sabato 3 settembre 2011

La Chiesa è Sacramento


Le accuse oggi della società nei confronti della Chiesa è di essere violenta. Questo per certi aspetti può essere vero, ma dal Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa ha cominciato a pensarsi in modo diverso.
VI sono alcune pennellate: mentre per Dio l'umiltà è data dal fatto che Egli sceglie di relazionarsi all'uomo, per la Chiesa l'umiltà è data dal fatto che essa è costitutivamente "relata", in relazione.
a. Anzitutto come luogo della presenza del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Poiché Cristo è la Luce delle Genti la Chiesa è il riflesso di questa luce. Riflettiamo la sua luce. La Chiesa è umile per natura sua, non è né forte né debole. Quando Giani Vattimo pensa la Chiesa nel postmoderno la pensa come una realtà che dovrebbe smettere di pensare alla verità. Ma è possibile essere né un'istituzione forte né persa nei possibili.
b. Chiesa anche come popolo di Dio: prima delle distinzioni di ministeri e di ruoli tutti si è popolo. È fondamentale ciò che ci unisce il fatto che siamo battezzati, siamo uniti nella diversità. Siamo popolo di Dio nella diversità dei ministeri e dei ruoli che svolgiamo nella Chiesa. Cioè io prete sono “relato” a te laico e solo quando diciamo "noi" insieme stiamo dicendo la Chiesa. C'è una relazione interna trai soggetti ecclesiali vi è l'umiltà.
c. La Chiesa è Sacramento: la Chiesa non è tutto il mondo ma un segno posto in mezzo al mondo, una salvezza che non riguarda solo Lei ma che è per tutta l'umanità. C'è la Chiesa in questo mondo per portare la responsabilità per tutto il mondo. Per questo né forte, né debole, ma piuttosto "umile".
Per dirlo si potrebbe leggere una preghiera di Silvia Wolter, benedettina: 
Qualcuno deve essere a casa, Signore, quando vieni,
qualcuno deve cercarti giorno e notte,
qualcuno deve vederti venire attraverso le inferiate della case,
della storia, degli eventi, sempre, adesso e oggi nel mondo.
Qualcuno deve vigilare giù al ponte, visto che vieni nella notte come un ladro:
vigilare è il nostro servizio anche per il mondo.
Esso è così superficiale che neppure di notte è a casa.
Signore qualcuno deve sopportarti, tollerarti senza disertare,
sopportare la tua assenza senza dubitare della tua venuta,
il tuo silenzio la tua passione, la tua morte e viverne,
qualcuno deve farlo con tutti gli altri e per essi.

 Prof. Don Roberto Repole (facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale - Torino)Aula magna, Seminario Vercelli, 3 febbraio 2005



credere che alla brace del Vangelo basti il soffio dello Spirito per riprendere ad ardere


Mito della riforma? O non piuttosto capacità del Vangelo di essere un fuoco che continua a covare sotto la cenere, che resta brace incandescente la quale può sempre dare origine a un roveto ardente? “Il Vangelo è dýnamis, potenza di Dio” (Rm 1,16), dice l’apostolo Paolo! Può essere smentito, fatto tacere, reso inefficace, può essere addirittura contraddetto e pervertito, e allora sembra restare inerte sotto la cenere. Ma poi riprende ad ardere, perché è un fuoco che subito rinasce non appena un cristiano getta sulla cenere qualche sterpo del suo vivere, alla ricerca della luce e della presenza divina. Non si può far tacere per sempre il Vangelo: per qualche tempo sì, e la storia della chiesa lo testimonia; ma poi basta che un uomo o una donna, alla ricerca di luce vera e di fuoco che consumi, abbia il coraggio di scostare un po’ di cenere e di gettarvi sopra una bracciata di legna secca, che subito il fuoco e la luce si fanno nuovamente vedere.
Ormai vecchio, vicino alla morte, un grande spirituale italiano confidò a me e a un mio fratello: “Me ne vado dopo aver combattuto per riformare la chiesa, ma ora sono convinto che la chiesa sia irreformabile”. Quelle parole mi stupirono, mi fecero male, ma non nego che ora a volte sono tentato di condividerle. Siamo capaci di dare alla chiesa un volto nuovo, più fedele e conforme al volto di Cristo, oppure questa è solo una speranza, e la sposa di Cristo sarà tale solo quando verrà lo Sposo? Mi ostino a credere che alla brace del Vangelo basti il soffio dello Spirito per riprendere ad ardere, riscaldando i nostri cuori e illuminando l’umanità intera. Sì, il Vangelo si può ancora vivere in ogni stagione.
Enzo Bianchi

