sabato 5 ottobre 2013

La civiltà universale dei nostri giorni è paragonabile al più complesso arazzo che sia mai stato tessuto; ora ci rendiamo conto che a lungo andare la struttura portante di questo arazzo – la soggettività, che vuole accaparrarsi il dominio sul mondo – rovinerà il disegno che vi è riprodotto. Riusciremo a separare questo disegno dalla struttura portante senza distruggere la sua meravigliosa complessità?


Vittorio Hösle,
Filosofia della crisi ecologica
(Conclusione)
(…) il grande uomo politico deve disporre anche di una visione che proponga uno scopo di per sé valido. Di che genere di visione può trattarsi? Essa non può consistere nella folle convinzione che la felicità terrena risieda nella soddisfazione di tutti i bisogni possibili e nel completo asservimento della natura all’uomo: questa idea è irrealizzabile, nonché, come ha dimostrato Hans Jonas confrontandosi con la posizione di Ernst Bloch, priva di ogni valore intrinseco. Piuttosto questa visione dev’essere basata su una riconciliazione dell’uomo con la natura… (…….) Questa visione deve recepire ideali di tipo illuministico: ad esempio, nessuna visione morale può rinunciare a sconfiggere la fame nel mondo. Ma tale sconfitta non deve implicare la speranza di trasformare la Terra in un paese della cuccagna, né il superamento della miseria deve implicare lo sviluppo quantitativo di desideri  sempre diversi. Il progresso deve continuare, ma può essere soltanto un progresso che non dimentichi le proprie origini e che abbia cura, riconoscente, di quelli che sono i suoi presupposti naturali e spirituali. Se riusciamo a conquistare i giovani a questa visione abbiamo buone possibilità di risolvere i nostri problemi. Infatti i giovani dispongono per loro stessa natura una non comune carica idealistica, e una società che frustri queste energie si pone sempre in cattiva luce. E, in questo caso particolare, l’idealismo viene anche a coincidere con l’interesse personale: perché per nessun altro la conservazione dell’ambiente è più importante di quanto lo sia per i giovani. Sarebbe una grande conquista se si riuscisse a far sì che l’educazione fornita dallo Stato fosse in grado da una parte di trasmettere le informazioni essenziali, e dall’altra di comunicare il significato morale di questo compito. E sarebbe una conquista altrettanto grande se alcuni college ecologici internazionali ricuperassero, per prima cosa, lo spirito dell’università, nel quale rientra il principio della convivenza di professori e studenti, sia l’aspirazione a una cultura integrale; e se essi, per seconda cosa, rafforzassero i legami tra i componenti delle future classi dirigenti dei vari paesi. La civiltà universale dei nostri giorni è paragonabile al più complesso arazzo che sia mai stato tessuto; ora ci rendiamo conto che a lungo andare la struttura portante di questo arazzo – la soggettività, che vuole accaparrarsi il dominio sul mondo –  rovinerà il disegno che vi è riprodotto. Riusciremo a separare questo disegno dalla struttura portante senza distruggere la sua meravigliosa complessità?
Questo è il compito dinanzi al quale oggi ci troviamo. Comunque sia, una cosa si può affermare: abbiamo raccolto una sfida intellettuale, morale e politica di cui forse non siamo all’altezza, ma che perlomeno non ci dà la sensazione di essere inutili.
*
Nota.
Vittorio Hösle è nato a Milano e a Milano a passato l'infanzia, anch'egli - come la comune amica Petra Hufnagel - figlio di alti dirigenti della Siemens. Non era un ragazzino comune. Oggi occupa le più importanti Cattedre Universitarie della Terra. E' stato il primo Filosofo a parlare al mondo di "terrorismo ecologico prossimo venturo".
Vittorio Hösle che dirige il Notre Dame Institute for Advanced Study presso l’Università di Notre Dame (Stati Uniti d’America), sabato è stato nominato da papa Francesco alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

