sabato 9 luglio 2011

sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza

Innamoramento

di Christos Yannaras


Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l'amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso d'argilla della tua esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l'eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.

sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza

Innamoramento

di Christos Yannaras


Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l'amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso d'argilla della tua esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l'eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.

entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti

Diario clandestino (Dalla conversazione “Baracca 18” Lager di Beniaminovo–1944)
di Giovanni Guareschi


Signora Germania
Signora Germania, tu mi hai messo tra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. E’ inutile
 signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti.
Signora Germania, tu frughi nel mio sacco e rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. E’ inutile signora Germania: tu non puoi trovare niente, e invece lì sono nascosti documenti d’importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire. E questo è ancora niente, signora Germania. Perché c’è anche una grande carta topografica al 25.000 nella quale è segnato, con estrema precisione il punto in cui potrò ritrovare la fede nella giustizia divina.
Signora Germania, tu ti inquieti con me, ma è inutile. Perché il giorno in cui, presa dall’ira farai baccano con qualcuna delle tue mille macchine e mi distenderai sulla terra, vedrai che dal mio corpo immobile si alzerà un altro me stesso, più bello del primo. E non potrai mettergli un piastrino al collo perché volerà via, oltre il reticolato, e chi s’è visto s’è visto.
L’uomo è fatto così, signora Germania: di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro ce n’è un altro e lo comanda soltanto il Padre Eterno. E questa è la fregatura per te signora Germania.

venerdì 8 luglio 2011

mi convinsi che non era temerario sostenere la fede cattolica


da Agostino di Ippona, Confessioni, V,13,23-24
Incontrai il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori, e tuo devoto servitore. In quel tempo la sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino. A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te. Quell'uomo di Dio mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza. Frequentavo assiduamente le sue istruzioni pubbliche, non però mosso dalla giusta intenzione: volevo piuttosto sincerarmi se la sua eloquenza meritava la fama di cui godeva, ovvero ne era superiore o inferiore. Stavo attento, sospeso alle sue parole, ma non m'interessavo al contenuto, anzi lo disdegnavo. La soavità della sua parola m'incantava. Era più dotta, ma meno gioviale e carezzevole di quella di Fausto quanto alla forma; quanto alla sostanza però, nessun paragone era possibile: l'uno si sviava nei tranelli manichei, l'altro mostrava la salvezza nel modo più salutare. [...]
Non badavo dunque a imparare i temi, ma solo ad ascoltare i modi della sua predicazione. Sfiduciato ormai che all'uomo si aprisse la via per giungere a te, conservavo questo futile interesse. Pure, insieme alle parole, da cui ero attratto, giungevano al mio spirito anche gli argomenti, per cui ero distratto. Non potevo separare gli uni dalle altre, e mentre aprivo il cuore ad accogliere la sua predicazione feconda, vi entrava insieme la verità che predicava, sia pure per gradi. Dapprima, incominciai a rendermi conto ormai che anche le sue tesi erano difendibili, e ormai mi convinsi che non era temerario sostenere la fede cattolica, benché fino ad allora fossi stato persuaso che nessun argomento si potesse opporre agli attacchi dei manichei.

giovedì 7 luglio 2011

pronto ad essere padre a mia volta e a spiegare a mio figlio bambino come ogni destino si unisce si confonde e si intreccia in comune con le altre persone



Jovanotti con la canzone Mario racconta della strage di via Fani e di suo padre Mario



