza; uno fra i tanti. Se qui e in tale contesto non si fa espressa parola della morale cristiana positiva, non è per escluderla, ma anzi perché viene esplicitamente presupposta.
Le tre conferenze hanno un nesso vicendevole, e pertanto sulle prime apparirà poco chiaro qualche punto, che poi troverà spiegazione nel corso della trattazione.

Nella vita non farmi mai accontentare delle scorciatoie



Da bambino ho fatto un sogno.
Ho sognato che i soldati Ti stavano inchiodando alla croce
E io, passando di la, ti guardavo incuriosito.

Ricordo ancora i volti delle persone che accorrevano.
Ricordo la curiosità e la paura e che provavo in quel momento:
Volevo guardare ma non volevo essere visto.

Più il tempo passava...
Più i soldati avanzavano con il loro lavoro...
...e il vicolo del mio paese si riempiva sempre più di gente.

Da allora ne è passato di tempo!
Una cosa, però, è sempre rimasta impressa nella mia mente:
Disteso sulla croce, c'eri tu che mi chiedevi aiuto.

Perché chiamassi me, io non lo so!
Del resto, lì vicino, c'erano tante altre persone:
grandi e piccoli che, come me, ti stavano a guardare...

Ricordo che per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati.
I tuoi occhi, anche se sofferenti, mi incoraggiavano...
...sollecitavano un mio intervento in tua difesa...

Però, anch'io come Pietro, mi sono tirato indietro.
Anch'io ho preferito farmi gli affari miei; a non immischiarmi con Te...
...e andare a giocare un po' più in là, lontano dal tuo sguardo.

Insegnami, Signore, a non nascondermi mai da te,
ad accettare, sempre, anche le situazioni più difficili
e a non scappare mai davanti ai problemi.

Nella vita non farmi mai accontentare delle scorciatoie
e non farmi cercare quelle strade troppo facili
che portano alla gioia di un solo momento.

Insegnami a scegliere sempre
non tanto ciò che voglio io
ma solo ciò che è giusto ai tuoi occhi.

In famiglia fammi essere un bravo sposo,
un padre giusto e generoso con i miei figli,
un buon cristiano con chiunque mi incontra.

Fammi rimanere sempre vicino a te,
unica fonte di vera pace
e di vera gioia.

(Adolfo Rebecchini)

mercoledì 18 agosto 2010

dare incanto nuovo all'esistenza

PREGHIERA DEL MATTINO
Signore, fa' che questa mattina io senta la voce della tua bontà amorosa: che non trascuri mai le tue ispirazioni e abbia, invece, sempre fiducia nella tua bontà.
Insegnami a fare la tua volontà e a ricevere da te il frutto della tua vigna, che è il dono del tuo corpo e del tuo sangue, perché tu sei il mio Signore e il mio Dio.
PREGHIERA DELLA SERA
Dio d'amore, nostro pastore e nostro custode, abbi pietà di coloro che ti implorano nella disperazione e nell'abbandono; vieni in loro aiuto.
Mostra loro che, pur nella loro miseria, tu li chiami a condividere la ricchezza del tuo grande amore per loro, perché tu sei l'amico di chi non ha amici, sempre ricco in misericordia.

Acquisire fede che cos'è? E acquisire bellezza del vivere: scoprire che è bello vivere, è bello amare, creare, generare, mettere la vita nelle mani di chi mette la sua vita nelle tue. E' bello appartenere a Cristo e al Vangelo, perché tutto ha un senso positivo, tutto va verso la vita e non verso la morte, verso un esito luminoso qui e nell'eterno. Verso una vita buona, bella e beata. Acquisire vocazione è acquisire bellezza del vivere e reincantare la vita, recuperando la centralità e la rilevanza del trascendente e del bello. I credenti sono chiamati a dare incanto nuovo all'esistenza, sulle orme di «Cristo incantatore» (sant'Ambrogio). La bellezza apre al mistero e guida alla decisione morale di accettare il mistero. Anche il bene, per attrarre, per mantenere la sua forza di attrazione, deve essere bello. Perché devo compiere il bene e fuggire il male? Perché devo? Perché il cuore mi dice che agendo così trovo la felicità. Il perché è legato, dipende da un «sentire». Il perché è estetico. Di questi tempi non basta più ricordare l'alterità di Dio, la sua diversità, o l'umiltà o la debolezza di Dio. Dobbiamo riscoprire la bellezza di Dio, proporre un Dio in forma attraente: che avvinca, leghi, muova, incanti. Davanti all'indifferenza che ci circonda, non basta più dire che Dio è vero e buono, occorre mostrare anche che Dio è bello. La forza che attrae l'uomo contemporaneo non è più quella della costrizione logica della verità, non è più quella della costrizione etica del bene, ma è quella dello splendore del vero e del buono, cioè della loro bellezza.
Ermes Ronchi, Tu sei bellezza, 68-69

