venerdì 11 novembre 2011

capaci di compiere opere che hanno valore e durano nel tempo


La crisi e le alternative di fronte alle quali ci si trova
Le percezioni e le constatazioni fin qui elencate diventano, nella vita dell' adulto, la preparazione di un tempo di crisi che andrà inevitabilmente affrontata. L'avverbio "inevitabilmente" è giusto perché non è possibile ritenere buono un atteggiamento che potremmo dire "neutrale". Ci troviamo dinanzi a una difficile alternativa.
La prima è quella che ci conduce a essere scettici, o falsamente ottimisti o in fuga nell'attivismo: «Questo disincanto e disillusione, questa conoscenza della meschinità dell'esistenza prende il sopravvento, e l'uomo diventa scettico e sprezzante, e si riduce a fare meccanicamente il minimo necessario, proprio perché vi è costretto, dato che deve vivere; e forse si ostinerà in un ottimismo forzato, non sentito nel profondo di se stesso; accumulerà lavoro su lavoro; sarà affaccendato in mille cose...». (21) È evidente che una scelta di questo genere copre di nubi il presente e il futuro. Tutto quello che si farà o si dirà non avrà il colore smagliante dell' azzurro di una giornata di sole; avrà piuttosto quello di una grigia giornata d'autunno.
Ma si può fare un'altra scelta chiaramente positiva e coraggiosamente costruttiva che Guardini illustra sia per lo sguardo che ciascuno di noi può recuperare su se stesso, sia per l'atteggiamento da assumere nei confronti delle figure di umanità con le quali ci dobbiamo confrontare ogni giorno.
Quanto al primo aspetto sembra molto importante a Guardini scoprire l'ancoramento antropologico dell'impegno di ciascuno di noi: si tratta della «riaffermazione della vita che viene dalla serietà e dalla fedeltà e che genera un sentimento nuovo del valore dell'esistenza». (22)
Tutto questo avviene, a differenza di quanto poteva caratterizzare l'adolescenza o la giovinezza, mentre si è ormai acquisita «una lucida consapevolezza della realtà. Tale figura è caratterizzata dal fatto che l'uomo vede e accetta ciò che si chiama limite, cioè le insufficienze e le miserie dell'esistenza umana». (23)Questo atteggiamento potrebbe essere equivocato e va dunque attentamente spiegato. La figura dell'uomo ora evocata non cambia, per sopravvivere, l'identità delle cose «non viene a definire l'ingiustizia, il male e la volgarità come aspetti del bene; neppure dichiara ricchezza ciò che è povertà, o verità ciò che è apparenza, o compito ciò che è vuoto. Tutto questo è percepito, ma è "accettato" nel senso che le cose stanno così e che bisogna farsene una ragione». 
(24)
Nel medesimo tempo cerca di intervenire sulla realtà, guidato dal senso di responsabilità e dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana. «Egli non smette di lavorare, continuando anzi fedelmente le opere intraprese; ricomincia sempre daccapo i suoi tentativi di dare ordine e di aiutare, perché è conscio che le azioni umane, in apparenza vane, danno origine ad impulsi, che, dispiegandosi autonomamente, conservano l'esistenza umana, peraltro così profondamente minacciata». (25)
Guardini non si nasconde che «questo atteggiamento esige molta disciplina e molta rinuncia: un coraggio che non ha tanto il carattere dell'audacia, quanto quello della risolutezza». (26)
Credo che andrebbero meditati questi due termini: audacia e risolutezza. È più importante la seconda che non la prima, soprattutto perché la prima può far pensare a qualcosa di eccezionale o di irrazionale, mentre la seconda conduce a considerare ciò che è feriale e viene consapevolmente affrontato. Mi chiedo se non andrebbe maggiormente approfondita e coltivata la virtù della risolutezza, che richiama la virtù cardinale della fortezza.
***
La conclusione di Guardini è un elogio delle persone diventate "adulte". È su di loro infatti «che l'esistenza può fare affidamento. Proprio perché non hanno più l'illusione del grande successo e delle brillanti vittorie, essi sono capaci di compiere opere che hanno valore e durano nel tempo. Questa dovrebbe essere la natura dell'autentico statista, del medico, dell'educatore, in tutte le sue forme». (27)
E aggiunge, come nota finale, che «è lecito giudicare il livello umano, così come le prospettive culturali di un'epoca,
 considerando sia il numero degli uomini di tale levatura che vivono in quel periodo, sia l'ampiezza dell'influsso da essi esercitato». (28)
Come non domandarsi che cosa sta avvenendo in quest'epoca e in questa società? E come non interrogarsi anche sulla nostra azione formativa nei confronti dei giovani: li stiamo conducendo verso l'età adulta? E come non interrogarci su noi stessi, dato che possiamo essere compresi nella categoria indicata da Guardini con il termine "educatori"?
Renato CortiL'ETÀ ADULTA E LA SECONDA CHIAMATA

giovedì 10 novembre 2011

anche quella nella quale emergono i propri limiti


La fase della vita adulta non è però solo quella in cui si tocca con mano di avere delle possibilità, ma anche quella nella quale emergono i propri limiti. Questa scoperta sembra incrinare un quadro che appariva solido e annuncia gradualmente che l'età adulta può conoscere momenti di crisi anche molto dura. Guardini illustra le varie cause di questa crisi. Eccone qualche esempio.
Le prime che egli elenca stanno a dire che si può andare in crisi con se stessi, per una nuova e più severa lettura che si fa di sé.