Mi ricordo da bambino che mio padre era spesso arrabbiato con me
e non sapevo perché.
Ritornavo dalla scuola verso l'una e quaranta
e la fame era tanta,
con mia madre che diceva che c'è?
Lorenzo dimmi che c'è?
Come è andata come mai non mi dici mai niente?
Ma che razza di gente, questi figli che ho.
Certe volte non so
cosa ho fatto per vedervi dire sempre di no,
non lo so.
Non lo so ma ti droghi? Fai vedere le braccia,
ma che razza di faccia.
Non mi piace per niente
quella razza di gente
con la quale ti vedi.
Ma che cosa ti credi
che tuo padre ed io non ti vogliamo bene?
Sempre le stesse scene
ogni giorno ogni sera
quella stessa atmosfera.
Mentre mio padre mi vedeva crescere
lui mi sembrava non potesse invecchiare
mentre crescevo tre centimetri l'anno
lui era sempre uguale.
Mi ricordo a dodici anni un pomeriggio di sole mi portò a un funerale,
ma era uno speciale,
che non c'era neanche un morto parente,
neanche un conoscente,
solo un sacco di gente
seria molto composta
una specie di festa al contrario.
E mio padre Mario
mi diceva: quando avrai un po' più anni
potrai dire io c'ero
ai funerali degli agenti della scorta di Moro.
Questa sera quasi ventisette anni sto leggendo il giornale
e di quel funerale
mi risale l'immagine in mente
e ho chiarissimo in testa quel concetto di festa al contrario
e di mio padre Mario
che per come era sempre severo
mi appariva sincero
nel dolore del restare impotente
insieme a molta altra gente
che sostava di fronte al potere di pochi
sulla vita di molti
e a quei volti sconvolti
delle madri delle mogli dei parenti e dei figli degli agenti della scorta di Moro
e mio padre Mario era così serio.
E mi teneva sulla testa una mano.
Quel pomeriggio è lontano quasi venti anni fa,
i negozi che chiudevano in tutta la città,
ogni cosa era strana.
Nella mia fantasia non capivo
perché in giro c'era tutta quella polizia,
le sirene spiegate,
le serrande abbassate.
Sono più grande ma le cose non sono cambiate.
La mia mano è più grande e mio padre più anziano,
la mia mamma si preoccupa perché sono lontano.
Questa storia che ho detto con la rima baciata
non so forse neanche io perché ve l'ho raccontata,
forse il centro di tutto è quella mano che mio padre mi appoggiò sulla testa,
questo è quanto mi resta.
Un ricordo profondo
grande come il mondo,
questo gesto che mio padre ebbe il cuore di fare,
questo gesto d'amore mille volte più potente di un pugno
in questa notte di giugno
in cui scrivo
mi fa essere vivo,
pronto ad essere padre a mia volta e a spiegare a mio figlio bambino
come ogni destino
si unisce si confonde e si intreccia in comune con le altre persone.
Gli dirò che ogni schiaffo ed ogni pugno che è dato,
ogni piccolo diritto che nel mondo è violato,
è una ferita per tutti gli esseri della terra
e finché non c'è giustizia ci sarà sempre guerra.

fin dal mattino, apriamo la nostra anima alle piccole solitudini della giornata

Come colui che lascia Parigi per il deserto sorride da lontano alla solitudine; 
come il viaggiatore che attende con cuore ansioso le lunghe giornate al mare; 
come il monaco che accarezza con gli occhi i muri della sua clausura, 
così, fin dal mattino, apriamo la nostra anima alle piccole solitudini della giornata. 
Perché
le nostre piccole solitudini sono grandi,
esaltanti, sante al pari di tutti i deserti del mondo;
esse, che sono abitate da Dio stesso, il Dio che fa santa la solitudine.
Solitudine del nero asfalto che separa la nostra casa dalla fermata del tram, solitudine di un banchetto al quale altri esseri portano la loro parte di mondo, solitudine dei lunghi corridoi in cui scorre il flusso continuo di tutte le vite in cammino verso una nuovo giornata.
Solitudine dei momenti in cui, accovacciati davanti alla stufa, si attende la fiamma del pezzetto di legna prima di mettere il carbone;
solitudine della cucina davanti alla pentola dei legumi.
Solitudine quando si lucida ginocchioni il pavimento, lungo il sentiero dell'orto in cui si va a cogliere un mazzo d'insalata.
Piccole solitudini della scala che si scende e si sale cento volte al giorno.
Solitudine delle lunghe ore di bucato, di rammendo, di stiratura.
Solitudini che potremmo temere e che sono lo svuotamento del nostro cuore:
persone care che se ne vanno e che vorremmo con noi;
amici che si aspettano e che non arrivano;
cose che si vorrebbero dire e che nessuno ascolta;
estraneità del nostro cuore in mezzo agli uomini.
Il primo passo verso la solitudine è una partenza.
Il vero deserto lo si raggiunge, nel duplice senso del termine, prendendo il treno, la nave o l'aereo.
Noi non sappiamo distinguere le numerose piccole partenze che si susseguono in una giornata perché non arriviamo mai alle solitudini che sono nostre, alle solitudini che ci sono state preparate.
Per il solo fatto che uno stato di solitudine non è separato da noi che dallo spessore di una porta o dal periodo di un quarto d'ora, non gli riconosciamo il suo valore di eternità, non lo prendiamo sul serio, non lo affrontiamo come un complesso unitario, adatto alle rivelazioni essenziali.
Poiché il nostro cuore non sa attendere, i pozzi di solitudine di cui sono disseminate le nostre giornate ci rifiutano l'acqua vitale di cui traboccano. Noi abbiamo la superstizione del tempo.
Se “il nostro amore richiede tempo”,
l'amore di Dio si fa gioco delle ore,
e un'anima disponibile può essere sconvolta da Lui in un istante.
“Ti condurrò nella solitudine e parlerò al tuo cuore”.
Se le nostre solitudini sono per noi dei cattivi conduttori della Parola,
è perché il nostro cuore è assente.
tratto da AA.VV., La solitudine, 1966 Madeleine Delbrêl