martedì 17 agosto 2010

Ave Maria

non ho altra scusa

Ho tra le mani il libro, l'ultimo libro di Henry Nouwen "Viaggio sabbatico. Il diario del suo ultimo viaggio."
da pag. 17
Ora come ora non ho altra scusa che imbarcarmi in un nuovo viaggio,  confidando che tutto andrà bene. Mi è chiaro che devo di nuovo tenere un diario, così come ho fatto durante l'anno prima di venire  a Daybreak. Ho promesso a me stesso di non passare un giorno senza scrivere, il più sinceramente e direttamente possibile, ciò che accade dentro ed intorno a me. Non sarà facile, dato che non conosco il campo in cui sto entrando. Ma sono pronto ad assumere qualche rischio.
Comincio quest'anno con la preghiera di Charles de Foucauld, la preghiera che dico ogni giorno con molta trepidazione.
Padre mio, 

mi abbandono a Te 
fa di me ciò che ti piace; 
qualunque cosa tu faccia di me, 
ti ringrazio.
 
Sono pronto a tutto, 
accetto tutto,
purché la tua volontà 
si compia in me 
ed in tutte le tue creature; 
non desidero niente altro, mio Dio.
 
Rimetto la mia anima nelle tue mani, 
te la dono, mio Dio, 
con tutto l’amore del mio cuore, 
perché ti amo.
 
Ed è per me una esigenza d’amore 
il donarmi, 
il rimettermi nelle tue mani, 
senza misura, 
con una confidenza infinita, 
perché tu sei il Padre mio.
3- settembre- 1995

lunedì 16 agosto 2010

Considero valore...Molti di questi valori non ho conosciuto.



Valore
di Erri De Luca
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finche’ dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si e’ risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra’ piu’ niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua,
riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che .
Considero valore sapere in una stanza dov’e’ il nord, qual e’ il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
La costruzione di un amore

clock “World Builder” del regista Bruce Branit è un corto che fa riflettere sulla sacralità del tempo. Lo guardi e pensi alle occasioni mancate, a un affetto sprecato, perché abituati a rimandare a domani un gesto, una carezza d’amore verso chi ami di più. Come se dovessimo vivere in eterno su questo mondo e poter disporre di tutto il tempo. Il protagonista materializza un mondo, lo costruisce per il suo amore. Una corsa contro il tempo, con un finale struggente. Buona visione. (segnalato da http://www.maxgranieri.it/2009/noise-level/la-costruzione...)



"Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?"

PREGHIERA DEL MATTINO
Tu esorti chi ti ama ad essere perfetto come il Padre celeste. Fa' che il nostro amore per i beni materiali non diventi mai un ostacolo a seguire te, che dai tanto valore alla povertà. Fa' che, come celebriamo il mistero della tua morte, così imitiamo il tuo amore perfetto, perché il nostro cuore sarà là dove è il nostro tesoro.
OMELIA
L'episodio narrato in questo brano del Vangelo secondo Matteo, presente in tutti i sinottici (cf. Mc 10,17-20; Lc 18,18-23), cerca di dare una risposta alle seguenti domande: Come essere veri discepoli? Quali ostacoli si incontrano?
Per i farisei, la vita eterna era la ricompensa per avere ben operato e, in particolare, per avere osservato la Legge (Sal 35,13-14). Il giovane ricco, che era forse un impiegato della sinagoga (Luca lo chiama "notabile"), chiede che cosa deve fare di più. Marco dice che Gesù, "fissatolo, lo amò" (Mc 10,21) e vide che l'ostacolo principale era la sua grande ricchezza. Il rabbinismo considerava le miserie della povertà peggiori di tutte quante le piaghe d'Egitto e chiedeva, al massimo, che ogni uomo consacrasse una parte dei propri beni a Dio (Mc 7,11). Ma Gesù desiderava suscitare una generosità più grande in risposta al suo più grande amore. Nel caso dello stesso Matteo, questa risposta vi fu (Mt 9,9). La tristezza del rifiuto del giovane ricco può essere capita solo da chi ha provato la stessa sconfitta e l'angoscia del rimorso.

