sabato 13 luglio 2013

Le ore silenziose del mattino nutrono tutta la giornata,


Grande è la benedizione
delle prime ore del mattino
silenzio,
coltivare
le immagini del pensiero,
prepararsi per la giornata,
liberarsi dai sogni
e integrarli nella vita del giorno.
Le ore silenziose del mattino
nutrono tutta la giornata,
le ore silenziose della sera
aprono la porta ai sogni.
Stare in silenzio
e ascoltare il tempo che scorre,
senza bisogno di scorrere con lui.

Zenta Maurina Randive

venerdì 12 luglio 2013

a respirare solo silenzio e a maturare la sostanza della loro vita in un silenzio vivo e vigile


"Darsi,
consegnarsi,
affidarsi completamente
al silenzio di un vasto paesaggio di boschi e colline, o mare, o deserto:
star fermo,
mentre il sole
sale sulla terra e ne colma di luce
i silenzi.
Pregare
e
lavorare al mattino,
lavorare
e
riposare il pomeriggio
e fermarsi di nuovo a meditare alla sera
quando la notte cade su quel paesaggio
e quando il silenzio si riempie di tenebra e di stelle.
Questa è una vocazione vera e speciale.
Pochi sono disposti ad immergersi completamente in un tale silenzio,
a lasciar che se ne impregnino le loro ossa,
a respirare solo silenzio e
a maturare la sostanza della loro vita in un silenzio vivo e vigile.
Il silenzio accresce in noi la capacità di sentire
ciò di cui il mondo ha veramente bisogno."
Thomas Merton

giovedì 11 luglio 2013

Non si spinge avanti, non afferra e rapisce per sé, ma crea


E’ forse lecito dire che
ogni vera cultura
comincia con il fatto
che l’uomo si ritrae.
Non si spinge avanti,
non afferra e rapisce per sé,
ma crea
quella distanza
dove,
come in uno spazio libero,
può apparire chiaramente
la persona
con la sua dignità,
l’opera
con la sua bellezza,
la natura
con la sua potenza di simbolismo.
- ROMANO GUARDINI

mercoledì 10 luglio 2013

Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo


PRINCIPI NECESSARI PER TACERE

E’ bene parlare solo quando si deve
dire qualcosa che valga più del silenzio.

Esiste un momento per tacere,
così come esiste un momento per parlare.

Nell’ordine, il momento di tacere deve venire sempre prima:
solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio,
si potrà imparare a parlare rettamente.

Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza,
ma parlare quando si dovrebbe tacere,
è segno di leggerezza e scarsa discrezione.

In generale è sicuramente meno rischioso tacere che parlare.

Mai l’uomo è padrone di sé come quando tace:
quando parla sembra, per così dire,
effondersi e dissolversi nel discorso,
così che sembra appartenere meno a se stesso che agli altri.

Quando si deve dire una cosa importante, bisogna stare particolarmente attenti:
è buona precauzione dirla prima a se stessi,
e poi ancora ripetersela,
per non doversi pentire quando non si potrà più impedire che si propaghi.

Quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo:
in questi casi l’ultima cosa da temere è saper conservare il silenzio.

Il riserbo necessario per saper mantenere il silenzio nelle situazioni consuete della vita
non è virtù minore dell’abilità e della cura richieste per parlare bene;
e non si acquisisce maggior merito spiegando ciò che si fa
piuttosto che tacendo ciò che si ignora.
Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo:
è una lezione per gli impertinenti e una punizione per i colpevoli.

Il silenzio può talvolta far le veci
della saggezza per il povero di spirito,
e della sapienza per l’ignorante.

Si è naturalmente portati a pensare che
chi parla poco non è un genio,
e chi parla troppo è uno stolto o un pazzo:
allora è meglio lasciar credere di non essere genii di prim’ordine
rimanendo spesso in silenzio,
che passare per pazzi, travolti dalla voglia di parlare.

E’ proprio dell’uomo coraggioso parlare poco
e compiere grandi imprese;
è proprio dell’uomo di buon senso parlare poco
e dire sempre cose ragionevoli.

Qualunque sia la disposizione che si può avere al silenzio,
è bene sempre essere molto prudenti;
desiderare fortemente di dire una cosa
è spesso motivo sufficiente per decidere di tacerla.

Il silenzio è necessario in molte occasioni;
la sincerità lo è sempre:
si può qualche volta tacere un pensiero,
mai lo si deve camuffare.
Vi è un modo
di restare in silenzio senza chiudere il proprio cuore,
di essere discreti senza apparire tristi e taciturni,
di non rivelare certe verità senza mascherarle con la menzogna.

ABATE DINOUART, L’arte di tacere (1771)

martedì 9 luglio 2013

un rumore di fondo continuo nel quale si va progressivamente perdendo la capacità di stare in silenzio, di rispettare l’altrui silenzio e, in ultima analisi, di ascoltare.

