lunedì 31 dicembre 2012

Il primo passo verso l’amore è allora quello di essere fiduciosi che c’è


Il mio regalo di fine anno per le persone che mi stanno vicino e sono alle prese con l'amore.
"Portavo nel cuore un’ideale di amore incommensurabile, fatto di certezze nobili e di gesti sproporzionati.
Non lo avevo imparato dai libri di letteratura, ma lì lo ritrovavo ed è per questo che mi ci ero ambientato così bene.
Se rileggo il cammino amoroso che si sviluppò da allora, più che passi lenti, ci trovo brevi ascese e sonori scivoloni.
Conoscere una donna e innamorarsene era naturale, non altrettanto attaccarle addosso quell’ideale che la proiettava fuori dalla realtà.
Quando una storia finiva il sogno restava lì, appeso sul nulla.
Ed era un dramma. Il male di vivere, appunto.
Se tornassi indietro, spruzzerei volentieri su quegli anni un po’ di spensieratezza. Non potendo farlo, me li tengo come prezioso serbatoio di esperienza.
L’insegnamento più importante che ho ricevuto è che non ci serve nessuna idea dell’amore. Anche la più pulita e sincera è sbagliata. Perché, come l’aria, l’amore entra dove gli si crea spazio,
non dove lo si occupa.
L’amore non lo produciamo, non è una facoltà di cui siamo più o meno dotati: l’amore è energia che non possiamo sviluppare da soli, ma solo quando usciamo dal nostro isolamento. Quello che possiamo fare è solo creare delle condizioni.
E, paradosso, queste condizioni non sono affatto di mostrarci onnipotenti e invincibili,
ma autentici e vulnerabili. L’amore ha bisogno di reciproca accoglienza e l’accoglienza
è possibile solo nella nudità, nella verità e nel rischio.
Altro non so dire. E anche queste parole non servono poi a molto se il nostro vivere quotidiano non ne consegue. Non viaggiamo al buio, questo no. La vita ci lascia tracce evidenti del calore, della luce, della gioia che l’amore produce. Sono gesti delicati, sono frammenti di coraggio, sono silenziose attenzioni.
Il primo passo verso l’amore è allora quello di essere fiduciosi che c’è, che c’è anche quando non si manifesta, quando ci sono buio e fatica.
E, soprattutto, che c’è quando smettiamo di pensare che possiamo essere autosufficienti, padroni del nostro destino.
Certo, le nostre qualità umane possono permettere a ciascuno di noi di creare tante cose.
Ma l’amore no.
L’amore nasce solo da un’esposizione alla vita e alle sue creature.
Quello che possiamo fare è creargli spazio, è propiziarlo.
È sperare che accada, a ciascuno di noi, ciò che descrive una poesia di Luciano De Giovanni, lunga un solo verso: “Mentre ti coglievo, fiore, tu hai colto me”." 
Massimo Orlandi

domenica 30 dicembre 2012

Uno spazio dove è consentito deporre le armi


Non dipende solo dalla pigrizia se le relazioni umane si ripetono così monotone e senza novità, ma dalla paura del nuovo e dell’imprevedibile che l’amore richiede, dal non lasciare uno spazio aperto che divenga un luogo non solo per accogliere l’altro, ma per la relazione con lui. Uno spazio dove è consentito deporre le armi, rilassarsi e incontrarsi. (don Luigi Verdi)

sabato 29 dicembre 2012

non da sottomessi o da schiavi, ma da innamorati


Quando si è innamorati, tutto di noi, mente, corpo e anima è unito verso l’oggetto del nostro amore. Per questo quando Gesù diceva: “Amate Dio con tutta la mente, con tutto il corpo e con tutta l’anima”, chiedeva di tornare ad amare Dio non da sottomessi o da schiavi, ma da innamorati. Don Luigi Verdi

venerdì 28 dicembre 2012

posare il suo pensiero sulle orme del tempo

 
LA MONTAGNA (Mina)
 L'uomo chiese alla montagna il vento per posare il suo pensiero sulle orme del tempo perché qualcosa resti del suo lungo viaggio anche nel più lontano punto del suo cammino. L'uomo chiese alla montagna di toccare il cielo, la montagna realizzò quel suo desiderio e quando fu così una nuvola lo sfiorò in fondo al cuore che malato è di nostalgia. La montagna è il punto più alto dove la terra sfiora il cielo. I ghiacciai aumentano ancora di più il disegno della loro bellezza. L'uomo raggiunge la cima mai sazio di quella altezza. La creatura sale fino all'estremo confine e forse spera di incontrare Qualcuno che gli parli nel silenzio, che gli parli nel vento, che gli parli nel cuore.

giovedì 27 dicembre 2012

nulla di più dolce e di più vantaggioso può essere gustato e trovato

"Di tutti i valori umani, niente di più santo e di più utile può essere desiderato e cercato, nulla di più dolce e di più vantaggioso può essere gustato e trovato, dell'amicizia, benchè nulla sia così difficile da acquisire.
L'amicizia è fonte di benedizioni in questa vita e nell'altra.
La sua soavità rende attraenti tutte le virtù, mentre è capace di estirpare ogni specie di vizi. Addolcisce l'avversità e modera la buona fortuna, sicchè si può dire che nessun uomo può essere contento in questo mondo senza amici.
"Guai a chi è solo; se cade, non ha alcuno che lo rialzi". (Qo 4,10).
Chi non ha amici è proprio solo.
Al contrario pensa alla soddisfazione, alla gioia che uno prova nell'avere una persona alla quale poter parlare senza reticenze dei propri problemi personali, nell'avere qualcuno cui rivelare i propri punti deboli e manifestare senza arrossire, i propri progressi spirituali, cui confidare i segreti e le aspirazioni del cuore.
Nulla è più dolce di una tale unione di cuore a cuore e di mente a mente.
In simile unione non c'è posto per l'arrivismo nè per il sospetto.
La stessa correzione non è presa in cattiva parte, nè la buona parola per adulazione."
(A. Rievaulx)

mercoledì 26 dicembre 2012

Anche il «fare il bene» può condurre a combinare guai notevoli

"Quando ci libereremo dal «complesso del convertire» (gli altri)? 
Di fare proselitismo a ogni costo? 
Quando smetteremo di imporre i nostri itinerari obbligati? 
Quando finiremo di giocare noi al Medico, al Maestro, al Salvatore, riconoscendo che uno solo è il Medico, il Maestro e il Salvatore, e noi siamo soltanto « servi inutili », e spesso ingombranti? 
Quando accetteremo, umilmente, di cercare insieme, di camminare insieme
Quando cesseremo di fare entrare Dio a forza in certe anime? 
E se fosse già entrato, silenziosamente, rispettosamente, magari per la porta di servizio, senza avvertirci, senza chiederci il permesso, senza lasciare nessuna orma visibile «fuori»?
Anche il «fare il bene» può condurre a combinare guai notevoli. Un certo tipo di fare del bene. Senza discrezione. Senza pudori. Con troppo orgoglio. Con una inconfondibile aria di superiorità. Al di fuori di un certo stile, di un certo modo insegnatoci dal Cristo.
Certa gente si illude di fare del bene a una determinata persona assediandola costantemente, asfissiandola senza misura con consigli esortazioni rimproveri minacce. Diventa una specie di persecuzione, che il più delle volte porta a risultati opposti a quelli sperati. Ognuno è custode del proprio fratello. Perfettamente d'accordo. Ma non deve essere il poliziotto del proprio fratello. Che ne spia ogni mossa, che ne studia tutti i movimenti, che ne interpreta (quasi sempre male) tutte le intenzioni.
Crediamo, poi, che per mettere sulla buona strada una persona, basti toglierle accuratamente tutte le occasioni di male, restringerle ostinatamente tutti gli spazi della libertà, tenerla continuamente sotto controllo. Dobbiamo essere testimoni, non poliziotti. Compagni di viaggio, non giudici. Amici, non spie.
Il prodigo cammina verso la Casa. Ogni tentativo di conversione può risultare una barriera. Il Padre ce l'ha già «dentro»".

Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi, 297-298

martedì 25 dicembre 2012

con la stessa tenerezza


Sei venuto qui a prendere un germoglio: questa nascita del Signore è come un germoglio: E' solo un inizio. Lascia che cresca questo germoglio. Deponilo nella terra del tuo corpo, dei tuoi sentimenti, delle tue passioni, dei tuoi pensieri. Làsciati abitare. E parli questo bambino: parli alla tua vita, a tutta la tua vita. Perdonate se finisco ricordando un volto di donna, una donna anziana, classe 1911. Ci accolse nella sua casa, una di queste ultime mattine di dicembre, il 15 dicembre. Mentre la guardavo con tenerezza, gli occhi intravidero, oltre i vetri della finestra, vasi bellissimi di ciclamini. Mi venne spontaneo dirle il mio stupore e la mia ammirazione. Mi rispose: "Io a loro parlo". Era il segreto di quella intensità. Qualcuno, parlando, li faceva vivere.
E se provassimo a parlarci e a parlare a tutto con la stessa tenerezza, con lo stesso rispetto, con cui Dio nel suo Figlio ha parlato a noi, con la stessa tenerezza, lo stesso rispetto con cui quella donna ogni mattina parla ai suoi fiori? Non sarebbe un inizio? Piccolo, ma buon inizio? (don Angelo Casati)

lunedì 24 dicembre 2012

Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona.

Fiumi di parole sono stati scritti sull'amore poiché essendo una "grande cosa", nulla lo spiega o lo esaurisce.
Vi riporto una piccola parte di un'antico scritto medievale, di incerta attribuzione a Tommaso da Kempis. Un testo che, se da una parte non ha bisogno di commenti per la sua interpretazione, dall'altra può ancora far nascere domande all'uomo contemporaneo assetato di amore autentico.
"Grande cosa è l'amore. Un bene grande, veramente. Un bene che, solo, rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile; porta il peso, senza fatica, e rende dolce e gustosa ogni cosa amara.
Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell'uno supremo, dal quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli viene donato, ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona.
Spesso l'amore non conosce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine. L'amore non sente gravezza, non tiene conto della fatica, anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile.
Colui che ama può fare ogni cosa, e molte cose compie e manda ad effetto; mentre colui che non ama viene meno e cade.
L'amore è sollecito, sincero e devoto; lieto e sereno; forte e paziente; fedele e prudente; longanime, virile e sempre dimentico di sé: chè, se uno cerca se stesso, esce fuori dall'amore.
Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni e non crede alla suadente furbizia del nemico. Come gli sono caro nella prosperità, così gli sono caro nelle avversità.
Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona. Guarda più all'affetto che al prezzo, e pone tutti i doni al di sotto della persona amata."


domenica 23 dicembre 2012

non lasciarmi abbattere dai miei errori di giudizio

Signore, dammi il buonsenso, la fiducia e la forza necessari per crescere i figli nel modo migliore. Talvolta mi accade di perdere la fiducia nelle mie possibilità di essere un buon genitore. Se mi guardo alle spalle, capisco d'aver sbagliato tante volte. Ho troppi rimpianti! Perciò mi chiedo se gli errori che ho fatto in qualche modo renderanno la vita più difficile ai figli. Signore, aiutami a non lasciarmi abbattere dai miei errori di giudizio. Fammi capire che nessun genitore è perfetto: che sbagliare è normale, perchè siamo esseri umani. Signore, ricordami sempre che Tu non ci hai mai chiesto di essere perfetti, ma di dare semplicemente amore. Signore, insegnami ad amare, perchè il mio amore, insieme al Tuo, mi aiuti a capire i miei errori (RENEE BARTKOWSKI)

sabato 22 dicembre 2012

Seguendo Maria non ti perderai.

Il pensiero di Maria non parta dalla tua mente. Il nome di Maria non abbandoni il tuo labbro. L'Amore di Maria non si spenga nel tuo cuore. Seguendo Maria non ti perderai. Appoggiandoti a Maria non cadrai. Sperando in Maria non temerai. Ascoltando Maria non sbaglierai. Vivendo con Maria ti salverai. Ecco la nona beatitudine: Beati quelli che si sono consacrati a Maria: i loro nomi sono scritti nel libro della vita. San Bonaventura da Bagnoregio

vicino a te dei miei occasionali sentimenti di appartenenza

PREGHIERA DI NATALE
O Signore, com'è difficile accettare la tua via!
Tu vieni a me come un piccolo
e debole bambino nato lontano da casa sua.
Tu vivi per me come uno straniero nella sua terra.
Tu muori per me come un criminale fuori delle mura della città,
reietto dal tuo stesso popolo,
frainteso dai tuoi amici e sentendoti abbandonato dal tuo Dio.
Mentre mi preparo a celebrare la tua nascita,
cerco di sentirmi amato, accettato e a casa mia in questo mondo,
e cerco di vincere i sentimenti di alienazione e di separazione
che continuano ad assalirmi.
Mi chiedo, però,
se il mio profondo senso di non avere una casa
non mi porti più vicino a te
 dei miei occasionali sentimenti di appartenenza.
Dove celebro veramente la tua nascita?
Nell'intimo della casa o in una casa straniera,
 fra amici accoglienti o fra stranieri sconosciuti,
 con sentimenti di benessere o con sentimenti di abbandono?
Non devo sfuggire alle esperienze che sono più vicine alle tue.
Come tu non appartieni a questo mondo,
 così io pure non appartengo a questo mondo.
Ogni volta che sento così,
ho l'occasione di essere grato
e di abbracciarti meglio
e di gustare più pienamente la tua gioia e la tua pace.
Vieni, Signore Gesù, e sta' con me laddove mi sento più povero!
Confido che questo sia il luogo
dove troverai la tua mangiatoia
 e porterai la tua luce.
Vieni, Signore Gesù, vieni! Amen! (Henri J. M. Nouwen)

venerdì 21 dicembre 2012

attento alle nostre grida che un giorno si è pure fatto uomo.


Il tempo di Geremia è un tempo di crisi, un tempo oscuro e ostico, in cui Dio sembra fuori mano e in cui l’essere umano ha perso la pazienza e si appropria il mondo senza più considerare il suo creatore.
Dio sa che confondiamo i nostri sogni con la sua volontà, sa che la nostra sofferenza è tale che siamo tentati dai mercanti di illusioni.
Dio lo sa e perciò dice:
“Potrebbe uno nascondersi in luogo occulto in modo che io non lo veda? Io non riempio forse il cielo e la terra?” (v. 24).
Se l’essere umano perde la pazienza di fronte alle  difficoltà,
Dio non sopporta più la sofferenza delle sue creature.
Le vede smarrite e impazzite,
le vede negoziare illusioni nel suo nome.
Anche Dio in un certo senso perde la pazienza di fronte alla nostra mancanza di coraggio e di fiducia.
Anzi forse c’è anche un po’  di rabbia in Dio quando dice:
“Fino a quando durerà questo?”
Fino a quando saremo così impauriti da seguire buffoni e ladri anziché la voce del Signore?
Eppure Dio è generoso, fedele, testardo.
E così, a furia di sentire grida di dolore, stanco di vedere eserciti di falsi profeti, di manipolatori,  di mascalzoni, Dio si avvicina.
Da lontano diventa vicino; da osservatore critico diventa protagonista.
Nel pruno ardente Dio dice a Mosè che ha sentito le grida di dolore del popolo schiavo in Egitto. Nel testo di Geremia Dio promette un futuro prospero al suo popolo in esilio a Babilonia.
La distanza diminuisce quando la sofferenza è eccessiva, Dio è compassionevole. La
domanda chiave da parte di chi soffre e da parte di Dio che vede gli abusi e i disastri risuona
forte: fino a quando? L’incertezza, l’instabilità e la crisi distruggono la speranza e fanno del
tempo che passa senza soluzione un nemico cruente. Fino a quando?
Invio
La nostra fede non dà nessuna risposta a questa domanda angosciante.
Né a chi vive mese dopo mese sempre più con l’acqua alla gola, né a chi vive in tende e in baracche perché la terra non smette di tremare.
Non c’è pace nella precarietà, non c’è neanche tregua.
L’unica certezza che ci rimane è quella di un Dio che afferma di essere sia lontano sia vicino.
E talmente attento alle nostre grida che un giorno si è pure fatto uomo.
Amen.