domenica 15 agosto 2010

Solo colui che sa che il mondo è una creazione della gioia ha raggiunto la verità finale

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Continua...Ma la gioia è il potersi abbandonare al flusso dei sentimenti, allo stupore che si vive; gioia è poter piangere di felicità quando qualcosa ci tocca il cuore, quando qualcuno ci fa sentire che ci ama davvero, quando ci sentiamo avvolti dalla bellezza della natura, dalla possanza delle montagne o dalla trasparenza del mare; gioia è potersi commuovere come un fiume in piena quando tuo figlio compie i primi passi, quando sai di essere incinta, quando chi ami riesce, quando tu riesci. Gioia è benedire, vedere le cose tutte da un'altra prospettiva, quella di Dio, sentire il mondo amico, sentire gli animali nostri fratelli in questo creato e le piante nostre sorelle di questa natura; è benedire la Vita per la mia vita, ringraziarla per tutto ciò che è successo, cantare la grandezza della mia vita, essere felici di quello che si è e che è stato. Gioia è cantare insieme, è cantare di sera, di notte o attorno ad un fuoco. Gioia immensa è abbracciarsi e guardarsi con così tanta intensità negli occhi che le anime si riconoscono. Gioia è urlare la forza e la bellezza dell'essere vivi, è urlare il proprio nome nel silenzio della montagna, è sentirsi pieni di immenso e lasciarlo andare con tutta la forza che ha. Gioia è la danza di sentirsi parte di questo unico grande movimento che si chiama vita; gioia è saper scorgere e farsi toccare e farsi coinvolgere dalla danza della pioggia o del vento. Gioia è lasciarsi portare.
Per molte persone tutto questo è sentimentale, tutto questo è disdicevole. In realtà sono incapaci di lasciare che i sentimenti, che la vita fluisca in sé come l'acqua di un fiume, che passa sempre ma che non si ferma mai. Sono troppo rigide e temono tutti questi sentimenti, temono la forza della vita: saranno condannate, si condanneranno a non sperimentare la gioia e l'estasi della vita. Per sperimentare gioia bisogna fidarsi, bisogna permettere che ciò che vive in noi ci porti, ci conduca: io devo solo lasciare che il sentimento mi porti. Ma per molte persone abbandonarsi è terrificante.
In ebraico la parola per esprimere gioia è gool; e gool indica il movimento circolare sotto l'influenza di una violenta emozione: è la danza, è l'essere presi da ciò che si vive e lasciarsi portare.
Tagore dice: "Non è la costrizione il richiamo finale per l'uomo, ma la gioia, e la gioia è dovunque. E' nell'erba che ricopre la terra, nell'azzurra serenità del cielo, nell'instancabile esuberanza della primavera, nella silenziosa astinenza dell'inverno, nella carne vivente che anima la nostra struttura corporea, nel perfetto equilibrio della figura umana, nobile ed eretta, nel vivere, nell'esercizio di tutti i nostri poteri. Solo colui che sa che il mondo è una creazione della gioia ha raggiunto la verità finale".
Allora, come queste donne, io vorrei - ci posso provare - danzare la vita, abbandonarmi a Dio, fidarmi, lasciarmi trasportare, un po' come le foglie si abbandonano al vento e nel loro essere condotte compiono la loro danza. Chi vive così canta, danza, urla di gioia, benedice, è assunto al cielo della felicità già in questa terra.


Pensiero della Settimana
Si trasforma solo ciò che si accetta.

Troppe persone sono incapaci di fidarsi non solo di Dio, ma perfino di chi li ama, dei propri sentimenti o della vita che hanno dentro.

