sabato 17 marzo 2012

il mio luz non si trovava dentro di me


Gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse  un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all'estremità della spina dorsale.
Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell'ossicino,
l'uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l'ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho
smesso di cercarlo. L'ho dichiarato disperso finché l'ho visto nel cortile della scuola. Subito quell'idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trovava dentro di me, bensì in un'altra persona.
(David Grossman, Che tu sia per me il coltello, Mondadori)

venerdì 16 marzo 2012

Il senso della vita: la mancanza

Christian Bobin
 Vuoi sapere chi tu sei per me.
 E allora ecco: tu sei colei che mi impedisce di bastarmi. 
 Tu mi hai dato la cosa più preziosa di tutte: la mancanza!

 di Umberto Galimberti (filosofo)
Che cosa lega queste quattro parole: amore, lavoro, pace, salute, intorno a cui si svolge la mostra fotografica di National Geographic Italia ideata da Guglielmo Pepe? Le lega un filo, neppure troppo sotterraneo, che caratterizza la malinconia del nostro tempo che si chiama “mancanza”.
Amore è mancanza. Ce lo spiega a chiare lettere Platone nel Simposio, dove si narra di Amore figlio di Penía che significa “povertà”. Intimamente connesso al desiderio, infatti, Amore non desidera ciò che si ha, ma ciò che non si ha, per cui la mancanza le è costitutiva. È da questa mancanza che nasce la tensione amorosa, che promuove entusiasmo e disperazione, anelito e spasmo, che tutti gli amanti conoscono quando l’oggetto d’amore non sembra sia mai sufficientemente conquistato. Perché quando l’oggetto è posseduto, lo si gode, ma non lo si desidera più. Ma anche il lavoro è mancanza, non solo perché la crisi ha reso rare le opportunità, ma perché l’avanzare della tecnica riduce l’impiego degli uomini sostituiti dai robot, e ridotti essi stessi a robot, dovendo eseguire null’altro che le azioni descritte e prescritte dagli apparati tecnici, senza più nessuna ideazione, che invece caratterizzava la produzione artigianale, dove l’artefice vedeva nell’opera il riflesso di sé. Ora le categorie dell’efficienza e della produttività hanno cancellato ogni espressione creativa del lavoratore che, oggi, nell’opera, vede realizzato solo l’obiettivo dell’apparato di appartenenza, e non l’autorealizzazione di sé. Si tratta di un’alienazione ben più grave di quella prevista da Marx. Ma anche la pace è mancanza perché durante la pace non cessa quell’impossessarsi dei beni della terra con mezzi meno truculenti di quelli tipici della guerra tradizionale. Il mercato è guerra, le multinazionali che si impadroniscono dei beni della terra a scapito delle popolazioni locali è guerra, le monoculture che si impongono alle nazioni povere è guerra, il respingimento degli immigrati in cerca di vita è guerra, l’impoverimento della vita delle nazioni per effetto di operazioni finanziarie di cui le nazioni sono relativamente responsabili è guerra. Per cui non possiamo che concordare con Heidegger là dove scrive: “Ogni differenza tra guerra e pace oggi è soppressa, […] perché la guerra non va verso una pace di tipo tradizionale, ma verso una situazione in cui i caratteri costitutivi della guerra non sono più esperiti come tali, e ciò che costituisce la pace ha perso ogni senso e ogni contenuto”. Ma anche la salute è mancanza. Non nel senso che siamo tutti malati, ma che ci percepiamo come potenzialmente malati. Non si spiegherebbero tutte quelle cure del corpo che hanno sostituito la cura dell’anima, una volta persa la fiducia nella sua immortalità. Ai digiuni abbiamo sostituito le diete, agli esercizi spirituali gli esercizi fisici in palestra, i ritiri nei centri benessere. E all’inquietudine che sempre accompagna la condizione umana, i farmaci,e alle sofferenze che di tanto in tanto costellano la nostra vita, le psicoterapie. Siamo tutti afflitti da un vissuto di vulnerabilità per aver allontanato da noi ed esorcizzato la morte, e ci preoccupiamo della salute che è poi l’ultimo cascame della perduta fede nella salvezza. I medici sono i nuovi sacerdoti, perché non accettiamo più i limiti della nostra esistenza mortale. Per questo la mostra curata da Guglielmo Pepe chiede meditazione e seria riflessione.