mercoledì 6 luglio 2011

il suo stato principesco, la meraviglia della sua natura: attendere, attendere, attendere

Lo stato di crisi è lo stato naturale di tutto il mondo: una guerra dopo l'altra, un'invenzione dopo l'altra, un fatturato contro un tasso di suicidi, una carestia per dei profumi di lusso. Al mondo si mescola tutto. Al mondo va tutto insieme tranne l'amore. Non va assieme a niente. Non è da nessuna parte. Manca. Manca come il pane nei periodi di guerra, come il respiro nella gola dei moribondi. Manca come il tempo nei giochi d'infanzia. E' che serve tempo per amare, talmente tanto tempo che non basta per rispondere ai bisogni dell'amore in noi. alle domande dentro di noi della voce, del sangue, del sangue latteo nella voce firmamento. La cometa dell'amore ci sfiora il cuore solo una  volta  per eternità. Occorre vegliare per vederla . Bisogna aspettare tanto, tanto, tanto. E' questo lo stato naturale dell'amore. E' questo il suo stato principesco, la meraviglia della sua natura: attendere, attendere, attendere. Il più lontano possibile dalla fretta e dal rumore. Lontano da ogni  crisi. Attendere con calma. Attendere con pazienza.
Mille candele danzanti p. 23 Christian Bobin

la mia amicizia per tutti gli istanti che ne avrai bisogno. ma anche per tutti gli altri

Ti auguro Semplicità
Per essere capace di trovare grandi gioie nei piccoli gesti di ogni giorno
Ti auguro Coraggio,
per essere capace di lottare contro la paura
Ti auguro Pace
Per essere capace di donare e ricevere il perdono
Ti auguro Speranza
Per essere capace di vivere nella luce
Ti auguro Spontaneità
Per essere capace di dare senza fini egoistici
Ti auguro Forza
Per essere capace di camminare anche tra le difficoltà
Ti auguro Sogni
Per essere capace di realizzarli
Ti auguro Vita
Per essere capace di raccontarla a chi non sa capirla
Ti auguro Felicità
Per essere capace di assaporare ogni istante come un tesoro
Ti auguro Amore
Per essere capace di donarti all'altro
Nella purezza della semplicità e nella pienezza della gratuità.
Ti auguro ogni cosa che il tuo cuore
possa catturare per bellezza, felicità e stupore e
Ti dono il mio affetto sincero e la  mia amicizia
per tutti gli istanti che ne avrai biso
gno.
ma anche per tutti gli altri!

martedì 5 luglio 2011

vedere il viso della libertà accerchiato da due ramoscelli d’ulivo

da uno scambio di corrispondenza con il poeta  Samiĥ al-Qasim, rimasto a vivere nel suo villaggio di ar-Ramah, in Galilea
“Hai ragione. Hai ragione: abbiamo bisogno urgente della prima fede e del primo fuoco. Abbiamo bisogno della nostra semplicità. Abbiamo bisogno del primo insegnamento della patria: Resistere con tutto ciò che possediamo di tenacia ed ironia. Con tutto ciò che possediamo di furore. Nei momenti critici aumentano le profezie. Ed eccomi vedere il viso della libertà accerchiato da  due ramoscelli d’ulivo”. Lo vedo sorgere da un sasso”.
Maĥmud Darwish; Parigi 05/08/1986

lunedì 4 luglio 2011

Prendi nota, sono arabo. Ti secca?


Prendi nota
sono arabo
carta di identità numero 50.000
bambini otto
un altro nascerà l’estate prossima.
Ti secca?


Prendi nota
sono arabo
taglio pietre alla cava
spacco pietre per i miei figli
per il pane, i vestiti, i libri
solo per loro
non verrò mai a mendicare alla tua porta.
Ti secca?


