sabato 14 luglio 2012

ripetere la danza del mio Amore


E quando la notte fonda
ha già inghiottito uomini e case,
una cella mi accoglie
esule del mondo. Gli altri
nulla sanno di questa mia pace,
di questi appuntamenti.
Forse neppure io stesso
saprei rifare l'itinerario del giorno,
ripetere la danza del mio Amore.
Quasi nulla  avanza di me
la sera: poche ossa, poca carne
odorosa di stanchezze,
curvata sotto il peso
di paurose confidenze.
Allora Egli mi attende solo,
a volte seduto sulla sponda del letto,
a volte abbandonato sul parapetto
della grande finestra. E iniziamo
ogni notte il lungo colloquio.
Io divorato dagli uomini, da me stesso,
a sgranare ogni notte il rosario
della mia disperata leggenda.
Ed Egli a narrarmi ogni notte
la Sua infinita pazienza.
E poi all'indomani io, a correre
a dire il messaggio incredibile ed Egli fermo al margine delle strade
a vivere d'accattonaggio.
David Turoldo

venerdì 13 luglio 2012

elogiati più del dovuto


La lode eccessiva fa soffrire.
Essere elogiati più del dovuto
ferisce immensamente.
Se offri argento,
è doloroso sentirselo chiamare ottone o oro;
tutto ciò che desideri è che la gente dica:
"Sì, è proprio argento"...,
poiché tale è.
Questo elogio è fondato.
Ma che lo chiamino oro
ti fa solo sentire
quanto disperatamente lontano tu sia
dal fabbricare oro.
 ( New York, 1 giugno 1924)Kahlil Gibran

giovedì 12 luglio 2012

con le palme agitate al ciglio delle strade

Non perdere la fede in ciò che hai fatto,
Padre nostro,
non pentirti, non hai soffiato invano
sulla creta.
Non arrenderti, Padre, siamo figli invecchiati
nell’attesa di vederti arrivare
a mani piene,
di pregarti senza pagare il pegno,
di tradirti e non chinare il capo.
Non ritrarti, non rompere il disegno
di sfiorarci nel sogno con le mani,
non affidarti alle tue sole forze,
senza noi, le preghiere, i lamenti,
le bestemmie, persino gli abbandoni,
di chi saresti Padre?
Della mandria paziente, stupefatta
e inerte, dietro un pastore cieco per guida?
Non dolerti se abbiamo usato male
l’arbitrio: non ci volevi pronti a giocarci
la posta, te compreso?
Giobbe non fu paziente, lo lacerava
il dubbio che il dolore ci venisse
da te: tu ci sarai quel giorno,
si chiedeva, quando sapremo se sull’animo
nostro cadrà la saetta o la manna?
E noi, dies illa, a guardare chi passa
per la cruna, se davvero spartisci
sulla soglia i dannati voluti dalla storia o da te,
i privi anche di un solco disseccato
per coprire di polvere un talento
e aspettare il suo frutto
con il pianto per pioggia?
Stava nel tuo disegno il flauto
e lo stridio, la rapsodia e il tumulto,
duemila anni e tutto ha l’effusione
e i furori di prima,
Caino sul collo del fratello,
Sodoma e Gomorra, Erode, i roghi, i forni,
la pelle anche dell’anima,
il ventre dei ragazzi colmo d’odio e di ferro,
lo zolfo degli adulti che avvampa nelle occhiaie
di altri fanciulli,
la tua pietà scuoiata con le mani da chi ogni giorno
scava l’arena bianca dei morti d’ingiustizia
sempre e dovunque, fino alle torri
colpite nel costato, parrebbe, di Gesù,
risucchiate dentro il tuo pianeta,
e ancora sangue nella terra trina
di Abramo.
Perché tanto vento alla storia, e contarci i respiri?
Torna prodigo a noi, vieni alla porta
a darci conto della latitanza,
per le ferite chiedici gli unguenti,
sii malato, se lo sei, esigi il prezzo
dovuto al figlio tuo, noi pure
sapevamo del gallo quel mattino; ma rammenta,
ci avevi fatto per alzare quei legni, per i chiodi,
le spine, perché il peso gli schiantasse le ossa,
era tutto deciso.
Non pentirti del figlio, è in lui che ci somigli,
non volerci simili a te, rimani un Padre
sperso tra mondi alla deriva, spetta a noi rinnegarti.
Adesso che il creato geme nei cieli e nelle case
persino di Betlemme, non temere, saremo noi
a piantare sul Golgota gli ulivi
e l’uva nel deserto,
a strizzare i tracomi tra le dita,
a risvegliare i pesci storditi dalla luna,
a rigonfiare il pane nelle madie;
ma non cessare di darci
la tua paternità offerta e sperperata,
se tu sei tutto in tutti
non rovesciare la domanda,
non dire figlio mio, perché mi lasci solo?
Tu non puoi dubitare,
altrimenti saremmo nell’armento,
non sentiresti noi che ti diciamo Abbà,
Padre nostro;
se t’inganni su noi non hai la prova
di chi sei, diventi uno di noi in cerca
del suo padre, ti fai fratello privandoci di te.
Resta chi sei,
non rinunciare all’abissale dono
che pure hai concepito,
tu soltanto oltrepassi la morte,
scienza e filosofia stanno al di qua,
solo tu ci prolunghi nell’eterno,
la tua promessa immane.
Torna a lanciare arcobaleni,
è tempo di comete non di astri irritati,
non arroccarti nella lontananza, lasciaci
preparare corde e ganci per venire a salvarti,
portarti qui a vedere dove siamo risorti,
a svellere la croce e poi verso Gerusalemme
tutti insieme, con le palme agitate
al ciglio delle strade sui morenti e dentro il pugno
i chiodi da gettare nel Giordano.
Fa’ conto che si scali la tua luce,
ti si cinga di funi
per averti quaggiù,
Padre nostro che sei nei cieli;
perché così ti eleggo nel segno della croce,
ti faccio testimone in te di me,
m’imprimo su quei legni con due parole appena,
così sia.