Past. Janique Perrin / Geremia 23, 23-28a 3  10/06/12

giovedì 20 dicembre 2012

Ma quando mai cominceremo ad essere cristiani?


Raoul Follereau
Il mio e il tuo

Il mio patrimonio, il tuo patrimonio, i nostri soldi;
i miei, i tuoi, i miei, i tuoi...
I miei capitali, i tuoi averi, i nostri beni:
i miei, i tuoi, i miei, i tuoi...
Un solo universo
molle, sordido e chiuso,
nel quale ci si va a barricare.
finito il tempo di amare.
Centinaia di milioni di poveri senza pane,
senza casa e senza nulla.
Il mio patrimonio, il tuo patrimonio,
i miei capitali, i tuoi averi:
i miei, i tuoi, il mio, il tuo.
Ormai sono duemila anni: l'era cristiana...
Ma quando mai cominceremo ad essere cristiani?

mercoledì 19 dicembre 2012

la bellezza del pensare e progettare insieme

Collaborazione autentica è corresponsabilità. Una semplice collaborazione può fermarsi al compito affidato senza l'effettivo sentirsi parte di un intero. La corresponsabilità, pur nella consapevolezza della parzialità dell'opera di ciascuno, mantiene vivo invece l'interesse per il tutto. Nella collaborazione è forte l'idea della competenza e della solerzia, nella corresponsabilità alla competenza si accompagna un senso vivo della responsabilità. E sappiamo bene che ogni vera responsabilità è relazione. La strada della corresponsabilità appartiene a chi, lieto nel servire, non calcola, non pone steccati, sa rendersi disponibile. Di qui la riscoperta della bellezza del pensare e progettare insieme, dell'assunzione comune delle scelte di fondo, della valorizzazione dei luoghi del discernimento comunitario (o della individuazione di nuovi luoghi) per valutare insieme in particolare quei problemi che appartengono alla vita di tutti e per sentire tutti, pregando, pensando e operando insieme, la responsabilità per il futuro della Chiesa. (da Segno nel mondo, Azione Cattolica)

martedì 18 dicembre 2012

possiamo solo creare le condizioni per consentire a un giovane di capire

“Ai giovani non possiamo insegnare nulla, possiamo solo aiutarli ad ascoltare il loro maestro interiore. Suonano strane, ma sono parole di sant’Agostino. Egli afferma con grande chiarezza che possiamo solo creare le condizioni per consentire a un giovane di capire. La comprensione, il giudizio, deve essergli dato dalla sua interiorità”. (pag. 57)  Conversazioni notturne a Gerusalemme di Carlo Maria Martini, un uomo di Dio

lunedì 17 dicembre 2012

Anche amare è bene


le idee di Rilke sulla poesia, sul'arte, sulla vita. Delle vere perle.

E non deve lasciarsi fuorviare nella sua solitudine perchè c’è in lei qualcosa che vorrebe uscirne. Proprio questo desiderio, se lei lo usa con calma e superiorità e come uno strumento, la aiuterà a dispiegare la sua solitudine su ampio paese. La gente, con l’ausilio delle convenzioni, ha risolto tutto secondo la facilità e la più facile delle facilità; ma è chiaro che noi dobbiamo attenerci al difficile;[...] Sappiamo poco, ma che dobbiamoc che non ci deve abbandonare; è bene essere soli, poichè la solitudine è difficile; che una cosa sia difficile deve essere per noi un motivo in più per farla.
Anche amare è bene: poichè l’amore è difficile.

domenica 16 dicembre 2012

elemosina alla tua porta


Rabindranath Tagore
Eppure mi sento contento
Molto simile ad un canto spirituale negro, sebbene di stile altamente superiore, è questo canto del poeta efilosofo indiano Rabindranath Tagore.  E' un canto già raggiante di luce cristiana, ma ancora annebbiato dal dissidio che l'uomo sente esistere tra sé e gli altri, tra il mondo e Dio. Per i cristiani invece il mondo e gli altri non sono un ostacolo per andare a Dio, ma una lente per scorgerlo meglio.
Signore, il mio occhio ti cerca,
io non Ti vedo;
chiedo una via:
eppure mi sento contento.
Il mio cuore è nella polvere,
elemosina alla tua porta,
Ti chiede compassione:
non ricevo grazia,
soltanto aspetto.
Eppure sono contento.
Da questa terra
chi in gioia e chi in pianto
tutti se ne sono andati.
Non trovo un compagno
voglio Te.
Eppure mi sento contento.
Il verde mondo,
pieno di delizie, agitato,
fa piangere di passione.
lo non Ti vedo,
sono afflitto;
eppure mi sento contento.

sabato 15 dicembre 2012

guardò in basso


L. HausmanIl mistero di Natale

La Luce guardò in basso
e vide le Tenebre:
"Là voglio andare"
disse la Luce.

La Pace guardò in basso
e vide la Guerra:
"Là voglio andare"
disse la Pace.

L'Amore guardò in basso
e vide l'Odio:
"Là voglio andare"
disse l'Amore.

Così apparve la Luce
e risplendette.
Così apparve la Pace
e offrì riposo.
Così apparve l'Amore
e portò vita;
questo è il mistero del Natale.

venerdì 14 dicembre 2012

Ci sei perciò devi passare. Passerai e qui sta la bellezza.


Wislawa Szymborska -
Nulla due volte accade -
Nulla due volte accade
nè accadrà. Per tal ragione
si nasce senza esperienza,
si muore senza assuefazione.

Anche agli alunni più ottusi
della scuola del pianeta
di ripeter non è dato
le stagioni del passato.

Non c'è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
nè due baci somiglianti,
nè due sguardi tali e quali.

Ieri, quando il tuo nome
qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.

Oggi, che stiamo insieme,
ho rivolto gli occhi altrove.
Una rosa? Ma cos'è?
Forse pietra, o forse fiore?

Perchè tu, malvagia ora,
dài paura e incertezza?
Ci sei  perciò devi passare.
Passerai e qui sta la bellezza.

Cercheremo un'armonia,
sorridenti tra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d'acqua.

Il mio commento di oggi è lasciar spazio al Grande santo di oggi
 The dark night of the soul (qui su You Tube), la cantante rilegge Notte oscura di S. Giovanni della Croce che, riallacciandosi al Cantico dei Cantici, esprime poeticamente l’esperienza della notte oscura dell’anima che talvolta è più vicina al suo Signore quando ne percepisce la lontananza ed il desiderio di quando ne avverte con evidenza la presenza.

 The dark night of the soul
Upon a darkened night
the flame of love was burning in my breast
And by a lantern bright
I fled my house while all in quiet rest
Shrouded by the night
And by the secret stair
I quickly fled
The veil concealed my eyes
while all within lay quiet as the dead.

 Rit. Oh night thou was my guide
oh night more loving than the rising sun
oh night that joined the lover to the beloved one
transforming each of them into the other.