venerdì 2 settembre 2011

tensione escatologica


Digiunare significa accettare un aspetto essenziale della vita cristiana. Occorre ritrovare
l'aspetto anche corporale della fede: l'astensione dal cibo è uno di questi aspetti. Sessualità e nutrimento
sono gli elementi centrali della fisicità dell'uomo: ora, al declino della comprensione della verginità ha
corrisposto il declino della comprensione del digiuno. E questi due declini sono entrambi legati a una sola
radice: l'attuale oscuramento della tensione escatologica, cioè verso la vita eterna, della fede cristiana.
Essere vergini e saper periodicamente rinunciare al cibo è testimoniare che la vita eterna ci attende, anzi è
già tra noi, che "la scena di questo mondo passa" (1 Cor 7,3 1). Senza verginità e senza digiuno la Chiesa
non è più Chiesa, si appiattisce nella storia. E per questo dobbiamo :guardare come a un esempio ai fratelli
delle Chiese ortodosse dell'Oriente, grandi maestre - anche oggi - di autentico ascetismo cristiano. Ratzinger

giovedì 1 settembre 2011

si ha paura di raccontare


Ci sono fra i ricordi d'ogni uomo, cose che non si raccontano a tutti, ma appena agli amici. Ce ne sono altre che neanche agli amici si raccontano, ma appena a se stessi, e per di più sotto suggello di segreto. Ce ne sono, infine, altre ancora che persino a se stessi si ha paura di raccontare, e di tali ricordi ogni uomo, anche ammodo, ne mette insieme parecchi
Fedor Dostoevskij

mercoledì 31 agosto 2011

allora si è fatto veramente giorno


Un rabbino chiese al suo discepolo: «Quando comincia il giorno?»
Il discepolo rispose:”Quando non confondo più la quercia con la palma”.
«Questo non basta»,rispose il rabbino».
E il discepolo:«Forse quando riesco a distinguere un cane pastore da una pecora».
Soggiunse il rabbino:«Anche questo non basta. Quando riuscirai a riconoscere tuo fratello nel volto di un altro uomo,solo allora si è fatto veramente giorno».
(Antico racconto ebraico)
Pensiero per i mio primo giorno di pensione



martedì 30 agosto 2011

Ama e fa’ ciò che vuoi

Sia che tu taccia, taci per amore.
Sia che tu parli, parla per amore.
Sia che tu corregga, correggi per amore.
Sia che tu perdoni, perdona per amore.
Sia in te la radice dell’amore,
poiché da questa radice non può procedere se non il bene.
Ama e fa’ ciò che vuoi. (Sant’Agostino)