Sergio Zavoli

mercoledì 11 luglio 2012

nostra materna speranza che avvolge le nostre grida e i nostri dolori


Ave Maria, 
Madre di ogni nostro desiderio di felicità. 
Tu sei la terra che dice sì alla vita. 
Tu sei l’umanità che da il suo consenso a Dio. 
Tu sei la nuova Eva e la madre dei viventi. 
Tu sei il frutto delle promesse del passato e l’avvenire del nostro presente. 
Tu sei la fede che accoglie l’imprevedibile, ascolta lo Spirito creatore e si meraviglia. 
Tu sei la fede che accoglie l’invisibile, come il fiore si apre al calore del sole.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre ricerche di questo Dio imprevisto; dal tempo dove lo perdi, al Calvario dove è perduto, la sua strada ti sembra folle. 
Tu sei ognuno di noi che cerca Gesù, senza capire bene la sua vita e le sue parole. 
Tu sei la Madre delle oscurità della fede, che custodisce tutti gli avvenimenti nel suo cuore, indaga e medita tutti i nostri « perché? » e si fida dell’avvenire di Dio, suo Signore.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre sofferenze. 
Tu sei la donna ritta ai piedi dell’uomo crocifisso, 
Tu sei la madre di tutti quelli che piangono l’innocente massacrato e il prigioniero torturato.
Tu sei la nostra materna speranza che avvolge le nostre grida e i nostri dolori.
Ave, Maria, 
Madre di Gesù e del discepolo che ha creduto. 
Tu sei la Madre degli uomini e della chiesa, 
Tu sei il crocevia della storia della salvezza 
che Dio inventa fin da Abramo e Mosè.
Ave, Maria, 
Madre di ogni nostra Pentecoste. 
Tu sei con gli apostoli la Chiesa che prega e accoglie i doni dello Spirito Santo.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre speranze. 
Tu sei la stella radiosa di un popolo 
in cammino verso Dio. 
Tu sei l’annuncio dell’umanità trasfigurata, 
Tu sei la riuscita della creazione 
che Dio ha fatto per la sua eternità.
(M. Hubaut)

martedì 10 luglio 2012

Che non mi affezioni alle idee come un avaro al suo gruzzolo


Signore,
fa’ che io sia del mio tempo e non della mia età.
Che non mi affezioni alle idee
come un avaro al suo gruzzolo.
Ma ne controlli frequentemente la validità
e, soprattutto, ne assicuri costantemente la convertibilità.
Aiutami a non prendermi troppo sul serio,
a sorridere dei miei successi come dei miei fiaschi.
Fammi guardare con simpatia a ciò che fanno gli altri,
specialmente se tentano qualcosa a cui io non avevo mai pensato,
oppure si avventurano in territori dove io
non mi sono mai arrischiato.
Che sappia comprendere più che giudicare,
apprezzare più che condannare,
incoraggiare più che diffidare.
Fa’ che resista
alla tentazione di raccontarmi,
fammi capire che è importante ciò che faccio oggi,
e non ciò che ho fatto dieci anni fa.
Gli altri hanno il diritto di avere da me ciò che sono oggi
e non ciò che sono stato ieri.
Signore, impedisci
che faccia l’abitudine a me stesso.
A quel me stesso solito che conosco troppo bene
e che tendo ormai ad accettare o sopportare
come si accetta o sopporta un vecchio conoscente.
Devo sorprendermi, devo obbligarmi ogni giorno,
a riconoscermi nuovo, diverso, inedito.
Devo impararmi sconosciuto, devo accettarmi altro.
Devo esplorarmi al di là dei confini abituali.
Devo frequentarmi inaspettato, devo frequentarmi insolito.

domenica 8 luglio 2012

non avete guardato abbastanza in alto

Rimanete voi stessi. E non un altro. Una persona qualsiasi non è nessuno. Fuggite le facili vigliaccherie dell'anonimato.
Ogni essere ha un destino unico. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali. Nulla può mai raggiungere la dimensione dell'uomo. Se manca qualche cosa alla vostra vita, è perché non avete guardato abbastanza in alto.
Tutti identici? No. Ma tutti uguali e tutti insieme.
Raoul Follereau