Upon that misty night
in secrecy, beyond such mortal sight
Without a guide or light
than that which burned so deeply in my heart
That fire t'was led me on
and shone more bright than of the midday sun
To where he waited still
it was a place where no one else could come.

Rit.
 Within my pounding heart
 which kept itself entirely for him
 He fell into his sleep
 beneath the cedars all my love I gave
 From o'er the fortress walls
 the wind would brush his hair against his brow
 And with its smoothest
 hand caressed my every sense it would allow. 

Rit.
I lost myself to him
and laid my face upon my lover's breast
And care and grief grew dim
as in the morning's mist became the light
There they dimmed amongst the lilies fair
there they dimmed amongst the lilies fair
there they dimmed amongst the lilies fair

 The dark night of the soul:
traduzione
 In una notte oscura

La fiamma dell’amore stava bruciando nel mio petto
E da una lanterna luminosa
Fuggii mentre tutto era a riposo, calmo in casa.
Avvolto nella notte
Da un gradino segreto rapidamente scappai
Nascosi il velo i miei occhi
Mentre tutto dentro era calmo come morto.

 Rit: Oh notte tu eri mia guida
 Della notte più amante del sole che sorge
 Oh notte che unì l’amante all’amato
 Trasformando ognuno di loro nell’altro.

Su quella notte nebbiosa
In segreto, oltre tale vista mortale
Senza una guida o luce
Di quella che bruciava così profondamente nel mio cuore
Quel fuoco mi guidava
E splendeva più luminoso del sole di mezzogiorno
Dove egli aspettava ancora
Era un luogo dove nessun altro poteva venire
 (Rit)

Dentro il mio cuore pulsante
Che si tratteneva totalmente per lui
Cadde nel sonno
Sotto i cedri tutto il mio amore io diedi

Da sopra le fortezze
il vento spazzerebbe i capelli contro la fronte
e con la sua mano più liscia
accarezzato ogni mio senso

Mi persi in lui
E reclinai il mio volto sul petto del mio amato
E preoccupazione e dolore aumentarono
Come la foschia nel mattino divenne luce
Là si affievolirono i bei gigli

S. Giovanni della Croce ha voluto sintetizzare in poesia lo sviluppo dell’itinerario che porta l’anima all’unione con Dio e La salita del monte Carmelo inizia proprio con questi versi che strutturano poi tutto il testo:
1 - In una notte oscura,
 con ansie, in amori infiammata,
 - oh felice ventura !
 - uscii, né fui notata,
 stando già la mia casa addormentata.
2 - Al buio uscii e sicura,
 per la segreta scala, travestita
 - oh felice ventura!
 - al buio e ben celata,
 stando già la mia casa addormentata.
3 - Nella felice notte,
 segretamente, senza esser veduta,
 senza nulla guardare,
 senza altra guida o luce
 fuor di quella che in cuore mi riluce.
4 - Questa mi conduceva
 più sicura che il sol del mezzogiorno,
 là dove mi attendeva
 Chi bene io conosceva
 e dove nessun altro si vedeva.
5. - Notte che mi hai guidato!
 O notte amabil più dei primi albori!
 O notte che hai congiunto
 l'Amato con l'amata,
 l'amata nell'Amato trasformata!
6. - Sul mio petto fiorito
 che intatto per lui solo avea serbato,
 Ei posò addormentato,
 mentre io lo vezzeggiava
 e la chioma dei cedri il ventilava
7. - Degli alti merli l'aura,
 quando i suoi capelli io discioglievo,
 con la sua man leggera
 il mio collo feriva
 e tutti i sensi miei in sé rapiva.
8. - Giacqui e mi obliai,
 il volto sul Diletto reclinato;
 tutto cessò, e posai,
 ogni pensier lasciato
 in mezzo ai gigli perdersi obliato.

giovedì 13 dicembre 2012

stracciate le antiche bandiere dei nostri ideali, le trasformiamo in cravatte


Fra Betto, un domenicano teologo e giornalista brasiliano: come è vero che tutto il mondo è paese!
Scrive:
"Non speriamo più di cambiare, 
retrocediamo dal sociale al privato 
e, stracciate le antiche bandiere dei nostri ideali, 
le trasformiamo in cravatte. 
Non vi sono più utopie di un futuro che diventi diverso dall'oggi. 
Per questo siamo malinconici, sorridiamo con scetticismo. 
Oggi predominano l'effimero, l'individuale, il soggettivo, l'estetico. 
La delusione della Ragione ci spinge verso l'esoterico, 
verso uno spiritualismo di pronto consumo, 
verso l'edonismo consumista. 
Siamo in pieno naufragio 
o, come ha predetto Heidegger, 
stiamo camminando su sentieri smarriti".

Ho saputo oggi che padre Renato il 9 dicembre ha festeggiato a Dolo il 25° di ordinazione sacerdotale.
Clicca per Ingrandire “Dio attende alla frontiera” di Renato Zilio (EMI 2012) = L’autore (foto del titolo; ndr), reporter freelance, è missionario scalabriniano, fondatore del centro interculturale di Ecoublay alla periferia di Parigi, poi direttore della rivista “Presenza” a Ginevra, missionario a Gibuti e in Marocco, ora al Centro interculturale Scalabrini di Londra, dove assiste e segue da anni i migranti italiani nel Regno Unito. Proprio partendo dalle loro esperienze ha scritto varie opere (“Vangelo dei Migranti”, per citarne una). Oggi esce in libreria col volume indicato in apertura, che in pochi mesi è arrivato già alla seconda edizione.



Credo che per il commento alla riflessione di Frei Betto, non potevo trovare migliore occasione e testimonianza nel libro sopraccitato.
Per un’Italia ormai col fiato corto si rivela urgente e necessario uscire dalle abitudini, dalle chiusure e dalle paure. La testimonianza missionaria vissuta da Padre Renato all’estero fra emigranti italiani a Parigi, Ginevra, Londra e in Marocco, e il loro sguardo sulla nostra patria sono un capolavoro di passione e analisi delle situazioni che viviamo. Si incontra perfino il grido di dolore dei giovani italiani emigrati di recente all’estero, “traditi” dalla loro terra di origine. È un invito forte ad aprire gli occhi, la mente e il cuore al futuro per risvegliarsi a un mondo che è cambiato.
Dio ci attende alla frontiera delle nostre energie, del nostro mondo, della nostra stessa fede. 

Con stile narrativo, riflessivo e poetico queste pagine aiutano senz’altro a capire i tempi d’oggi. Ma soprattutto a preparare quelli di domani, da costruire insieme a più mani, con coraggio e fiducia. È là che Dio ci attende. In questi “quadri di vita vissuta, guardata con l’occhio attento e libero che sa andare oltre l’apparenza della superficie, alla vera essenza di situazioni umane, all’anima” (dalla prefazione dell’Abate di Montecassino). Dove percepire un segreto, sottile invito: “Svegliati, mia bella Italia!"

mercoledì 12 dicembre 2012

Le storie, in questo senso, assomigliano alle preghiere: stabiliscono legami — religione deriva da religio, ciò che collega — trasmettono valori, dicono il senso delle errabonde vicende umane.