possiamo definirla una solitudine positiva, santa


In viaggio…
Come colui che lascia Parigi per il deserto sorride da lontano alla solitudine; come il viaggiatore che attende con cuore ansioso le lunghe giornate al mare; come il monaco che accarezza con gli occhi i muri della sua clausura, così, fin dal mattino, apriamo la nostra anima alle piccole solitudini della giornata. (Madeleine Delbrel)
Nel vorticoso ritmo dell’estate che coinvolge, in maniera diretta o indiretta, un po’ tutti sembra strano pensare di potersi sentire soli. Eppure, lo stordimento estivo solo apparentemente sembra frenare quel lavoro della memoria e del pensiero che si innesca, in maniera istintiva, quando abbiamo il tempo per fare bilanci o quando, immersi in un contatto più profondo con la natura, percepiamo il senso dell’infinito e di Dio. Non è una solitudine triste, amara, possiamo definirla una solitudine positiva, santa. Una specie di autoterapia che, incosciamente, si sviluppa, se lo permettiamo e non la soffochiamo, per permetterci di rimanere umani e di ritrovare il senso e la radice della nostra umanità.
Allora l’anima si slarga e si affaccia su ampi orizzonti; allora il ritmo e le tensioni si rallentano e si ritrova il gusto di ragionare con se stessi; allora la memoria si dipana e ci riconsegna attimi lieti o dolorosi, volti cari, nostalgie che rendono vivo il cuore. Quanto pesa il cuore? Pochi grammi! Ma racchiude la nostra vita, i nostri sentimenti,mcome uno scrigno prezioso. Pochi grammi gravidi di eternità. È questo il viaggio più vero, la partenza dal biglietto gratuito che tutti, ricchi e poveri, possono permettersi,quel ‘viaggiare’ dell’anima che ci rende pellegrini, cercatori instancabili di Dio. Per fare questo viaggio, però, bisogna accettare la sfida delle tante solitudini:  Solitudini che potremmo temere e che sono lo svuotamento del nostro cuore: persone care che se ne vanno e che vorremmo con noi; amici che si aspettano e che non arrivano; cose che si vorrebbero dire e che nessuno ascolta; estraneità del nostro cuore in mezzo agli uomini. Il primo passo verso la solitudine è una partenza (Madeleine Delbrel).
Ma se questa solitudine è necessaria possiamo essere certi che i nostri passi non sono abbandonati. Qualcuno cammina con noi, quel viaggiatore fedele che è Dio. Lui non si stanca di esplorare i nostri mondi interiori, di porvi la sua dimora, di lasciarli riposare in Lui, nella sua Parola, nella sua vicenda umana e divina. Con la delicatezza di un innamorato ci trascina con Sé, nel mistero della sua
Trasfigurazione, ci consegna candore delle vesti e splendore del suo volto, perché impariamo a salire in alto, a cercare il volto luminoso e nascosto delle situazioni; ci rivela la luce del cielo e della gloria che ci attende, mentre contempliamo stupiti il miracolo della assunzione di Maria, nostra sorella e madre e impariamo a tenere ‘al di sopra’ i nostri cuori, liberandoci da inutili affanni; ci conduce per mano nella dolcezza della sua Croce che ci avvolge in un abbraccio di misericordia e ci ritesse fanciulli nell’anima, straordinario miracolo dell’amore. Così, questo tempo, che la Chiesa madre ci consegna, è trapuntato da
stelle luminose che la liturgia ci offre e mentre, nelle notti d’agosto contempliamo cadere le stelle, sappiamo che la comunione dei santi dipana la tela della grazia e la posa leggera sui sogni degli uomini, le loro limpide gioie e gli inascoltati dolori. Allora il nostro cuore può cantare nell’intimo il canto della santità: Troppo mi ami, Signore, tutto hai donato per me. Ora mi chiedi che il cuore altro non sappia che te (Servo di Dio  Guglielmo Giaquinta).
Loredana Reitano http://www.prosanctitate.org/admin/DB_pdf/1967_aggancioagosettxsito.pdf

lunedì 29 agosto 2011

bisogno di trovare se stesso


«(..) Scrivere non è una professione, ma una vocazione all’infelicità. Non credo che un artista possa mai essere felice».
Perché?
«Innanzitutto perché credo che se un uomo ha l’urgenza di essere un artista vuol dire che ha bisogno di trovare se stesso. Ogni scrittore tenta di trovare se stesso attraverso i suoi personaggi, e attraverso tutta la sua scrittura».
Scrive per sé?
«Sì. Certo».
Georges Simenon, intervista a Carvel Collins, Paris Review n.9, 1955

domenica 28 agosto 2011

rendere conto di ogni passo e di ogni gesto


Mi sono perso partendo da poco,
da un gesto mancato,
un sorriso trattenuto.
Quando il cuore
si pente di fuggire
e si libera
dovrà rendere conto
di ogni passo e di ogni gesto.
Intanto,
mi alzo all’alba,
quando giunge la voce
delle piccole cose,
quando lentamente si muovono
il bene e il male
e i loro confini sono visibili
a occhio umano.
Luigi Verdi