venerdì 4 ottobre 2013

l'altro che capirà di essere stato realmente ascoltato e considerato


I consigli per migliorare l'ascolto, tipo per tipo di Jill Geisler
1. Eliminate le distrazioni. 
Sedetevi dall'altra parte della scrivania, insieme alla persona con cui state parlando. Lasciate squillare il telefono. Se siete davvero troppo occupati per prestare la dovuta attenzione, ditelo con franchezza. Meglio rimandare l'incontro a un momento più tranquillo. Se state aspettando una telefonata davvero importante, ditelo prima e, quando arriva, scusatevi con il vostro interlocutore.
2. Prima di invitare altre persone a partecipare a una conversazione, pensateci bene. 
Il vostro interlocutore potrebbe non gradire affatto o stare sul punto di dirvi qualcosa di personale e riservato. Guardatelo e abituatevi a captare i segnali: ha piacere che la conversazione si allarghi o richiede un'attenzione esclusiva?
3. Moderate l'entusiasmo. 
In genere chi interrompe spesso non lo fa per mancanza di considerazione verso l'altro, ma perché è un estroverso e un entusiasta, che ama pensare ad alta voce, sollecitato da quanto l'altro va dicendo. La sua associazione mentale diventa subito voce. Allora, sforzatevi di ascoltare più a lungo, mordetevi la lingua. Imitate i più introversi tra i vostri colleghi.
4. Discutete con dolcezza.
Le parole pesano, soprattutto se rivolte a un collaboratore. Va bene discutere e fare l'avvocato del diavolo, ma non fate sentire l'interlocutore un perdente in partenza. Fate piuttosto domande che fanno pensare e lasciate che l'altro arrivi da solo alle sue conclusioni. L'eccesso di argomentazione vi può far facilmente passare per prevaricatori.
5. Prima di dare consigli, chiedete. 
Qualcuno vuole solo sfogarsi, ma a qualcun altro il vostro parere interessa davvero. Ascoltate, e se pensate di avere un buon consiglio da dare, chiedete se è gradito e poi datelo senza che sembri un ordine.
6. Rimanete con i piedi per terra.
Tenete la vostra conversazione su un piano concreto. Può darsi che un po' di teoria ci stia bene, ma valutate se la situazione lo consente. Esercitate piuttosto le vostre capacità dialettiche per capire meglio i problemi di chi si rivolge a voi.
7. Al centro non ci siete voi.
Ascoltando, tenete sempre a mente che al centro della conversazione non ci siete voi, c'è l'altro. Se volete raccontare qualcosa di voi, scegliete un errore da cui avete imparato qualcosa, o un aneddoto che metta l'altro a suo agio.
8. Mettete un orologio nel vostro campo visivo.
Così non dovrete cercare le lancette in maniera evidente e potrete invece guardare con più attenzione chi vi sta di fronte. Se davvero avete poco tempo, ditelo esplicitamente. Magari prendete un altro appuntamento, e poi mantenete l'impegno.
9. La velocità uccide. 
Forse una breve conversazione camminando per i corridoi può bastare se portata avanti con attenzione. Ma siate amichevoli e sinceri, anche nella fretta. Il collega che vi tirate dietro non è il vostro cane.
10. Ricordare. 
Non dimenticate quello che di importante è emerso in una conversazione. Appuntatelo, rifletteteci su, tornateci sopra alla prossima occasione. Serve a voi, che avrete degli elementi in più per il vostro lavoro, e all'altro che capirà di essere stato realmente ascoltato e considerato.