Scoperta dei propri limiti.

«Ma in seguito subentra la crisi che consiste nella sensazione sempre più netta dei limiti delle proprie energie. L'uomo constata per esperienza che ci può essere un eccesso di lavoro, di lotta, di responsabilità. Si accumula il carico di lavoro, s'intensificano sempre più le esigenze, e dietro ciascuna di queste ne affiorano continuamente di nuove, e non se ne vede la fine». (16)

Emergere di qualche stanchezza.
«Mentre prima era viva la coscienza delle proprie risorse, delle proprie energie, della propria iniziativa e della propria creatività, ora si fa strada il senso del limite. Compare l'esperienza della stanchezza: si sente che "sta diventando troppo", che si vorrebbe riposare, che si comincia a intaccare il capitale, e ciò si avverte specialmente nei momenti in cui il lavoro si accumula eccessivamente, le esigenze si ingigantiscono e le difficoltà appaiono insormontabili». (17)
Svanire di molte illusioni.

«Svaniscono le illusioni, e non solo quelle che costituiscono l'essenza stessa della gioventù, ma anche quelle che derivano dal fatto che in tale periodo la vita conserva ancora il carattere della novità, di ciò che non è stato ancora sperimentato». (18) Le varie sfaccettature del fenomeno conducono Guardini a dare spazio alle cause delle crisi che vengono identificate negli altri, con l'esperienza di aprire gli occhi sulla realtà così come è, e non come noi ce la immaginavamo.

Dalla novità alla routine.

«Fino a questo momento la serietà, la risolutezza, la responsabilità di fondare, costruire, lottare, hanno diretto la coscienza. Ora tutto ciò perde la sua freschezza e la sua novità. A poco a poco si ha coscienza di come gli uomini si comportano, di come nascono i conflitti, di come un'opera ha inizio, si sviluppa e si compie, di come evolve un rapporto umano, di come una gioia nasce e si dilegua. L'esistenza assume le caratteristiche della realtà già nota. L'uomo sente di conoscerla a menadito. Questo, ovviamente, non è del tutto esatto. Tuttavia la routine si avverte dappertutto». (19)

Svelamento della miseria dell'esistenza.

«Si ricevono delusioni da parte di coloro nei quali si riponeva speranza. La generalità delle persone manifesta un'apatia e un'indifferenza, anzi una malevolenza di cui prima non ci si rendeva ancora conto. Si riesce a vedere dietro le quinte e si nota che le cose sono molto più miserabili di quanto si fosse pensato».(20)
 Romano Guardini, Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano, 1986.

mercoledì 9 novembre 2011

rimani eternamente inseparabilmente in me


Vieni, luce vera.
Vieni vita eterna.
Vieni, mistero nascosto.
Vieni tesoro senza nome.
Vieni realtà ineffabile.
Vieni persona inconcepibile.
Vieni, felicità senza fine.
Vieni, luce senza tramonto.
Vieni, risveglio di chi dorme.
Vieni, risurrezione dei morti.
Vieni, o potente, che sempre fai e trasformi le cose col tuo volere.
Vieni, invisibile, intangibile e impalpabile.
Vieni, tu che sempre rimani immobile,
e ad ogni istante ti muovi e vieni a noi
addormentati negli inferi, tu che sei sopra i cieli.
Vieni, nome diletto e ovunque ripetuto,
di cui non possiamo esprimere l’essere
né conoscere la natura.
Vieni, gioia eterna. Vieni corona incorruttibile.
Vieni, porpora del grande re nostro Dio.
Vieni cintura cristallina e costellata di gioielli.
Vieni destra sovrana.
Vieni, tu che hai desiderato la nostra povera anima.
Vieni tu il Solo verso chi è solo.
Vieni tu che mi hai separato da tutto
e fatto solitario in questo mondo.
Vieni, tu diventato in me desiderio.
Vieni mio soffio e mia vita.
Vieni, consolazione della mia povera anima.
Vieni, mia gioia, mia gloria, mia delizia senza fine.
Ti ringrazio d’essere sceso a diventare
un solo spirito con me, senza confusione,
senza mutazione, senza trasformazione,
tu il Dio al di sopra di tutto,
e d’esserti fatto a tutti cibo ineffabile e gratuito
che senza fine straripi inesauribilmente
e zampilli alla fonte del mio cuore.
Grazie per esserti fatto per me luce senza tramonto,
sole senza declino, perché non hai dove nasconderti,
tu che riempi l’universo della tua gloria.
Siamo noi invece a volerci nascondere da te.
Vieni Signore, pianta oggi in me la tua tenda ;
costruisci la tua casa e rimani eternamente
inseparabilmente in me, tuo servo, perchè alla fine anch’io mi
ritrovi in te
e con te regni, Dio al di sopra di tutto.
Conservami incrollabile nella fede, e vedendoti,
io che son morto, vivrò ; e possedendoti,
io il povero, sarò sempre ricco più di tutti i re ;
e mangiandoti e bevendoti, vestendomi di te, vada di delizia in
delizia :
tu sei il vero bene, la vera gloria, la vera gioia ;
a te appartiene la gloria,
o santa, consustanziale e vivificante Trinità,
ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen
San Simone nuovo teologo (X-XI sec.)