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Continua...La gioia della vita nasce da questo sentirsi condotti da Dio, da qualcosa di più profondo. Maria dev'essere stata una donna piena di difficoltà (il fatto stesso di avere come figlio uno come Gesù dev'essere stato un bel problema per lei!) ma può gioire perché può prendere le distanze dalle cose, può lasciare che i problemi stiano lì, può dimenticarsi per un po' di tutto ciò che la tormenta e gioire di ciò che accade. Gioire, celebrare una festa, lasciarsi andare alla felicità, vuol dire potersi distaccare e non ruotare sempre attorno a me stesso, ai problemi e alle difficoltà, e poter vedere tutto da un punto di vista diverso. Quando torno a casa dal lavoro devo staccarmi da tutte le beghe vissute prima, altrimenti ruoto sempre attorno a me, non c'è spazio per altro. Quando qualcosa non va devo staccarmi dal pensiero fisso su come finirà, su che soluzione avrà, su cosa io posso fare, sulla paura che mi incute: devo lasciarla lì, la prenderò a suo tempo. Se Maria non si fosse staccata da tutte le sue difficoltà non avrebbe potuto che essere una donna angosciata, isterica o depressa come molte del nostro tempo. E invece sapeva prendere le distanze dai problemi; e invece sapeva fidarsi di ciò che non capiva; e invece sapeva guardarsi da altri punti di vista e per questo cantava e danzava.
Sappiamo tutti che nella vita c'è dolore. Ognuno di noi lo ha provato per la perdita di qualcuno che ama, per la perdita delle proprie capacità a causa di un incidente o una malattia, per la delusione delle proprie speranze. Ma come il giorno non esiste senza la notte, né la vita senza la morte, la gioia non può esistere senza il dolore. Nella vita c'è sofferenza così come piacere, ma possiamo accettare la sofferenza finché non ci siamo intrappolati dentro. Possiamo accettare la perdita se sappiamo di non essere condannati a soffrire per sempre. Possiamo accettare la notte perché sappiamo che il giorno spunterà e possiamo accettare il dolore quando sappiamo che tornerà la gioia. Ma la gioia può sprigionarsi solo quando il nostro spirito è libero. Troppe persone sono state spezzate; troppe persone sono così incatenate nei loro pensieri drammatici e persecutori per cui non c'è e non ci sarà spazio per la gioia. Troppe persone sono incapaci di fidarsi non solo di Dio, ma perfino di chi li ama, dei propri sentimenti o della vita che hanno dentro. Molte persone non si sarebbero mai sognate in situazioni simili ad agire come hanno fatto Maria o Elisabetta: "Non è opportuno; non sono mica pazzo; non è conveniente; ma che modi sono questi!".