 Certo che ti farò del male. 
 Certo che me ne farai. 
 Certo che ce ne faremo.  
 Ma questa è la condizione stessa dell'esistenza. 
 Farsi primavera, significa accettare il rischio dell'inverno. 
 Farsi presenza, significa accettare il rischio dell'assenza.
Antoine de Saint-Exupéry

giovedì 15 marzo 2012

difficile fermarci, ascoltare, fare attenzione e ricevere garbatamente ciò che ci viene offerto

 Non è facile per noi, gente indaffarata, ricevere veramente una benedizione. Forse il fatto che poche persone offrono una vera benedizione è il triste risultato dell’assenza di persone che sono disposte e capaci di ricevere una tale benedizione. Per noi è diventato estremamente difficile fermarci, ascoltare, fare attenzione e ricevere garbatamente ciò che ci viene offerto. 
 Vivere con persone che hanno handicap mentali mi ha chiarito le idee al riguardo. 
Queste persone hanno molte benedizioni da offrire, ma quando sono sempre occupato, sempre impegnato in qualcosa di importante, come posso ricevere quelle benedizioni? Adam, uno dei membri della mia comunità, non può parlare, non può camminare da solo, non può mangiare senza aiuto, non può vestirsi e svestirsi da sé, ma ha delle grandi benedizioni da offrire a coloro che spendono il proprio tempo per stare con lui, sostenendolo o solo stando seduti vicino a lui. Non ho ancora incontrato nessuno che abbia passato molto tempo con Adam senza sentirsi benedetto da lui. È una benedizione che viene dalla semplice presenza. C’è sempre ancora tanto da fare, tanti compiti e lavori da portare a termine, che questa semplice presenza può facilmente sembrare inutile e anche una perdita di tempo. Eppure, senza un cosciente desiderio di “sprecare” il nostro tempo, è difficile ascoltare la benedizione. Questa attenta presenza può permetterci di vedere quante benedizioni abbiamo da ricevere: 
la benedizione del povero che ci ferma per strada, 
la benedizione delle gemme degli alberi e dei fiori freschi che ci parlano di una nuova vita, 
la benedizione della musica, della pittura, della scultura e della architettura, 
ma soprattutto 
le benedizioni che ci vengono attraverso parole 
di gratitudine, 
incoraggiamento, 
affetto e amore. 
Queste molte benedizioni non hanno bisogno di essere inventate. 
Sono qui, ci circondano da ogni parte, ma dobbiamo esser presenti e riceverle. 
Esse non si impongono a noi. 
Sono il dolce ricordo della bella, forte, ma nascosta voce di colui che ci chiama per nome e dice cose buone di noi. (Henri Nouwen, Sentirsi amati).

mercoledì 14 marzo 2012

E Dio resta in silenzio, e non si difende quando lo insultano

Il mondo è quasi coerente senza Dio. E Dio resta in silenzio, e non si difende quando lo insultano, né invia i suoi fulmini, quando lo negano. 
Tutto è in silenzio, però è un mutismo ostile
E se vogliamo pregare, la nostra preghiera è senza dialogo; è il grido del vento in una casa in rovina. Tuttavia, Dio ascolta la nostra angoscia, anche se sembra distante... 
Signore del silenzio, 
ti offriamo questa solitudine; la nostra solitudine assoluta, perché Tu sei ancora assente.
Noi non abbiamo niente più di intimo, nulla più di nostro. 
Ti offriamo la nostra finitezza, le radici del nostro essere, ti offriamo l’angoscia di essere uomini. 
Fa’ che non ci pieghiamo alla disperazione, anche se dentro di noi siamo resi duri come pietra e sentiamo su di noi il soffio della condanna. 
Signore che ti prendi cura dei gigli del campo e dei corvi, perché pare che ti preoccupi così poco di coloro che soffrono? 
Fa che non perdiamo la fiducia; non lasciarci cadere nella morbosità della rottura violenta che porta a sostentarsi nella fosforescenza della morte. La nostra vita ci sembra a volte povera di senso; come la tua sulla croce. Ma tu l’avrai riempito di doni per gli altri. 
Se solo potessimo sapere dove Tu ci porti... 
Nonostante la notte, fa che non diciamo mai: basta, anche se non ce la facciamo più; 
perché tu cominci ad agire proprio nella nostra sconfitta. 
A volte la tua mano non ci sembra amica. 
Però accettiamo che tu ci tratti così. 
Accettiamo tutto, anche senza capirlo. 
Solo questa accettazione totale, ci può liberare dalla disperazione. 
Accettando, esprimiamo un conato supremo di amore e di fede. (Luis Espinal, Silencio de Dios).

