sabato 9 novembre 2013

il mio peccato, il mio orgoglio, la mia autosufficienza, dicono un “sì” ben diverso


Maria, vorrei che il mio “sì” fosse...
(di Paul Claudel)

Maria, vorrei che il mio “sì” fosse
semplice come il tuo, che non avesse astuzie mentali.

Vorrei che il mio “sì” come il tuo,
non mi mettesse al centro ma a servizio.

Vorrei che il mio “sì” al disegno di un altro,
come il tuo, volesse dire soffrire in silenzio.

Vorrei che il mio “sì”, come il tuo,
volesse dire tirarsi indietro per far posto alla vita.

Vorrei che il mio “sì”, come il tuo,
racchiudesse una storia di salvezza.
Ma il mio peccato, il mio orgoglio,
la mia autosufficienza, dicono un “sì” ben diverso.

Il tuo sguardo su di me, Maria,
mi aiuti ad essere semplice,
una che si dimentica,
una che vuole perdersi nella
disponibilità di chi sa di esistere,
da sempre, soltanto come un pensiero d’amore.
Amen.

venerdì 8 novembre 2013

riflettere, il cammino che conduce al Padre


Madre Teresa di Calcutta

Signore,
tu sei la vita che voglio vivere,
la luce che voglio riflettere,
il cammino che conduce al Padre,
l'amore che voglio amare,
la gioia che voglio condividere,
la gioia che voglio seminare attorno a me.
Gesù,
tu sei tutto per me,
senza Te non posso nulla.
Tu sei il Pane di vita che la Chiesa mi dà.
E' per te, in te, con te
che posso vivere.

giovedì 7 novembre 2013

non si dà vera risposta se essa non nasce dal di dentro delle persone


«che cosa vuol dire ‘rispondere a una domanda’?
Molte volte chi interroga lo fa con la speranza di avere confermato il suo parere;
oppure cerca una risposta di tipo ‘oracolare’.
Non sono molti, mi pare, coloro che, con sant’Agostino nel suo De Magistro,
sono convinti che non si dà vera risposta
se essa non nasce dal di dentro delle persone,
se non emerge dalla propria mente e dal proprio cuore.
Seguendo rigorosamente il principio che in interiore homine habitat veritas,
cioè che la verità abita nell’interno dell’uomo.
Agostino è dell’avviso che nessuno può insegnare alcunché a un altro.
È soltanto possibile far risuonare dall’esterno dei segni che,
se approfonditi dalla persona stessa,
la aiutano a mettersi con autenticità di fronte a ciò che cerca»
 C. M. Martini, Il comune sentire, Rizzoli, Milano 2011, pp. 15-16

mercoledì 6 novembre 2013

Gli amici veri, pochi, uno? sanno ascoltare anche il silenzio, sanno aspettare, capire.


Ho bisogno di silenzio
come te che leggi col pensiero
non ad alta voce
il suono della mia stessa voce
adesso sarebbe rumore
non parole ma solo rumore fastidioso
che mi distrae dal pensare.

Ho bisogno di silenzio
esco e per strada le solite persone
che conoscono la mia parlantina
disorietate dal mio rapido buongiorno
chissà, forse pensano che ho fretta.

Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.

Gli amici veri, pochi, uno?
sanno ascoltare anche il silenzio,
sanno aspettare, capire.

Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.

Alda Merini

martedì 5 novembre 2013

votarsi al lavoro che la Vita gli chiede, come a un compito personale e sacro

“Di che cosa hanno bisogno gli uomini del nostro secolo per compensare e integrare in un ulteriore progresso il male al quale li condurrebbe una percezione insufficientemente equilibrata dei valori individuali ? 
Hanno bisogno a tutti i costi di ritrovare, 
a un livello che sia quello del loro pensiero attuale, 
il senso e la passione dominante del Tutto. 
Quando ogni uomo, 
in virtù di una concezione del Mondo 
che richiede solo un minimo di conoscenza metafisica 
e che s’impone del resto mediante un numero massiccio di suggerimenti venuti dal mondo sperimentale, 
si accorgerà che il suo vero essere non è limitato agli angusti contorni 
del suo corpo e della sua esistenza storica, 
ma fa parte, in qualche modo, corpo e anima, 
del processo che coinvolge l’Universo, 
allora, egli capirà 
che, per mantener fede a sé stesso, egli deve votarsi al lavoro che la Vita gli chiede, 
come a un compito personale e sacro.” 
(Teilhard de Chardin — ‘Le basi e il fondo dell’idea di evoluzione’ — 1926)

lunedì 4 novembre 2013

Devo lasciare le cose e andare a Dio


La definizione della preghiera come immersione, come volo e come fusione è di Matilde di Magdeburgo, una mistica medioevale:

Il pesce non può affogare nell’acqua,
l’uccello non può cadere nell’aria,
l’oro non è mai svanito nel fuoco,
ma là riceve ricchezza e luminoso splendore.

Dio ha dato a tutte le creature
di poter vivere secondo la loro natura.
E come potrei oppormi alla mia natura?