Di fronte al mistero della sofferenza
La sacra inutilità
del silenzio

di Ferdinando Cancelli
Il medico che accompagna un malato giunto ai suoi ultimi giorni di vita
si confronta spesso con una dimensione quasi perduta nella nostra società:
il silenzio.
Chiusa la porta della stanza,
soli di fronte al mistero della vita
che si trasforma attraversando quello della sofferenza,
non si può fare a meno di sentirsi
come calati in un’atmosfera diversa,
di avvertirne quasi il palpitare.

Eppure, scrive il medico e filosofo Max Picard,
«oggi vale soltanto ciò che è contenuto nel brusio, solo ciò che in esso accade»,
a tal punto che,
per usare le parole di Kierkegaard,
«gli individui amanti della solitudine e del silenzio
sono classificati insieme ai delinquenti»
o perlomeno guardati con molto sospetto.
< Viviamo in un mondo nel quale
— scrive Silvano Zucal rifacendosi a Picard —
«sembra ormai dominare soltanto il puro brusio verbale (Wortgeräusch),
ovvero una parola ormai uccisa»,
come un rumore di fondo continuo
nel quale si va progressivamente perdendo la capacità
di stare in silenzio,
di rispettare l’altrui silenzio
e, in ultima analisi, di ascoltare.
L’ascolto, quello dell’orecchio e quello del cuore,
è secondo Zucal
«una virtù sconosciuta (…),
assolutamente trasgressiva
perché va a incidere su una società per lo più abitata
da inascoltanti a tutti i livelli (…) narcisisti e replicanti
che parlano sempre e non ascoltano mai».
Se si perde la dimensione del silenzio
non si è più capaci di dare peso alle parole,
non si riesce più ad ascoltare l’uomo,
specie quando quest’ultimo è malato
e non ha più la forza di imporre a nessuno il proprio discorso e le proprie ragioni.
E così se, come diceva Pier Paolo Pasolini,
«la morte non consiste nel non poter più comunicare
ma nel non potere più essere compresi»,
il malato muore davvero,
relegato in un angolo nel quale,
incompreso,
sarà considerato solo un fardello inutile.
È interessante notare a questo proposito la radice comune
tra perdita del silenzio
e perdita dell’uomo tout court:
la categoria che Picard riferisce positivamente al silenzio,
«senza utilità»,
cioè «totalmente estraneo al mondo dell’utile»,
è la stessa che finisce, negativamente,
per essere applicata al malato morente, in coma,
in stato vegetativo o al figlio in grembo non desiderato
perché magari malformato.
La soluzione eutanasica o abortista
è spesso proprio figlia della perdita della capacità
di ascoltare gli altri e prima ancora se stessi,
dello stordimento mediatico
che insinua conoscenze superficiali vendute come verità
e «pressate negli uomini come una materia qualsiasi in vuoti barattoli» (Picard).
Eppure, misteriosamente, nel silenzio o di fronte all’uomo ferito,
a chi ascolta pare di sentire una voce nuova:
«Proprio dal silenzio promanano più aiuto
e più prosperità che da tutto quanto è utile.
Esso, l’inutile,
si pone accanto a ciò che è fin troppo utile,
appare improvvisamente al suo fianco e
spaventa per la sua assoluta mancanza di scopo,
interrompe il flusso e la corsa di ciò che è fin troppo utile».
Quasi come un atto liturgico o un uomo inchiodato dalla malattia
«il silenzio — continua Picard —
rafforza ciò che vi è d’intangibile o di inviolabile nelle cose,
attenua il danno che lo sfruttamento arreca alle cose,
le restituisce nella loro integrità (…)
poiché proprio questo è il silenzio:
sacra inutilità».
O, come ha scritto don Giuseppe Dossetti,
L’uomo non mette alla prova il silenzio,
ma è quest’ultimo a mettere alla prova l’uomo.«puro dono di Dio».



(©L'Osservatore Romano 7 luglio 2012)

lunedì 8 luglio 2013

L’uomo non mette alla prova il silenzio, ma è quest’ultimo a mettere alla prova l’uomo.


Un libro di Max Picard intitolato Il mondo del silenzio e pubblicato nel 2007 da Servitium, una piccola casa editrice di Troina (Enna), nella traduzione di Jean-Luc Egger. 
Picard è un filosofo nato nel 1888 a Schopfheim (Germania) e morto a Neggio (Ticino) nel 1965, autore tra l’altro nell’immediato dopoguerra dell’illuminante saggio Hitler in noi stessi
Di lui Rainer Maria Rilke disse: 
«È l’uomo più semplice e candido che io conosca». 
Ecco, che cosa dice Max Picard del silenzio.