martedì 13 marzo 2012

Lara e Sergio


Ecco il mio augurio per Lara e Sergio che presto danzeranno il loro immenso amore con la Benedizione di Dio

Perché un matrimonio sia felice, per non lasciar fuggire i sogni e la tenerezza degli inizi, è necessario darsi del tempo:
Prendete la vostra agenda, e proprio come vi annotereste un concerto o una visita ad amici, annotatevi un appuntamento con voi stessi, con voi due; sia chiaro, queste due o tre ore devono essere "tabù" -diciamo sacre, è più cristiano
 e non mancate a questo appuntamento se non per una ragione altrettanto degna. (H. Caffarel, Pensieri sull'amore e la grazia)



È una delle più belle canzoni di Claudio Chieffo: vengono esplicitati qui con profondità poetica i termini di quell'amore vero che costituisce l'oggetto del nostro desiderio più profondo.
È una delle fondamentali esigenze del nostro io.
Comprendiamo che questo amore vero non è definibile e raggiungibile da noi, ma è un dono: il dono che un Altro ci offre.
È un'esigenza che ci rimanda ad un Altro.



Testo della canzone

Io vorrei volerti bene come ti ama Dio,
con la stessa passione,
con la stessa forza,
con la stessa fedeltà che non ho io.

Mentre l'amore mio
è piccolo come un bambino,
solo senza la madre,
sperduto in un giardino.

Io vorrei volerti bene
come ti ama Dio,
con la stessa tenerezza,
con la stessa fede,
con la stessa libertà che non ho io.

Mentre l'amore mio
è fragile come un fiore,
ha sete della pioggia,
muore se non c'è il sole.

Io ti voglio bene
e ne ringrazio Dio,
che mi da la tenerezza,
che mi da la forza,
che mi da la libertà che non ho io.

lo Spirito di Dio, cioè il senso della vita

“Beati coloro che piangono perché saranno consolati”. Il greco in realtà non dice “coloro che piangono”, ma “che sono in lutto”. Fare il lutto vuol dire accettare che qualcosa o qualcuno mi manchi, abituarmi poco a poco alla mancanza. Non è poco. Siamo un vuoto, abbiamo sempre bisogno di essere riempiti per cui tutte le nostre relazioni sono orientate a riempirci, a renderci importanti per l’altro. Questa seconda beatitudine ci dice che, se sappiamo fare a meno di ciò che ci sembra indispensabile, saremo consolati. Consolato vuol dire non essere più solo, essere con colui che è solo. Ti manca una persona anche molto cara, se sai rinunciare, sarai consolato, perché la vita ti riempirà per fluire; la vita, infatti, non tradisce mai. Sono io a tradire la vita quando la voglio per me e allora non ci sarà mai nessuno a consolarmi. Il lutto è molto importante nella nostra società dei consumi. San Tommaso dice che questa beatitudine è il piangere sulle cose che passano, sulla vanità di ciò che passa. È tenero quando dice questo, perché riconosce che quando non abbiamo le cose che ci offre il mondo – oggi il consumo – piangiamo. E lui dice che sono lacrime benedette perché è lo Spirito di Dio, cioè il senso della vita, che ci fa rinunciare a queste cose per un di più. Vedete come appare il consumo sotto questa luce: abbiamo bisogno di molte cose per stare bene, però se mi viene tolto o se penso che sia meglio farne a meno, forse una parte di me piangerà, ma debbo credere che la vita mi attraversa e mi arricchisce in un altro modo e mi consola. La beatitudine del pianto è veramente un’immagine della tenerezza, accettare di piangere, essere teneri con noi stessi. (Emmanuelle Marie, Pensare e sentire tra violenza e tenerezza).