C'è una tradizione, tuttavia, in cui «soltanto», a proposito delle parole, non è una limitazione negativa, non indica insufficienza e aridità, come per il protagonista di Nabokov.
È la tradizione chassidica, la corrente mistica e gioiosa dell'ebraismo orientale, in cui parabole e leggende sono preghiere, racconti di verità. In una di queste parabole, riportata da Gershom Scholem, il più grande storico di mistica ebraica, si narra che quando Baàl-shem, il santo e maestro, doveva assolvere un compito difficile per il bene delle creature, andava in un posto speciale e segreto del bosco, accendeva magicamente un fuoco, diceva preghiere particolari e otteneva da Dio ciò che chiedeva.
Una generazione dopo, un suo successore, il Maggìd di Meseritz, quando si trovava dinanzi allo stesso compito, si recava in quel posto segreto del bosco e diceva quella speciale preghiera, ma non conosceva più il modo di accendere il fuoco, e otteneva ciò che chiedeva.
Ancora una generazione dopo, un altro grande maestro non sapeva più né come accendere il fuoco né quale preghiera dire, ma si recava in quel luogo nascosto del bosco, ottenendo ciò che chiedeva. Ma, ancora una generazione dopo, un altro maestro che aveva la stessa esigenza, diceva di non conoscere più né l'arte di accendere quel fuoco né le formule di quella preghiera e nemmeno dove si trovasse quel luogo nel bosco, ma aggiungeva che di tutto questo poteva raccontare la storia e, raccontandola, otteneva ciò che chiedeva.
E ogni volta che, nella cerchia dei chassidim, il narratore narra la storia di questa progressiva perdita, il suo racconto ottiene da Dio il dono richiesto; di quella realtà restano soltanto le parole, ma le parole che narrano la storia di quella perdita la superano, perché hanno la stessa efficacia delle azioni compiute da quei santi nel passato.
Le storie, in questo senso, assomigliano alle preghiere: stabiliscono legami — religione deriva da religio, ciò che collega — trasmettono valori, dicono il senso delle errabonde vicende umane. Poche cose infatti uniscono, creano legami e amicizia, come raccontare storie, accadute a noi stessi o a qualche altro, ma che sono divenute parte di noi e che, rinarrate, diventano anche di altri, entrano nella loro vita.
La cerchia chassidica in cui si raccontano storie è un coro in cui una voce si riconosce nelle altre, distinguendosi, ma anche confondendosi con le altre, in un epico scambio fra il mio e il tuo. Anche fra noi amici, talora non sappiamo bene cosa è accaduto all'uno o all'altro. Ma abbiamo le storie; le parole, non soltanto le parole.
Le Storie, preghiere che aiutano a vivere
di Claudio Magris
in “Corriere della Sera” del 1 dicembre 2012
Nel rileggere il post, mi sono accorto di quanto sia bello ma anche di difficile lettura perchè richiede sintonia con l'autore. " di quella realtà restano soltanto le parole, ma le parole, che narrano la storia di quella perdita, la superano, perché hanno la stessa efficacia delle azioni compiute da quei santi nel passato." Se mi è permesso, anche l'articolo è PAROLE che però, nella storia, nel ricordo dell'esperienza compiono il miracolo di riprendere l'efficacia delle azioni compiute nel passato.

Poche cose infatti uniscono, creano legami e amicizia, come raccontare storie, accadute a noi stessi o a qualche altro, ma che sono divenute parte di noi e che, rinarrate, diventano anche di altri, entrano nella loro vita... Anche fra noi amici, talora non sappiamo bene cosa è accaduto all'uno o all'altro. Ma abbiamo le storie; le parole, non soltanto le parole.
Non posso continuare a citare l'autore perchè alla fine rischierei di trascriverne tutto lo scritto. 
Sì, forse è un invito, non velatamente sottinteso,  ad una rilettura.
Nessuno ignora momenti talora segreti e che ci è dato capire solo dopo molto tempo che sono accaduti. Siamo mossi da eventi che ci cambiano e di cui ci rendiamo conto molto più tardi. Il senso e l'intelligenza vengono dopo l'evento, come la percezione del colpo segue la vista del gesto di colpire. Quando e quanto si capisce, si fa storia e diventa il punto di partenza di un cammino.
...diceva di non conoscere più né l'arte di accendere quel fuoco né le formule di quella preghiera e nemmeno dove si trovasse quel luogo nel bosco, ma aggiungeva che di tutto questo poteva raccontare la storia e, raccontandola, otteneva ciò che chiedeva.
Dio passa e non lo si riconosce se non di spalle, ci dice la Bibbia, cioè quando è passato, a cose fatte.




martedì 11 dicembre 2012

Il sale non ha senso in se stesso, ma solo nel suo abbandonarsi al cibo.


Obbedendo al consiglio amichevole, per questo autorevole, di Mauro mi impegnerò a commentare modestamente quanto vado pubblicando. 
Mi corre l'obbligo di aggiungere le avvertenze per l'uso.  
So che le parole dell'autore hanno virtù  che ogni lettore può scoprire.
Le mie riflessioni focalizzeranno l'attenzione su aspetti particolari che non esauriranno il grande tesoro del testo. 
Il lettore, perciò, non si lasci condizionare da quanto avrò sottolineato. 

Senza sale non c’è sapore nel cibo. E’ cosa scipita.
Sapevi che la tua presenza tra la gente è importante come il sale?
Senza di te e di me non c’è sapore nella vita. “Voi siete il sale della terra”, diceva Gesù (Mt.5,13). Proprio lui ci ha fatti cosi preziosi.
Che bello: Gesù ci fa coraggio per non perderci d’animo anche se siamo solo piccoli, sconosciuti, non famosi. La nostra presenza basta per dare sapore alla vita.
Almeno Dio gode di noi, se i nostri vicini non si rendono conto. Ma pian piano anche loro lo sperimenteranno, al di più tardi che noi li mancheremo. Ma c’è ancora un mistero nel simbolo del sale.
Il sale non ha senso in se stesso, ma solo nel suo abbandonarsi al cibo.
Allo stesso modo l’uomo non ha importanza a causa di grandi sforzi ma solo mostrandosi tra amici con una parola o con un gesto autentico.
Il sale non può perdere il sapore, solo l’uomo può farlo, quando non è più autentico.
Ecco perchè Gesù dice:
“Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.”
Giosuè Boesch

Noi siamo sale, dobbiamo esserlo per dare sapore alla terra e agli amici.
La nostra vocazione è scioglierci nel cibo, non perdere i sapore, per non essere buttati via.

lunedì 10 dicembre 2012

Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Giovanni 15, 1l).

Danzate, ovunque voi siate, dice Dio, 
perché io sono il Signore della danza:
io guiderò la danza di tutti voi.
Dovunque voi siate,
io guiderò la danza di tutti voi.

Io danzavo
il primo mattino dell'universo,
io danzavo circondato dalla luna,
dalle stelle e dal sole,
disceso dal cielo danzavo sulla terra
e sono venuto al mondo a Betlemme.

Io danzavo per lo scriba e il fariseo,
ma essi non hanno voluto seguirmi;
io danzavo per i peccatori,
per Giacomo e per Giovanni,
ed essi mi hanno seguito
e sono entrati nella danza.

Io danzavo il giorno di sabato,
io ho guarito il paralitico,
la gente diceva che era vergogna.
Mi hanno sferzato
mi hanno lasciato nudo
e mi hanno appeso ben in alto
su una croce per morirvi.

Io danzavo il Venerdì,
quando il cielo divenne tenebre.
Oh, è difficile danzare
con il demonio sulle spalle!
Essi hanno sepolto il mio corpo
e hanno creduto che fosse tutto finito,
ma io sono la danza
e guido sempre il ballo.

Essi hanno voluto sopprimermi
ma io sono balzato ancora più in alto
perché io sono la Vita
che non può morire:
e io vivrò in voi e voi vivrete in me
perché io sono, dice Dio,
il Signore della danza.
Sidney Carter

Il filosofo Nietzsche ha affermato:
«Potrei credere solo in un Dio
che sappia danzare!».