Prendi nota
sono arabo
mi chiamo arabo non ho altro nome
sto fermo dove ogni altra cosa
trema di rabbia
ho messo radici qui
prima ancora degli ulivi e dei cedri
discendo da quelli che spingevano l’aratro
mio padre era povero contadino
senza terra né titoli
la mia casa una capanna di sterco.
Ti fa invidia?


Prendi nota
sono arabo
capelli neri
occhi scuri
segni particolari
fame atavica
il mio cibo
olio e origano
quando c’è
ma ho imparato a cucinarmi
anche i serpenti del deserto
il mio indirizzo
un villaggio non segnato sulla mappa
con strade senza nome, senza luce
ma gli uomini della cava amano il comunismo.

Prendi nota
sono arabo e comunista
Ti dà fastidio?
Hai rubato le mie vigne
e la terra che avevo da dissodare
non hai lasciato nulla per i miei figli
soltanto i sassi
e ho sentito che il tuo governo
esproprierà anche i sassi
ebbene allora prendi nota che prima di tutto
non odio nessuno e neppure rubo
ma quando mi affamano
mangio la carne del mio oppressore
attento alla mia fame,
attento alla mia rabbia.

Mahmoud Darwish

Maĥmud Darwish nacque ad al-Birwah, un villaggio presso la città di Ăkka, in Galilea, Palestina, nel 1941. All’età di sette anni, nel 1948, visse la tragedia del suo popolo, quando il suo villaggio fu attaccato dai sionisti e la  popolazione si disperse in altri luoghi. La famiglia Darwish lasciò la Galilea e si trasferì in Libano, sfuggendo alla  situazione che si era  venuta a creare dopo l’occupazione militare israeliana. Il padre di Darwish, però, rifiutò di diventare profugo e preferì ritornare nella sua patria. Al rientro in Palestina, un anno dopo, la famiglia  trovò il suo villaggio completamente distrutto, ed al suo posto un insediamento ebraico. Così,   si stabilrono in un  villaggio di nome Deir el-Asad: il senso dello smarrimento entra nella vita del poeta in tenera età, e da quel momento in poi, Darwish si sentirà sempre  “un profugo nella sua patria”.
E' morto il 9 agosto 2008  all’ospedale di Huston (Texas) dopo un’operazione al cuore, fatta il 6 agosto. Mahmoud Darwish era già stato operato al cuore due volte, nel 1984 e nel 1988. E’ uno dei più grandi poeti contemporanei in lingua araba, con una produzione di straordinario lirismo segnata dai drammi dell'esilio e della occupazione vissuta dal popolo palestinese.

domenica 3 luglio 2011

Bisogna spezzare minutamente il cuore. Temi che perisca perché frantumato?

L'ira di Davide si scatenò contro quell'uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell'uomo! Così dice il Signore, Dio d'Israele: Io ti ho unto re d'Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore facendo ciò che è male ai suoi occhi? ...poiché tu l'hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole»
Dal secondo libro di Samuele 12, 1-25


Gli uomini privi di speranza, quanto meno badano ai propri peccati, tanto più si occupano di quelli altrui. Infatti cercano non che cosa correggere, ma che cosa biasimare. E siccome non possono scusare se stessi, sono pronti ad accusare gli altri. Non è questa la maniera di pregare e di implorare perdono da Dio, insegnataci dal salmista, quando ha esclamato: «Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 50, 5). Egli non stava a badare ai peccati altrui. Citava se stesso, non dimostrava tenerezza con se stesso, ma scavava e penetrava sempre più profondamente in se stesso. Non indulgeva verso se stesso, e quindi pregava sì che gli si perdonasse, ma senza presunzione.
Vuoi riconciliarti con Dio? Comprendi ciò che fai con te stesso, perché Dio si riconcili con te. Poni attenzione a quello che si legge nello stesso salmo: «Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti» (Sal 50, 18). Dunque resterai senza sacrificio?... 
Dice il salmista: «Se offro olocausti, non li accetti». Perciò dal momento che non gradisci gli olocausti, rimarrai senza sacrificio? Non sia mai. «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi» (Sal 50, 19). Hai la materia per sacrificare. Non andare in cerca del gregge, non preparare imbarcazioni per recarti nelle più lontane regioni da dove portare profumi. Cerca nel tuo cuore ciò che è gradito a Dio. Bisogna spezzare minutamente il cuore. Temi che perisca perché frantumato? Sulla bocca del salmista tu trovi questa espressione: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 50, 12). Quindi deve essere distrutto il cuore impuro, perché sia creato quello puro.
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 19, 2-3; CCL 41, 252-254)

una domenica speciale