sabato 14 aprile 2012

all’inizio, essi non sanno questo

Se due persone che erano estranee lasciano improvvisamente cadere la parete che le divideva, e si sentono vicine, unite, questo attimo di unione è una delle emozioni più eccitanti della vita. E’ ancora più meravigliosa e miracolosa per chi è vissuto solo, isolato, senza affetti. Il miracolo di questa intimità improvvisa è spesso facilitato se coincide, o se inizia, con l’attrazione sessuale. Tuttavia, questo tipo d’amore è per la sua stessa natura un amore non duraturo. Via via che due soggetti diventano bene affiatati, la loro intimità perde sempre più il suo carattere miracoloso, finché il loro antagonismo, i loro screzi, la reciproca sopportazione uccidono ciò che resta dell’eccitamento iniziale. Eppure, all’inizio, essi non sanno questo; scambiano l’intensità dell’infatuazione, il folle amore che li lega, per la prova dell’intensità del loro sentimento, mentre potrebbe solo provare l’intensità della loro solitudine."

Erich Fromm - “L’arte di amare”

venerdì 13 aprile 2012

i pensieri si ingarbugliano, inciampano come uccelli feriti


Quando si soffre nella carne e nello spirito, il pianto è la naturale risposta.
E di pianto ce n'è tanto, ma tanto!
Se lo calcolassimo prenderebbe lo spazio di un mare, di un grande mare.
Quando gli occhi per un istante si asciugano, ci mettiamo a pensare: perché? perché, Signore, tanto pianto?
La risposta non viene così facilmente.
Poi riprendiamo a piangere e i pensieri si ingarbugliano, inciampano come uccelli feriti. Poi torniamo a chiederci: perché? Perché?
I segni come le parole non bastano a calmarmi e a dare una risposta adeguata. Permane il mistero. Ci deve
essere dell'altro. Il segreto è ancora nascosto. Ma dove cercare? Il vero segreto nascosto nei secoli è il Dio Crocefisso ...      
                                                                     (Carlo Carretto, "Perché Signore?")

giovedì 12 aprile 2012

i sorveglianti spingono i lavoranti a non fermarsi

Un giorno nel cantiere della torre di Babele si infrange al suolo, cadendo da una grande altezza, un monolite. Subito ogni attività si arresta per calcolare il danno e vedere se è possibile rimediarvi almeno in parte. Ma il giorno seguente, quando da una impalcatura precipita un muratore i sorveglianti spingono i lavoranti a non fermarsi. Allora il Signore decise: chi non conosceva più il valore di una creatura umana non era degno di parlare una lingua comune ma soltanto di avere, come gli animali, una pluralità di suoni. (Midrash sulla confusione delle lingue a Babele)

mercoledì 11 aprile 2012

il pianoforte su cui suona Dio


“La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore (1998). Alla fine, quando il protagonista  (l’attore è Tim Roth) spiega perché non vuole scendere dalla nave in demolizione descrive proprio il suo disagio di fronte ad un mondo che non ha limiti, e paragonandolo ad un pianoforte dice:
Tu pensa un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può
fregarti. Non sono infiniti loro;  tu sei infinito e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace ed in questo posso vivere. Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti (New York, ndr), milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai – perché questa è la verità, che non finiscono mai – quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Sei seduto sul seggiolino sbagliato, quello è il pianoforte su cui suona Dio

martedì 10 aprile 2012

siamo per sempre segnati dal cielo


Amore
è questo senso d’ali: averle, aprirle,
fendere con il petto un elemento ignoto
finora – e a un tratto divenuto la patria.
Come sono lontani il guscio e il bozzolo
a cui credemmo appartenere, il buio
dove crescemmo e dove non faremo
mai più ritorno!
                    Lieta o dolorosa
che sia la nostra ultima sorte, ormai
siamo per sempre segnati dal cielo.

lunedì 9 aprile 2012

reggere alla luce del sole

Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:
 
il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.
 
E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:
 
ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.
 
Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l’umile gente
abbia ancora chi l’ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
 
E non chiedere nulla.
 