Il Dio della Bibbia, il Dio di Gesù Cristo è il Signore della danza, della gioia.
Vuole la nostra gioia, fa di tutto perché la nostra vita sia un banchetto di nozze.
Ci guarda negli occhi con sguardo d’amore e ci invita alla festa.
Forse siamo noi che non abbiamo il coraggio di addentrarci nell'avventura evangelica e ce ne andiamo via tristi... Ma Lui insiste: Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Giovanni 15, 1l).

domenica 9 dicembre 2012

L’importante è arrivare al Natale, a quello vero, con il cuore


09 dicembre 2012 - Storia e storie
Possiamo celebrare cento natali, senza che mai Dio nasca nei nostri cuori. Perciò abbiamo bisogno di un tempo di interiorità, perché possiamo, infine accogliere la luce del Signore. Affinché il giorno della venuta del Signore non ci piombi addosso all’improvviso e ci trovi impreparati. Sarebbe tragicomico passare la vita ad invocare la venuta del Signore, e non esserci nel momento della sua venuta interiore! Certo, non è facile e tutto ci rema contro: la crisi economica, il clima dolciastro, lo scippo natalizio perpetrato dal mercato che fa leva sui buoni sentimenti, le difficoltà della vita di tutti i giorni. Non è facile, ma è possibile: Cristo ci chiede di alzare lo sguardo, invece di lamentarci, di guardare oltre, altrove, al di là. L’importante è arrivare al Natale, a quello vero, con il cuore, leggero, senza lasciarlo appesantire dalla dissipazione, dallo stordimento, dalle preoccupazioni della vita. Dio viene, lui prende l’iniziativa, è suo il primo passo. La Scrittura ci rivela il volto di un Dio che intesse relazioni, che cerca l’uomo, che lo corteggia. La storia, splendida e drammatica, fra Israele e il suo Dio non è sempre stata fortunata e feconda. Ora Dio viene per spiegarsi, per raccontarsi, per dirsi. Dio viene a rivelarsi. Incipit L’aulico e solenne incipit della predicazione del Battista conferma l’intento di Luca di raccontare eventi storici, non edificanti racconti da pie devote. Luca, discepolo di Paolo, non ha mai visto Gesù in vita sua. Come ...http://www.tiraccontolaparola.it/template_pagine/hp_02.asp?idct=1&idlv=10
Paolo Curtaz

sabato 8 dicembre 2012

più infelice e meno libero


Quella di Luca è «La parabola dei figli perduti». Non si è perduto soltanto il figlio più giovane, che se n’è andato da casa per cercare libertà e felicità in un paese lontano, ma anche quello che è rimasto. Esteriormente faceva tutte le cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si era allontanato da suo padre.
Faceva il proprio dovere, lavorava sodo ogni giorno e adempiva tutti i suoi obblighi, ma era diventato sempre più infelice e meno libero.
L’obbedienza e il dovere sono diventati un peso e il servizio è una schiavitù.
Il figlio maggiore è diventato un forestiero in casa sua. Non c’è più autentica comunione.
(Henri J.M. Nouwen, L’abbraccio benedicente, Queriniana)

venerdì 7 dicembre 2012

La benedizione c’è fin dall’inizio.

Dio non ha mai ritirato le sue braccia, non ha mai rifiutato la sua benedizione, non ha mai smesso di considerare suo figlio come il prediletto.
Ma il padre non poteva costringere il figlio a rimanere a casa. Non poteva imporre con la forza il suo amore al prediletto. Doveva lasciarlo andare in libertà, anche se sapeva il dolore che ciò avrebbe causato sia al figlio che a se stesso.
E’ stato l’amore a impedirgli di trattenere il figlio a casa a tutti i costi. E’ stato l’amore a consentirgli di lasciare che il figlio vivesse la sua vita, anche a rischio di perderlo.
Qui si svela il mistero della mia esistenza. Sono amato a tal punto che mi lascia libero di andarmene da casa.
La benedizione c’è fin dall’inizio. Il Padre continua a cercarmi con le braccia tese per accogliermi di nuovo e sussurrarmi ancora all’orecchio:
‘Tu sei il mio figlio prediletto.
     (Nouwen)

giovedì 6 dicembre 2012

l’amore incondizionato dove non può essere trovato


Sono il figlio prodigo ogni volta che cerco l’amore incondizionato dove non può essere trovato. Perché continuo a ignorare il luogo del vero amore e persisto nel cercarlo altrove? Perché continuo ad andarmene da casa dove sono chiamato figlio di Dio, il prediletto di mio Padre? … E’ quasi come se volessi dimostrare a me stesso e al mio mondo che non ho bisogno dell’amore di Dio, che posso costruirmi una vita tutta mia, che voglio essere del tutto indipendente. Sotto tutto questo c’è la grande ribellione, il «no» radicale all’amore del Padre.
(Nouwen, L’abbraccio benedicente,
ed. Queriniana)

mercoledì 5 dicembre 2012

Tu mi appartieni

«Ti ho chiamato per nome fin dal principio. 
Tu sei mio e io sono tuo. 
Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto. 
Ti ho modellato nelle profondità della terra e ti ho formato nel grembo di tua madre. 
Ti ho scolpito nei palmi delle mie mani e ti ho nascosto nell'ombra del mio abbraccio. 
Ti guardo con infinita tenerezza e ho cura di te con una sollecitudine più profonda che quella di una madre per il suo bambino. 
Tu sai che io sono tuo come io so che tu sei mio. 
Tu mi appartieni. Io sono tuo padre, tua madre, tuo fratello, tua sorella, il tuo amante e il tuo sposo... 
Ovunque tu sia, io ci sarò. 
Niente mai ci separerà. 
Noi siamo uno».
(H. Nouwen, Sentirsi amati, Queriniana)

martedì 4 dicembre 2012

sta aspettando la nostra risposta all'amore

«II mistero insondabile di Dio è che Dio è un Innamorato che vuole essere amato. 
Colui che ci ha creato sta aspettando la nostra risposta all'amore che ci ha dato la vita. Dio non dice solamente: 
"Tu sei il mio amato" 
Dio chiede anche: 
"Mi ami?" 
e ci da innumerevoli possibilità per dire "sì".
Questa è la vita spirituale. 
Il camminare e il riposare, il pregare e il giocare, l'ammalarsi e l'essere guarito 
- sì il vivere e il morire - 
diventano tutte espressioni della domanda divina "Mi ami?" 
e in ogni momento del viaggio 
c'è sempre la possibilità di dire "sì" 
e la possibilità di dire "no"».
(H. Nouwen, Sentirsi amati, Queriniana)

lunedì 3 dicembre 2012

Non vi è nulla di sentimentale in lui

La gioia è contagiosa, proprio come il dolore.
Ho un amico che irradia gioia, non perché la sua vita sia facile, 

ma perché 
egli è solito riconoscere la presenza di Dio 
in mezzo a ogni umana sofferenza, 
la propria come quella degli altri.
Dovunque vada, chiunque incontri, 

è capace di vedere e udire qualcosa di positivo, 
qualcosa per cui essere grato.
Non nega la grande sofferenza che lo circonda, 

né è cieco o sordo alle voci e ai sospiri di angoscia degli altri esseri umani, 
ma 
il suo spirito gravita verso la luce nelle tenebre
e verso la preghiera in mezzo alle grida di disperazione.
Il suo sguardo è dolce e la sua voce è pacata. 

Non vi è nulla di sentimentale in lui. 
Egli è realistico, 
ma 
la sua profonda fede gli consente di sapere 
che la speranza è più vera della sfiducia, 
e l’amore più vero della paura.
E’ il suo realismo spirituale che lo rende un uomo così gioioso.
... La gioia del mio amico è contagiosa. 