 «Il silenzio non è qualcosa di negativo,
non equivale semplicemente al non parlare,
è invece alcunché di positivo,
è un intero mondo a sé stante.
Il silenzio è grande semplicemente perché esiste;
è
e già solo in questo suo esistere è grande,
la sua grandezza risiede nella sua pura esistenza.
Non vi è né inizio né fine del silenzio,
esso sembra provenire dai tempi in cui tutto era ancora quieto essere,
è come un essere increato, perpetuo.
Quando il silenzio è presente
sembra che non vi sia mai stato nient’altro che il silenzio.
Dove il silenzio è presente,
l’uomo è osservato dal silenzio:
esso osserva l’uomo più di quanto l’uomo non lo osservi.
L’uomo non mette alla prova il silenzio,
ma è quest’ultimo a mettere alla prova l’uomo.
Se non si può immaginare un modo in cui non vi sia altro che la parola,
si può invece concepire un modo abitato soltanto dal silenzio.
Il silenzio ha tutto in sé,
non è in attesa di nulla,
è sempre interamente presente
e dove appare riempie interamente lo spazio.

Il silenzio non si sviluppa né aumenta nel tempo,
è piuttosto il tempo a crescere nel silenzio.
È come se il tempo fosse stato seminato nel silenzio,
come se il tempo sbocciasse nel silenzio;
il silenzio è il suolo nel quale il tempo raggiunge la sua pienezza.
Pur non essendo visibile,
il silenzio esiste chiaramente,
si estende nei più lontani anditi eppure ci è vicino,
talmente vicino da parere parte del nostro corpo.
Non lo si può afferrare,
ma lo percepiamo immediatamente come una stoffa, come un tessuto.
La parola non può definirlo,
eppure è ben determinato e inconfondibile.
In nessun altro fenomeno
lontananza e prossimità,
vastità e presenza,
universalità e particolarità
sono uniti così saldamente come nel silenzio».

E poi, prosegue Picard:
«Il silenzio è oggi l’unico fenomeno “senza utilità”.
Del resto non si addice all’odierno mondo dell’utile,
si limita ad esistere e sembra non avere alcun scopo,
né si presta a qualsivoglia sfruttamento.
Tutti gli altri grandi fenomeni sono stati annessi al mondo dell’utile.
Persino lo spazio tra cielo e Terra è diventato
soltanto un luminoso anfratto nel quale sfrecciano gli aerei.
Anche l’acqua e il fuoco, gli elementi,
sono ricuperati dal mondo dell’utile;
del resto li si nota solo nella misura in cui sono incorporati in questo mondo dell’utile,
privati di qualsivoglia esistenza autonoma.
Ma il silenzio è estraneo al mondo dell’utile,
non se ne può fare nulla;
dal silenzio non si cava letteralmente nulla,
è “improduttivo”
e per questo non conta affatto.
Eppure dal silenzio promana più aiuto e più salvezza
che da tutto ciò che è utile.
Esso, l’inutile,
si pone accanto a ciò che è fin troppo strumentale,
appare improvvisamente al suo fianco
e spaventa per la sua assenza di scopo,
interrompe il meccanismo continuo di ciò
che è fin troppo utile.
Il silenzio rafforza quanto vi è d’intangibile nelle cose,
attenua il danno che lo sfruttamento arreca alle cose,
ripristina l’integrità delle cose riportandole
dal mondo dell’utilità disgregante al mondo dell’esistenza integra.
Dona alle cose un poco di sacra inutilità,
poiché proprio questo è il silenzio:
sacra inutilità».

domenica 7 luglio 2013

Vengo soltanto, o Madre, per poterti guardare. Guardarti, piangere di gioia, sapere questo: io sono tuo figlio e tu sei qui.


E’ mezzogiorno.
Vedo la chiesa aperta.
Bisogna entrare.
Madre di Gesù Cristo, non vengo a pregare.
Non ho niente da offrire e nulla da chiedere.
Vengo soltanto, o Madre, per poterti guardare.
Guardarti, piangere di gioia, sapere questo:
io sono tuo figlio e tu sei qui.
Solo per un istante mentre tutto si ferma.
Mezzogiorno!

Essere con te, Maria,
in questo luogo dove sei tu.

Non dire niente,
guardare il tuo volto,
lasciare che il cuore canti il suo linguaggio.

Non dire niente,
ma solo cantare,
perchè il cuore è troppo pieno,
come il merlo segue una sua logica in certi suoi versetti improvvisi.
Perché sei bella, Immacolata,
la donna finalmente restituita alla Grazia,
la creatura com’è uscita da Dio
nell’attimo del suo originario splendore,
ineffabilmente intatta,
perché sei la madre di Gesù Cristo,
che è la verità tra le tue braccia,
la sola speranza e l’unico frutto.
Perché sei la donna ,
l’Eden dell’antica tenerezza dimenticata,
il cui sguardo trova subito il cuore
e fa sgorgare le lacrime accumulate.
Perché mi hai salvato…
Nel momento in cui tutto crollava sei intervenuta..

Perché è mezzogiorno,
perché siamo in questo giorno,
perché sei qui per sempre,
semplicemente perché tu sei, Maria,
semplicemente perché tu esisti,
Madre di Gesù Cristo, sii ringraziata.
Amen
(Paul Claudel)