lunedì 12 marzo 2012

L'amore ha reso fragile il mio Dio

Il mio Dio non è un dio duro, impenetrabile, / insensibile, stoico, impassibile. / Il mio Dio è fragile. / E' della mia razza. / E io della sua. / Lui è uomo e io quasi Dio. / Perché io potessi assaporare la divinità / Lui amò il mio fango. // L'amore ha reso fragile il mio Dio. / Il mio Dio ebbe fame e sonno e si riposò. / Il mio Dio fu sensibile. / Il mio Dio si irritò, fu passionale, / e fu dolce come un bambino. // Il mio Dio fu nutrito da una madre, / ne sentì e bevve tutta la tenerezza femminile. / Il mio Dio tremò dinnanzi alla morte. / Non amò mai il dolore, non fu mai amico / della malattia. Per questo curò gli infermi. / Il mio Dio patì l'esilio, / fu perseguitato e acclamato. // Amò tutto quanto è umano, il mio Dio: / le cose e gli uomini, il pane e la donna; / i buoni e i peccatori. / Il mio Dio fu un uomo del suo tempo. / Vestiva come tutti, / parlava il dialetto della sua terra, / lavorava con le sue mani, / gridava come i profeti. // Il mio Dio fu debole con i deboli / e superbo con i superbi. / Morì giovane perché era sincero. / Lo uccisero perché lo tradiva la verità che era / nei suoi occhi. / Ma il mio Dio morì senza odiare. / Morì scusando più che perdonando. // Il mio Dio è fragile. / Il mio Dio ruppe con la vecchia morale / del dente per dente, / della vendetta meschina, / per inaugurare la frontiera di un amore / e di una violenza totalmente nuova. // Il mio Dio gettato nel solco, / schiacciato contro terra, / tradito, abbandonato, incompreso, / continuò ad amare. / Per questo il mio Dio vinse la morte. / E comparve con un frutto nuovo tra le mani: / la Resurrezione. / Per questo noi siamo tutti sulla via / della Resurrezione: / gli uomini e le cose. // E' difficile per tanti il mio Dio fragile. / Il mio Dio che piange, / il mio Dio che non si difende. // E' difficile il mio Dio abbandonato da Dio. / Il mio Dio che deve morire per trionfare. / Il mio Dio che fa di un ladro e criminale / il primo santo della sua Chiesa. / Il mio Dio giovane che muore / con l'accusa di agitatore politico. / Il mio Dio sacerdote e profeta / che subisce la morte come la prima vergogna / di tutte le inquisizioni della storia. // E' difficile il mio fragile amico della vita. / Il mio Dio che soffrì il morso / di tutte le tentazioni. / Il mio Dio che sudò sangue / prima di accettare la volontà del Padre. // E' difficile questo mio Dio, / questo mio Dio fragile, / per chi pensa di trionfare soltanto vincendo, / per chi si difende soltanto uccidendo, / per chi salvezza vuol dire sforzo e non regalo, / per chi considera peccato quello che è umano, / per chi il santo è uguale allo stoico / e Cristo a un angelo. // E' difficile il mio Dio Fragile / per quelli che continuano a sognare un Dio / che non somigli agli uomini. // (Juan Arias, Il mio Dio)

domenica 11 marzo 2012

sentire che la correzione scaturisce dall’affetto e non da rancore

Anche se l’amico si sente offeso, tu continua a correggerlo. Anche se l’amaro della correzione lo ferisce, tu continua a correggerlo. Le ferite d’un amico sono più tollerabili dei baci degli adulatori. Riprendi dunque l’amico quando sbaglia. Soprattutto, però bada di correggere senza irritazione e senza asprezza, per non sembrare che stai sfogando la tua stizza invece di rimproverare l’altro. Ho conosciuto della gente che maschera l’intimo astio o il bollore della propria collera con il nome di zelo e di franchezza. Seguire le proprie reazioni istintive non hai mai giovato a nessuno, anzi fa molto male. Tra amici questo comportamento è inescusabile. Dobbiamo saper compatire l’amico, comprendere la sua fragilità, considerarne i limiti come se fossero nostri, correggerlo con umiltà e simpatia. Il rimprovero sarà fatto con volto mesto, a mezza voce, mescolando lagrime e parole. Non basta che l’altro veda: deve sentire che la correzione scaturisce dall’affetto e non da rancore. Se lui rifiuta il primo rimprovero, forse accetterà il secondo. Intanto tu prega, piangi, mostrati afflitto e conservagli un tenero affetto. (Aelredo di Rievaulx, Trattato sull’amicizia, 106-107)