(D. M. Turoldo)

domenica 8 aprile 2012

tentando di raggiungere un livello accettabile di umanità

Caro Giobbe di Michael Davide Semeraro:
un passo dalla Conclusione
"Carissimo Giobbe,
quando viene a mancare l'oro della forza, l'argento della fiducia in se stessi, il bronzo delle piccole sicurezze, basta che rimanga viva l'invisibile fede nella vita come compito per apprenderne il mistero e l'arte di soffrire, senza impazzire di dolore o cedere alla funesta rassegnazione che sarebbe peggiore del morire. Il compito di ogni uomo e donna sulla terra è quello di imparare a resistere alla grande tentazione di trasformare - per se stessi e per gli altri - l'intera esistenza in una fossa di macerazione nella rabbia e nel rammarico. Nessun dolore e nessuna sofferenza sono per se stesse un inferno, per quanto le pene e le angosce lo facciano talora sentire e pensare, ma il rammarico lo è e, come dice l'Amico fedele e provato, il suo "verme non muore" (Mc 9,48).
Come è avvenuto per te, caro Giobbe, vorrei anche per me che un diluvio di grazia, dopo un diluvio di guai, riporti la terra del mio cuore ad un rinnovato, e non identico splendore.
Ed ora voglio ringraziarti di tutto cuore, perché accompagnandomi a te, mi hai permesso di accompagnarmi a me stesso per crescere in "coscienza che sia umana" e di farlo serenamente e più in pace.
L'umiltà che genera la pace non è altro che la fatica di accettare il limite e i limiti della propria esistenza, facendone un comandamento di fondo per camminare verso la serenità che, secondo l'espressione ad effetto di Peter Ricardo, suonerebbe così: "Onora il tuo limite". Giobbe carissimo, ho imparato a mie spese a diffidare di quelli che predicano l'umiltà e la esigono dai loro fratelli e sorelle in umanità come fosse un compito da espletare; l'umiltà non si sa e, se è vera, ignora se stessa e si fa ignorante per quanto riguarda quella degli altri. L'umiltà che dona pace e che la porta è un piegarsi verso la terra - humus -, sentendosi tutt'uno con essa e con tutto ciò che vi è maternamente nutrito e, talora, paternamente provato e abbandonato. La pace, verso cui ogni creatura sotto il cielo anela così faticosamente, diventa possibile solo quando si accetta che la vita continui e debba continuare il suo cammino indipendentemente, allora si diventa saggi, perché si ritrova quella semplicità e originale innocenza che permette di ascoltare il reale, di prendersi cura delle situazioni, ma con grande distacco, con spirito di assoluta povertà. La pace, quella del cuore e quella che si diffonde a partire dal cuore, è sempre il frutto di un 2disarmo dogmatico", che ci fa avanzare a mani nude e cuore leggero, come una piuma.
Non è forse questo l'atteggiamento più promettente per poter, infine, semplicemente esser vivi, tentando di raggiungere un livello accettabile di umanità? Anche il desiderio della santità dovrebbe identificarsi semplicemente con questo desiderio di giusta umanità che ci fa vivere serenamente entro il limite della nostra creaturalità, liberandoci da tutta una serie infinita di pretese che sarebbero da moderare, quasi fino ad annientare, per ritrovare la pace quale frutto della libertà dall'ansia di dimostrare e di imporsi. Avere un compito, certo, su questa terra e per questa terra, sentire la vita come un compito, ma non essere in alcun modo inquieti di portarlo a termine, di poterlo classificare, nominare troppo ed eventualmente candidare per qualche "premio". Agire senza sapere cosa si fa realmente, ma lasciare che accada, rinunciando così a quella volontà di potenza che toglie la pace a se stessi e impone, spesso e nelle forme più crasse o più raffinate, la guerra ai nostri simili e alle creature con cui condividiamo il nostro piccolo spazio sotto il cielo infinito" ...
Per vivere senza ripiegare nella sua forma peggiore che è il ripiegarsi, è necessario prendere coscienza di quello spirito che è stato infuso tra le pieghe, talora sgualcite, della veste del corpo che mi abita e in cui siamo destinati ad essere ospiti e padroni di casa per sempre. Eppure quale cammino è necessario per riconoscere di essere stati da sempre amati e voluti per poter sempre amare!".