Maria non drammatizza...Lui sapeva tutto e questo bastava per non angosciarsi

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Continua...Il brano del vangelo è contrassegnato da una gioia irrefrenabile: le donne si salutano, (40), il saluto smuove il sentimento e riempie di vita (41); Elisabetta urla (42-45), Maria canta (46-55). A ben pensarci queste due donne non hanno proprio niente di cui rallegrarsi, gioire (o comunque noi vivremmo così quella situazione!): Zaccaria è stato punito ed è muto e sua moglie Elisabetta, anziana, è incinta; Maria è incinta senza conoscere uomo e deve affrontare il giudizio della gente, il pericolo della morte per lapidazione, l'onta di essere incinta prima del matrimonio, le perplessità di Giuseppe e deve fidarsi, basandosi sulle parole di un angelo, che quel figlio che aspetta è il Figlio di Dio. Non c'è proprio niente per cui stare allegri, non c'è proprio nulla da cantare, da danzare…
Ma queste sono donne la cui caratteristica è la totale assenza del drammatico. Maria non drammatizza, non si dispera (pur essendocene motivo), non si angoscia e così annulla il dramma della situazione (che drammatica lo è!).
Quante volte nella nostra vita il drammatico abita i nostri giorni: allora sembra la fine, sembra la cosa peggiore del mondo, sembra la cosa più grave che ci possa essere e la disgrazia più grande che ci possa capitare. Tua figlia è rimasta incinta ma non è ancora sposata: dramma. Il tuo vicino di casa ha sparlato di te in paese: dramma. Tuo figlio è stato bocciato a scuola: dramma. Un amico prete si è sposato: dramma. Un piccolo battibecco in ufficio, uno che ti ha fatto uno sgarbo, uno che ti "è passato davanti": dramma. Mi viene cambiata la mansione al lavoro, arriva un nuovo collega, cambio di parrocchia: dramma. Succede un inconveniente con l'auto, si brucia qualcosa finché cucinavo: dramma.
Alcune persone vivono la vita in maniera drammatica, angosciate, disperate, un po' perché lo vogliono loro. Ogni situazione viene amplificata, ingigantita; un problemuccio diventa la fine del mondo, una difficoltà diventa l'irreparabile, l'irrisolvibile. Tutto è problema, tutto è angoscia, tutto è grave.
Un giorno mia madre ebbe un attacco isterico perché presi un brutto voto a scuola (cosa che succedeva raramente): "Gravissimo!", mi disse. Ma che gravissimo, vediamo di non ingigantire la realtà. E ci stette male per molti giorni. Quante volte si sente dire in giro: "Non potevi farmi una cosa peggiore; questa cosa è imperdonabile; è tragico ciò che hai fatto". Di fronte alla vita c'è un'esasperazione delle situazioni, siamo drastici, siamo eccessivi. Così ogni giornata sembra lo sbarco di Normandia, un pericolo, un'ansia terribile, un'impresa titanica. Vivendo così anche un dosso sembra l'Everest: ma che vita è? Ma perché dover distruggersi sempre dalla fatica?
"Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai; la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il tuo Salvatore... Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo" (Is 43,1-4). Maria ed Elisabetta sono donne totalmente donate al Signore della Vita, perché hanno saputo vedere ogni istante non con i loro occhi ma con gli occhi di Dio. In contesti e avvenimenti così duri e ostici non sono rimaste nella periferia dei fatti, nel bordo, guardando solo ciò che si vedeva con il primo sguardo, la prima impressione, scorgendone solo l'orrore, la difficoltà o la durezza. Con-fidavano in Dio e si sono abbandonate a Lui e quando tutto sembrava negativo hanno continuato a confidare e a fidarsi. E quando tutto sembrava irreversibile hanno continuato a lasciar fare a Lui che da lassù vede molto meglio di noi. E non si sono date troppo pena, non hanno drammatizzato le situazioni: magari non capivano (2,19) ma sapevano che Lui sapeva tutto e questo bastava loro per non angosciarsi.
Donne che si sono fidate, donne che si sono sentite amate, donne che hanno detto: "Avvenga di noi quello che tu vuoi, ci sei Tu, non c'è d'aver paura" (1,38), donne, insomma, che hanno con-fidato in Dio e non in se stesse o nell'apparenza. E non drammatizzando neppure situazioni realmente complesse, difficili e articolate, hanno vissuto la danza della vita, hanno potuto cantare di gioia, hanno potuto essere piene di felicità
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La mia fede non è solo cantare...Maria mi spinge a lottare, a schierarmi

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Continua...La mia fede non è solo cantare le lodi nella liturgia della chiesa, la mia fede deve scendere nelle piazze, deve protestare contro il sistema economico iniquo che riduce l'occidentale ad un robot e l'africano alla fame; deve dire "no" e scioperare e trovare strumenti di protesta non violenti contro lo sfruttamento telefonico (gli sms costano 1 centesimo, mentre noi li paghiamo 15 centesimi), deve trovare forme di aggregazione e di unità come la banca etica o il mercato equo-solidale o altro.
Maria mi spinge a lottare, a schierarmi contro l'ingiustizia, non prendendo mentalmente posizione, ma scendendo giù nelle strade, intervenendo di prima persona e spendendo la mia vita per ciò che dico di credere. Un uomo che non lotta per le proprie idee o non vale l'uomo o non valgono le idee.
Per me uomo maschio, poi, è un pugno secco allo stomaco: "Ma che uomo sei? Ma guardati: per cosa lotti? Puoi chiamarla lotta avere un corpo muscoloso, scolpito, un auto sfolgorante, un'immagine da esibire? Ti distendi davanti la tv, una slot machine, un computer e poltroni per ore; non sai mettere la tua maschilità in gioco per qualcosa di sociale e ti definisci uomo? Dov'è finito il tuo lato maschile, selvaggio, l'eroe che c'è in te, il William Wallace, il Gandhi, il Gesù, l'uomo che si batte per ciò che crede, l'uomo che è disposto a pagare sulla sua pelle e di persona, che si espone, che rischia, che non si piega per interesse o vantaggi? Dov'è la tua energia?".
Il Magnificat fa irrompere la voglia di mordere la vita, di provare a fare qualcosa, di plasmare almeno un po' questo mondo, di agire, di trasformare la mia fede in prassi. Sacrificium viene da "sacrum facere": è la disponibilità al sacrificio, la capacità di donare e di offrire qualcosa che sia sacro. Il Magnificat contatta la mia identità profonda di uomo-maschio che non vive né per il denaro né per il potere né per il sesso né per il successo, ma per la verità, per la voce di Dio, per incanalare l'energia maschile in maniera appassionante, combattiva e per qualcosa che sia al di sopra degli interessi personali o di parte.