Più sto con lui, più colgo i bagliori del sole che risplende dietro le nuvole. ...
Coloro che continuano a parlare del sole 

mentre camminano sotto un cielo nuvoloso 
sono messaggeri di speranza, 
i veri santi del nostro tempo.
(Henri J.M. Nouwen, Vivere nello Spirito)

domenica 2 dicembre 2012

viaggia come la Vergine gentile verso il maestoso tramonto dei pianeti


Thomas Merton (1915/1968) scrittore e monaco dell’ordine dei Trappisti, scriveva: “Meditando l’Avvento passato e l’Avvento futuro, impariamo a riconoscere l’Avvento presente, che si situa in ogni momento della nostra vita di pellegrini terreni”.
Affascinate, cieli, con la vostra purezza queste notti d'inverno
e siate perfetti!
Volate più vive nel buio di fuoco, silenziose meteore,
e sparite.
Tu, luna, sii lenta a tramontare,
questa è la tua pienezza!
Le quattro bianche strade se ne vanno in silenzio
verso i quattro lati dell'universo stellato.
Il tempo cade, come manna, agli angoli della terra invernale.
Noi siamo diventati più umili delle rocce,
più attenti delle pazienti colline.
Affascinate con la vostra purezza queste notti di Avvento,
o sante sfere,
mentre le menti, docili come bestie,
stanno vicine, al riparo, nel dolce fieno,
e gli intelletti sono più tranquilli delle greggi che
pascolano alla luce delle stelle.
Oh, versate, cieli il vostro buio e la vostra luce sulle nostre
solenni vallate;
e tu, viaggia come la Vergine gentile
verso il maestoso tramonto dei pianeti,
o bianca luna piena, silente come Betlemme!

Thomas Merton

qualche scintilla ci raggiunga e ci possegga

Poiché le tue parole, mio Dio,
non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri,
ma per possederci e per correre il mondo in noi,
permetti che, da quel fuoco di gioia da te acceso,
un tempo, su una montagna,
e da quella lezione di felicità, qualche scintilla ci raggiunga e ci possegga,
ci investa e ci pervada.
Fa’ che, come "fiammelle nelle stoppie",
corriamo per le vie della città e fiancheggiamo le onde della folla,
contagiosi di beatitudine, contagiosi della gioia.
(Che gioia credere!) Madeleine Delbrêl

sabato 1 dicembre 2012

non è un libro qualsiasi


La Bibbia è davanti a te: 
non è un libro qualsiasi
ma il libro che contiene la Parola di Dio:
attraverso di essa, 

Dio vuole parlare a te oggi, 
personalmente.
LEGGI 

attentamente, 
cerca di 
ASCOLTARE 
con tutto il cuore e l’intelligenza.
RIFLETTI 
con la tua intelligenza, 
INTERPRETA 
la Scrittura con la Scrittura.
RILEGGI, RUMINA 
le parole nel tuo cuore.
Lasciati STUPIRE, attrarre dalla Parola.

Ora, ripieno di Parola di Dio, 
PARLA al tuo Signore 
o meglio RISPONDI a Lui.
E’ il momento 
della LODE, del RINGRAZIAMENTO, dell’INTERCESSIONE.
Ora CONTEMPLA 

cioè guarda a tutto e a tutti con gli occhi di Dio.
CONSERVA NEL CUORE 

la Parola ricevuta come Maria, la donna dell’ascolto.
CUSTODISCI, RICORDA, RICHIAMA 

la Parola nelle diverse ore del giorno.
Ascoltare è OBBEDIRE: 

impegnati dunque 
a REALIZZARE la Parola di Dio.
(Enzo Bianchi)

venerdì 30 novembre 2012

La chiesa che siede al pozzo, una chiesa mai stanca dell’umanità, mai stanca della compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo

Confidiamo nello stile di Gesù. 
Quello al pozzo di Sicar, nell’incontro con la donna samaritana. 
Non ci spetterebbe di sconfinare, come Gesù ha sconfinato
Prese quel giorno non la strada dritta, la tradizionale, per recarsi in Galilea. 
Deviò, sconfinò in terra di gente che nel giudizio del suo popolo aveva fama di razza religiosamente bastarda, popolo stupido agli occhi dei puri. 
Non dovremmo sconfinare anche noi e anziché parlare dalle cattedre, sedere al pozzo nell’ora più calda del giorno? 
Al pozzo di Sicar traspira la tenerezza di un amore più forte di ogni pregiudizio. Invece noi siamo lontani, lontanissimi dall’aver imparato la lezione del pozzo di Sicar. 
Di questo Gesù che passa i confini
il confine 
tra ortodossi e non ortodossi, 
tra puro e impuro, 
tra un monte dell’adorazione e un altro monte antagonista. 
Quale chiesa può far pulsare un fiotto di vita nelle vene dell’umanità? 
La chiesa 
che siede al pozzo, 
una chiesa mai stanca dell’umanità, 
mai stanca della compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo, 
una chiesa che parla sottovoce, come il rabbì alla donna del pozzo, 
una chiesa che sa chiedere un po’ d’acqua confessando il suo bisogno, 
una chiesa che parla delle cose della vita, 
una chiesa che non invade le coscienze, 
che fa emergere pazientemente le attese del cuore, 
scavando nel bene che rimane comunque in ogni cuore. 
Con che volto accostiamo l’altro, con che occhi lo guardiamo? 
Ci abita, dentro, lo sguardo del rabbì del pozzo per la donna samaritana? 
E sappiamo sognare, come faceva lui, il maestro? 
(don Angelo Casati)

giovedì 29 novembre 2012

che l’impossibile diventi possibile

La speranza è la fede che l’impossibile diventi possibile. 
Dicono i rabbini che il Mar Rosso si aprì davanti al popolo che fuggiva dall’Egitto quando il primo ebreo vi mise dentro il piede, non già che videro il mare asciutto quindi vi avanzarono dentro ma mescolando fede e speranza, speranza e incoscienza misero il piede nell’acqua e in quel momento preciso l’acqua si aprì davanti a loro, davanti alla loro speranza. Se non ci aspettiamo l’impossibile non lo raggiungeremo mai. 
La speranza è la fede nella possibilità dell’impossibile.
 (Ermes Ronchi)

mercoledì 28 novembre 2012

forse ne hai abbastanza

Penso, o Signore,
che tu forse ne hai abbastanza
della gente che sempre parla di servirti con piglio di condottieri,
di conoscerti con aria di professori,
di raggiungerti con regole sportive,
di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi voglia di altro,
hai inventato S. Francesco e ne hai fatto il tuo giullare;
lascia che noi inventiamo qualcosa
per essere gente lieta che danza la propria vita con te.
(Madeleine Delbrêl)

martedì 27 novembre 2012

La gioia diventa un compito e la tristezza, l’ingiustizia, nemici da combattere


Tutte le cose di cui abbiamo veramente bisogno
ci possono venire soltanto come dono.
(Thomas Merton) 
… il Natale ce lo insegna, ogni anno.
Se io mi sono fatto uomo, dice il nostro Dio a ciascuno di noi è perché ognuno di voi diventi più uomo e più umano. Chi ama arriva per primo, i suoi passi arrivano prima. Così è stato per Dio: i suoi passi sono passi d’amante che arrivano sempre per primi. Da Lui siamo invitati ad imparare il suo stile, a fare il primo passo.
Lo stile di Dio, lo stile dell’Incarnazione invitano i cristiani alla tenerezza, alla solidarietà, alla speranza, all’amore concreto e significativo per l’uomo.
La gioia diventa un compito e la tristezza, l’ingiustizia, nemici da combattere, perché un cristiano non può restare impassibile, indifferente davanti alla sofferenza di tanti: il Natale non ce lo permette.
don Mirko Bellora

lunedì 26 novembre 2012

Quando si ama veramente, le si pensa tutte.