martedì 8 novembre 2011

infinità finita


Emily Dickinson
Solitudine
Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.

lunedì 7 novembre 2011

se desideri quel sabato, non smetti mai di pregare


“E dinanzi a te sta ogni mio desiderio” (Sal 38:10). Non dinanzi agli uomini, che non possono vedere il cuore, ma dinanzi a te sta ogni mio desiderio. Sia dinanzi a lui il tuo desiderio; ed il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà (Mt 6:6). Il tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il desiderio, continua è la preghiera. Perché non invano ha detto l’Apostolo: “pregando senza interruzione” (1Ts 5:17). Forse noi senza interruzione pieghiamo il ginocchio, prostriamo il corpo, o leviamo le mani, per adempiere all’ordine: “pregate senza interruzione”? Se intendiamo il pregare in tal modo, credo che non lo possiamo fare senza interruzione. Ma c’è un’altra preghiera interiore che non conosce interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato, non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere la preghiera, non cessar mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce. Tacerai se cesserai di amare. Chi sono quelli che hanno taciuto? Coloro dei quali è detto: “poiché ha abbondato l’ingiustizia, si raggelerà la carità di molti” (Mt 24:12). Il gelo della carità è il silenzio del cuore; l’ardore della carità è il grido del cuore. Se sempre permane la carità, tu sempre gridi; se sempre gridi, sempre desideri; e se desideri, ti ricordi della pace.
S.Agostino
Esposizioni sui Salmi, XXXVII, 14
(tratto dal sito augustinus.it)

domenica 6 novembre 2011

la mano sulle spalle dell’uomo senza distruggere l’uomo


Tempo fa un uomo si fermò angosciato, disperato, dinnanzi al volto di Dio e prima del giudizio dei suoi amici. Quest’uomo si chiamava Giobbe. Egli aveva subito tutto ciò che un uomo può mai subire: lutto, perdita di tutto ciò che possedeva, perdita di tutto ciò che gli era caro, ma più di ogni altra cosa, la cosa più tragica, la perdita della comprensione. Non capiva più il suo Dio. Il senso era andato via dalla sua vita, e nella sua disputa con Dio e in quella con i suoi amici, cercava il senso e rifiutava la consolazione. Rifiutò di essere consolato e di uscire dalla tragedia e dall’angoscia con un’immagine consolatoria e falsa di Dio e delle sue vie. Egli credeva, davvero credeva a un Dio vivente, e quel Dio non riusciva più a capirlo.
A un certo momento dice: “Dov’è l’uomo che starà tra me e il mio giudice, che metterà la mano sulla mia spalla e su quella del mio giudice? (cfr. Giob 9,32-33) Dov’è colui che entrerà nel mezzo della situazione, prenderà posto nel cuore del conflitto, nel punto di rottura della tensione, in mezzo ai due al fine di riunirli e di farne uno?”. Giobbe aveva la sensazione che solo quella sarebbe potuto essere la soluzione al suo problema. Di fatti, al problema del senso della tragedia, in una parola del senso della storia. Aveva un presagio che soltanto questo sarebbe potuto essere vero, e che infatti sarebbe accaduto. Accadde quando il Figlio di Dio divenne carne, quando Gesù venne nel mondo, il quale essendo veramente uomo, mise la mano sulle spalle dell’uomo senza distruggere l’uomo con il fuoco del tocco divino, e che poté, senza blasfemia e sacrilegio, mettere l’altra mano sulla spalla di Dio senza essere egli stesso distrutto.
Questo è ciò che veramente intendiamo quando parliamo di Intercessione.
da Metr. Anthony Bloom, God and Man, pp. 65-66