Maria ed Elisabetta si benedicono, cantano, danzano, sono piene di vita perché comprendono...

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Continua...Il compito di ogni uomo allora è essere madre, cioè dare alla luce ciò che ha dentro, dare forma a ciò che è informe, far nascere, partorire il mistero che contiene in sé. La chiamata per tutti noi è quella di generare la nostra anima, di far nascere il Dio che ci abita, che chiede spazio in noi, che chiede di vivere nella nostra vita.
Non so cosa mi abita, non so dove mi porterà; come non conosco il volto di mio figlio, come lo ricevo come un dono che accoglierò incondizionatamente, al di là di come sarà, così sono chiamato a prendermi cura del "figlio", del mistero che vuole nascere in me. Sarò padre e madre non tanto se avrò figli naturali ma se saprò generare il mistero di Dio che chiede di nascere in me. Sarò padre e madre se sarò servo rispetto a questa gravidanza, se la rispetterò, se non vorrò deciderla io, se non mi attaccherò alle mie idee sulla mia vita, ma la accoglierò per come lei si presenterà. La strage degli innocenti non è tanto un fatto storico, ma è ciò che accade ogni qualvolta il nostro mondo interiore non viene dato alla luce, ogni qualvolta si rifiuta la nascita a ciò che deve nascere, si rifiuta la vita a ciò che deve vivere. Quando l'uomo non genera il Figlio dell'Uomo (il Dio, il progetto inscritto in sè) allora si compie questa strage; ogni qualvolta l'uomo si dimentica dell'anima, ogni qualvolta l'uomo vive disinteressandosi di ciò che ha dentro, ogni qualvolta l'uomo vive presumendo dal Dio che ha in sé compie delle terribili tragedie. I nostri figli naturali muoiono lungo le strade per corse folli, nelle discoteche tra stordimento e droghe, nelle case tra depressioni e senso di vuoto perché noi genitori di ruolo, ma incapaci di generare, non siamo stati in grado di generare il nostro mondo interiore, perché noi li abbiamo privati delle radici, perché noi abbiamo tagliato loro le gambe alienandoli dalla loro anima e dal loro profondo. E l'esterno è soltanto l'oggettivazione dell'interno.
Io ho un segreto, un "figlio" che vuole nascere. Io ho qualcosa da dire, da far nascere, da mettere al mondo; io non sono qui per sbaglio: lo sarò stato, magari, per i miei genitori, lo sarò per la società, ma non lo sono per Dio. Tutta la mia vita ruota attorno a questa fede: crederci o non crederci. Tutta la mia felicità starà nella scelta tra dar luce o tenere nel buio tutto questo. A volte il tempo di gestazione è di nove mesi, a volte di quarant'anni; a volte il parto è semplice e naturale, a volte il parto è lungo, doloroso: un travaglio. Ma c'è qualcosa in me che viene da più lontano di me, che è mio ma che non è mio, che mi abita ma che non possiedo. C'è un "figlio" che vuole nascere! Maria ed Elisabetta si benedicono, cantano, danzano, sono piene di vita perché comprendono che attraverso di loro si sta compiendo qualcosa che le supera, qualcosa di più grande. Il mistero sta prendendo corpo, sangue, forma in loro. Loro si sono fidate, gliel'hanno permesso, e adesso ciò che era nascosto, oscuro prende volto e nome.
Poi Maria canta il Magnificat. Certamente Maria non ha mai detto, né scritto il Magnificat, che è un testo, un inno liturgico della prima comunità cristiana, ma esprime un lato importante di Maria. Maria non è solo l'umile donna, la serva fedele al Signore, tutta obbediente e passiva a Dio. Il Magnificat è un inno di lotta contro l'oppressione e per la giustizia. Quando leggo questo canto sento un'onda d'urto verso tutte le falsità e le ipocrisie, sento l'indignazione per quei rapporti di potere e di oppressione che vedo attorno, sento il desiderio di battermi contro le strutture d'ingiustizia. Maria qui è più vicina a Giovanna d'Arco che all'umile serva sempre in remissivo ascolto.