Spesso sul mistero dell'incarnazione si consumano giorni e anni a discutere come un Dio possa farsi uomo, non dico che non serva, ma forse, per come sono fatto io, mi è più caro invece sostare alla buona notizia: che Lui abbia cancellato la distanza, che Lui a uno come me, che non sono uomo di scalate spirituali, non abbia chiesto di scalare i cieli per toccarlo, ma che sia sceso Lui a toccarmi, a toccarmi nella mia carne, nella mia umanità. È notizia da stupore. Quando la ricordo mi mette gioia e mi mette in movimento, proprio su questa terra. Rallègrati per questa pensata di Dio, per questa sua fantasia. Fantasia per sovraccarico di amore. Quando si ama veramente, le si pensa tutte. Dio è arrivato a pensare questo: l'incarnazione. (don Angelo Casati)

domenica 25 novembre 2012

far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo


“Quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che subito ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l’invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici.”

— Daniel Pennac

sabato 24 novembre 2012

ora che sopraggiunge lunga sera


“Scompare a poco a poco, amore, il sole
ora che sopraggiunge lunga sera.
Con uguale lentezza dello strazio
farsi lontana vidi la tua luce
per un non breve nostro separarci.”

— Giuseppe Ungaretti,La tua luce (1968)

venerdì 23 novembre 2012

un dono che ci viene elargito


“Crediamo di fare le nostre scelte, di essere razionalmente signori del nostro destino; e invece non siamo mai noi a decidere i momenti in cui ci sentiamo vivi nel profondo, in cui conosciamo davvero la gioia, e ci inebriamo di felicità. E’ un dono che ci viene elargito, ma nessuno sa quando. Sta a noi non rifiutarlo per incertezza o per pavidità.”

— Antonia Arslan

giovedì 22 novembre 2012

due o tre secondi rubati all’eternità


“‎Certi giorni basta il semplice fatto di esistere per essere felici. Ci si sente leggeri leggeri, ci si sente talmente ricchi che viene voglia di condividere con qualcuno una gioia troppo grande. Il ricordo di quei momenti è il mio bene più prezioso. Forse perchè sono così rari. Un centesimo di secondo qui, un altro là sommati insieme non saranno che due o tre secondi rubati all’eternità”

— ROBERT DOISNEAU

mercoledì 21 novembre 2012

l’amore è fatto di volontà, di scelta e per questo deve essere ruvido, difficile per essere vero


“Tu non vuoi che gli altri vedano la tua fragilità. Hai paura che ne ridano. Ma quello che ti sfugge è che io ti guardo da vicino. Io ti ho scelto. Io ti amo. Io voglio vivere con te. Qualcuno ha detto che “ti amo” è sinonimo di “è bello che tu esista come sei e se non esistessi io ti ricreerei esattamente come sei, difetti compresi”. L’amore c’entra con le emozioni fino a un certo punto, l’amore è fatto di volontà, di scelta e per questo deve essere ruvido, difficile per essere vero. Forse ti sfugge che io sono dalla tua parte, combatto con te. Sono l’anima delle tue paure, dei tuoi dubbi. Mi riguardano. Portami nelle tue battaglie, fammele sentire, vedere: sono con te e avrò il coraggio di dirti quello che hai bisogno di sentirti dire. Non sono una tua nemica, ma la tua forza. Vorrei lo capissi. Decidi tu se vuoi che io guardi da vicino le tue fragilità o se vuoi continuare a nasconderle anche a me e tenerti distante, sperando che questo le faccia accettare non solo a me, ma anche a te. Io esisto per fartele accettare, perché le amo. Io non ci tengo a essere felice, io preferisco la vita, con le sue ombre. La felicità è una bella schifezza se non le insegni a vivere.”

— Alessandro D’Avenia, Cose che nessuno sa

martedì 20 novembre 2012

Tu non sei i tuoi pensieri


"Come un girasole" di Ermes Ronchi.
“Pregare non equivale a dire preghiere, con maggiore o minore attenzione. Forse, quando sei distratto, i tuoi pensieri non stanno pregando, e tuttavia tu preghi: pregano il tuo corpo e il tuo tempo. Prega la vita quando, per quel tempo, vuoi non anteporre nulla a Dio. E stai lì, alla presenza della Presenza. Quando, sia pure per un breve tempo, vuoi che niente sia più importante di Dio. Questa decisione del cuore che cos’é se non una dichiarazione d’amore?
Pregare: niente prima di Dio. Nonostante tutte le distrazioni. Allora spezzi il tuo tempo davanti a lui, fermi l’orologio, fai dono al Signore non tanto delle parole, ma di un frammento della tua vita, gli doni il tuo desiderio, sotto i tuoi mille pensieri, sempre al lavoro, come api in un alveare di fatica e di miele.
Tu non sei i tuoi pensieri: c’è un io più profondo dei pensieri e delle distrazioni, più profondo delle emozioni e della volontà, qualcosa che tutte le religioni hanno sempre sempre chiamato “cuore”. 
Lì, in quell’io più profondo. che viene prima , che viene prima  di tutte le divisioni, lì è la porta di Dio, dove va e viene il Signore, lì nasce la preghiera semplice, la preghiera breve, dove non conta la durata, ma dove l’istante del cuore si apre sull’eterno e l’eterno si insinua nell’istante.” 

lunedì 19 novembre 2012

mi indigno con me stesso e mi scuoto


E’ per questo che, lasciando la mia offerta davanti all’altare, mi indigno con me stesso e mi scuoto, rialzandomi dentro di me. Poi, dopo aver acceso la lampada del Verbo di Dio, con l’indignazione e l’amarezza del mio spirito entro nella casa buia della mia coscienza, come per vedere da dove provengano queste tenebre, da dove provenga questa odiosa oscurità che scava un abisso fra me e la luce del mio cuore.
Ed ecco, come un flagello di mosche che si precipita contro i miei occhi e poco manca che mi scacci dal domicilio privato della mia coscienza. Entro lo stesso, come è mio diritto, ed ecco un tumulto di pensieri così provocatorio, così sregolato, così mutevole, così confuso che il cuore dell’uomo, che pure li ha generati, non riesce a distinguerli.
Tuttavia sto seduto, come se mi accingessi a giudicarli. Ordino loro di presentarsi davanti a me, in modo da riconoscere il volto e la natura di ciascuno, per assegnargli il suo posto davanti a me.
Guglielmo di Saint Thierry Preghiere Meditative 9,2-4 Città Nuova, Roma 1998, p. 212

domenica 18 novembre 2012

mentre tramonta un anno e ne inizia un altro


È comunque importante ogni tanto fermarsi e ripassare le azioni più abituali delle nostre giornate per ritrovarne il significato, evitando così il rischio, tutt'altro che ipotetico, di viverle solo in superficie. È una riflessione che ci sembra opportuno offrire anche ai nostri lettori mentre tramonta un anno (liturgico) e ne inizia un altro.
Le piste di riflessioni che si prestano per dei momenti di raccoglimento come in un corso di esercizi spirituali sono molto varie. Potrebbe essere utile ad es. l'obiettivo di ripassare ciò che si ritiene più ovvio: le azioni più abituali della giornata. Ci sono appuntamenti così legati all' abitudine che sfuggono all' avvertenza, passano inosservati, eppure sono espressioni significative della vita. Non ci sono solo i momenti solenni ad es. le grandi tappe o i grandi appuntamenti segnati dall'età oppure le ricorrenze liturgiche che rompono la monotonia quotidiana. La vita è fatta di situazioni modeste, umili, feriali, inappariscenti, che finiscono sommerse nell'automatismo, eppure non sono insignificanti. È più che utile perciò il tentativo di perseguirne il senso e portarlo sul piano della coscienza. Il filo che collega i vari momenti della vita quotidiana è il tempo. Seguendone i ritmi è dato di imbattersi su azioni che abitualmente si sottraggono all'osservazione.   Mario Bizzotto