Devo lasciare le cose e andare a Dio
che è mio padre per natura,
mio fratello per la sua umanità,
mio sposo per amore.
E io voglio essere sua senza inizio.

(Matilde di Magdeburgo)

domenica 3 novembre 2013

I momenti di preghiera sono palestra, allenamento per imparare a vivere tutte le situazioni come occasione di incontro con Dio, come ambito di vita teologale.


I criteri della maturità desunti dalla morte

Se morte è il traguardo della nostra avventura terrena, essa ci offre anche i criteri per l’orientamento del cammino. Ne possiamo esaminare cinque.

- il criterio dell’identità. Di fronte alla morte non sarà importante che cosa abbiamo realizzato nel mondo, quali opere abbiamo compiuto, bensì chi siamo diventati attraverso tutto quello che abbiamo vissuto. La morte ci chiederà: chi sei? chi sei diventato? Che nome stai abitando? Questo è il criterio fondamentale. Oggi perciò non serve chiedersi: cosa sto realizzando? Che risonanza ha quello che faccio? Dobbiamo piuttosto chiederci: chi sto diventando vivendo questa esperienza? questo fallimento, questa calunnia, o questo successo?

- il criterio del distacco. La morte ci chiederà di abbandonare tutto, di aver imparato a distaccarci dalle cose, dalle persone, dalle situazioni, perché dovremo abbandonare tutto. Più ci alleniamo al distacco e più acquistiamo l’identità filiale, cioè accogliamo il dono di Dio che ci rende figli.

- l’interiorizzazione nei rapporti. La morte ci chiederà di partire in solitudine, ma pieni di presenze. Ci chiede perciò di vivere i rapporti in modo tale da portarci gli altri dentro, senza condurli con noi per mano. Il bambino piccolo nei primi tempi non è capace di interiorizzare i suoi genitori, quando diventa capace è in grado di allontanarsi da loro, di andare a scuola perché porta dentro l’immagine dei suoi. Nelle difficoltà può pensare: “poi lo dico a mia mamma, poi viene mio papà” e trova la forza di andare avanti. A mano a mano che cresce la persona ha bisogno sempre più di interiorizzare presenze. Esse costituiscono la nostra risorsa, perché noi diventiamo attraverso i rapporti. La morte ci chiederà di partire senza condurci nessuno per mano, ma portando in noi tutti coloro che abbiamo amato o ci hanno amato.

- l’oblatività, cioè la capacità di donare vita. Tutti cominciamo l’esistenza con atteggiamenti possessivi, succhiando vita dagli altri. Da adulti non possiamo più essere persone che succhiano la vita, ma persone che la consegnano. La morte ci chiederà di consegnare tutto, persino il nostro corpo che ci è servito per diventare noi stessi. Tutto dobbiamo restituire, tutto dobbiamo diffondere intorno a noi. Lo potremo fare solo se siamo diventati totalmente oblativi.

- l’abbandono fiducioso. La morte ci chiederà di essere così capaci di fidarci della vita da saperla perdere per ritrovarla. E’ l’atto supremo di fiducia. Tutte le situazioni che viviamo ci allenano a fidarci così dell’azione di Dio, da saper crescere anche nelle situazioni negative, perché come dice Paolo in Rom. 8,37 segg. “nessuno può separarci dall’amore di Dio”. Noi possiamo vivere tutte le situazioni in modo da crescere come figli. Nessuno ci può separare dall’amore. In tutto questo noi siamo più che vincitori… Nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù. In tale modo possiamo vivere tutte le situazioni dell’esistenza, favorevoli e sfavorevoli, accogliendo il dono di Dio e testimoniando l’amore del Padre.

In questo senso non ci sono spazi sacri cioè riservati a Dio: tutta l’esistenza diventa una “offerta del proprio corpo” “un sacrificio gradito a Dio” “un culto spirituale” (Rom 12, 1). I momenti di preghiera sono palestra, allenamento per imparare a vivere tutte le situazioni come occasione di incontro con Dio, come ambito di vita teologale. Dobbiamo ricordare che il dono di Dio ci previene sempre attraverso creature. È molto facile, soprattutto all’inizio del cammino identificare la creatura come il dono da accogliere, mentre il dono è un altro. Ci perviene attraverso la creatura ma la trascende.
Analogamente spesso ci illudiamo di essere noi ad offrire vita ai fratelli. Noi invece siamo un vuoto sempre riempito, siamo un nulla che viene attraverso dall’energia creatrice.
Non siamo noi ad offrire, a donare, ad amare, ma è il bene che in noi diventa amore.
E’ la verità che in noi diventa parola, nei limiti dei nostri modelli.
Così comprendiamo perché Gesù rimprovera il notabile che lo chiama buono.
Nessuno è buono.
Dio solo è buono.
E’ l’espressione chiara della profondità spirituale di Gesù: la consapevolezza del nulla, continuamente riempita dal tutto che è Dio. Io non faccio nulla da me stesso. Se noi vivessimo in questo modo, noi potremmo vivere la spiritualità cristiana ed essere testimoni efficaci dell’amore di Dio che si è rivelato in Gesù.
Carlo Molari