Maria è come me e come te. Allora questa festa è una grande speranza, una grande forza per la nostra vita

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Oggi la chiesa celebra la festa dell'Assunzione di Maria in cielo: celebriamo Maria, una di noi, già arrivata in anima e corpo alla meta dove tutti noi un giorno arriveremo. Anche Gesù, vero uomo, è asceso al cielo, ma in quanto figlio di Dio potremmo sentirlo diverso da noi. Maria no, Maria è come me e come te. Allora questa festa è una grande speranza, una grande forza per la nostra vita: non c'è da aver paura, non c'è da temere, perché andiamo verso la luce, verso qualcosa di buono; non c'è da aver paura perché ciò che ci aspetta è qualcosa che ci realizzerà, che soddisferà tutte le nostre nostalgie e i nostri desideri profondi; non c'è da aver paura perché le Grandi Mani di Dio ci stanno aspettando e, qualunque sia la nostra vita e il nostro percorso, stanno per abbracciarci e per far festa: eravamo così tanto attesi, così tanto aspettati (15, 11-32)!
Il vangelo ci presenta l'incontro di due donne. Entrambe sono uscite dalle loro posizioni per andare verso qualcosa che non sanno, che è ancora oscuro, buio, ma che chiede di nascere. Maria si è messa in viaggio (1,39); Elisabetta era sterile e avanti negli anni (1,7). Entrambe hanno un mistero, un figlio, un progetto da partorire; c'è qualcosa di informe in loro che chiede spazio, chiede di prendere forma nelle loro vite. I loro nomi sono il segno della loro vita: Elisabetta "Dio sazia" e Maria "acque feconde, gravide di vita" sono non solo i loro nomi ma anche il loro destino, la loro vocazione. Ma anche Adamo, simbolo di tutti gli uomini, ha inscritto nel suo nome il suo compito di generare: perché Adamo (a-d-m) è la porta (d) della madre (a-m).

il modo con cui si può fare della vita un autentico capolavoro


Vogliamo parlare della libertà e del suo esercizio. L'esercizio della libertà consiste nella capacità di assumere innanzitutto la cura di se stessi, di scegliere, di prendere delle decisioni e di restarvi fedeli. Decidere significa leggere la realtà con il pensiero per interpretare, valutare, stabilire connessioni, distinguere, astrarre.

L'atto della decisione non può essere lasciato agli altri, ma neanche all'impulso del momento e all'emozione. Esige l'esercizio della riflessione e del discernimento. Solo così potremo evitare il rischio in cui oggi è facile incorrere: di restare degli eterni indecisi che si bloccano con una infinità serie di possibilità senza alcun "aut-aut" che costringa a scegliere e conduca così ciascuno a dare forma precisa e personale alla propria umanità.

Lo sappiamo bene, anche decidere è un'operazione dolorosa perchè comporta dire dei no, tralasciare delle possibilità, comporta rinunce, riconoscere che il tutto non è alla nostra portata e che i limiti sono l'alveo al cui interno soltanto può avvenire la nostra libertà. Ma chiunque opera delle scelte significative per la propria vita (scegliere un certo tipo di scuola, un certo lavoro, un modo di vivere) non lo fa pensando agli infiniti "no" (ad altre scuole, ad altri lavori ad altri modi di vivere) che di fatto dice, ma solo al sì che lo porta privilegiare una cosa rispetto ad un'altra.

E qui occorre ricordare che la libertà non è mancanza di vincoli ma è sempre libertà all'interno di legami e di limiti. La liberta non coincide con ciò che è più facile o immediato, ma esige una disciplina, un ordine. L'uomo libero è colui che sa determinarsi in modo libero a certe azioni e che sempre rispetta la libertà degli altri.

Può forse sembrare difficile tutto questo, ma è il modo con cui si può fare della vita un autentico capolavoro, un'opera d'arte, rifuggendo la tentazione del nichilismo, del ripiegamento su di sè, della cultura della sopravvivenza senza alcuna progettualità. Questo lavoro è umano, è umanissimo e attende tutti noi. Ne dipende la nostra felicità e il nostro futuro, ma anche la nostra capacità di vivere con gli altri.(E.Bianchi)