giovedì 3 ottobre 2013

Forse volevi solo sfogarti un po'. Potevi cavartela da solo


Jill Geisler sui 10 cattivi ascoltatori
Ecco i tipi:
1. il multi-attività: Sì, ti ascolto. Non ti guardo, ma ti ascolto. Finisco una frase… dimmi. Scusa, intanto rispondo al telefono. Che stavi dicendo?
2. il mondano: Se ho un minuto? Certo. Entra e dimmi pure. Lo so che mi hai cercato in questi giorni. Oh, scusa, c'è qualcun altro alla porta. Entra, stavamo chiacchierando. Più siamo, meglio è.
3. il finisci-frasi: Fermati, so benissimo dove vuoi arrivare. Non c'è bisogno che tu finisca. Lo so. Non apprezzi un capo così efficiente e collaborativo? Forza, continua. No, finisco io per te.
4. il contraddittore: Qualsiasi cosa tu dica, proverò a dire il contrario. Ho il dovere di fare l'avvocato del diavolo. Credo che questo ti aiuti. Come fai a sapere che la tua idea è buona? Scusa, lo faccio con tutti. Tenere tutti sulla corda…
5. lo sputa-risposta: Non dire niente di più. Questo è il mio consiglio. Prendilo. Potevi non chiedermi niente. Forse volevi solo sfogarti un po'. Potevi cavartela da solo. Ma che capo sarei se non avessi sempre la risposta pronta? Quindi, serviti pure.
6. il grande filosofo: Ora, cercherò di chiarirti cosa vuoi davvero, ma in un'accezione più ampia e profonda. Non c'è bisogno che tu ti spieghi oltre, sarò io a spiegarti.
7. l'autobiografo: Ah, quello che mi racconti mi evoca parecchi ricordi. Per cui ti racconterò la mia esperienza. Può servire anche a te. Dunque, nel 1992...
8. lo scruta-orologio: Sì, sì. Scusa, no, non vado di corsa. E' solo che... sai l'ora?. No, continua pure. Che dicevi?
9. il superveloce: Vuoi parlarmi? Sono occupatissimo… se facciamo presto. Sto andando a una riunione. Vieni con me, accompagnami. Oppure facciamo una cosa: mandami un'email.
10. lo smemorato: Grazie davvero per aver voluto condividere le tue idee con me. Le terrò a mente. Ne riparleremo, se me ne ricorderò.

mercoledì 2 ottobre 2013

E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino.

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 12 sul salmo 90: Tu che abiti, 3, 6-8;
Opera omnia, ed. Cisterc. 4 [1966] 458-462)
Ti custodiscano in tutti i tuoi passi

    «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90, 11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. Ringrazino e dicano tra le genti: grandi cose ha fatto il Signore per loro. O Signore, che cos'è l'uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? Ti dai pensiero di lui, di lui sei sollecito, di lui hai cura. Infine gli mandi il tuo Unigenito, fai scendere in lui il tuo Spirito, gli prometti anche la visione del tuo volto. E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino.
    «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi». Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti.
    Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene.
    Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo.
    Tutto l'amore e tutto l'onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore.
    Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Del resto, anche se siamo ancora bambini e ci resta un cammino tanto lungo e anche tanto pericoloso, che cosa dobbiamo temere sotto protettori così grandi?
    Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.

martedì 1 ottobre 2013

il silenzio è mettere in relazione le cose, che il silenzio è la carne del mondo, è l’ostetrica che mette al mondo le relazioni invisibili che sono tra noi e che noi non vediamo, come dicevano Merleau-Ponty e prima di lui Spinoza.

«Come ci dice il filosofo Ludwig Wittgenstein, dobbiamo ripulire le parole, ripulire il termine silenzio. Che quindi non ci apparirà più come l’assenza di rumore ma come qualcosa che ci fa sentire altro, altre voci. 
Nessuna cosa è mai rinchiusa in se stessa, 
e Proust il talmudista lo sa bene quando con la sua celebre madeleinette si è inventato la sinestesia, ovvero lo slittamento di ciascuno dei nostri sensi l’uno nell’altro. 
Sapeva 
che il silenzio è mettere in relazione le cose, 
che il silenzio è la carne del mondo, 
è l’ostetrica che mette al mondo le relazioni invisibili 
che sono tra noi e che noi non vediamo, 
come dicevano Merleau-Ponty e prima di lui Spinoza. 
Così, appunto, che il silenzio diventa la carne del mondo ed è sostanza di tutte le cose».
Marc-Alain Ouaknin, il silenzio è la voce sottile della vita

lunedì 30 settembre 2013

Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo! E di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro. La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro!

Senza ripugnanza e fastidio tu ci hai dato modo di bere alle dolci onde della pace, disponendoci a bere avidamente, a lunghi sorsi. 
Ma come fare, però! 
In noi, nelle nostre possibilità, c’è purtroppo solo un desiderio di pace, non il suo possesso! 
È vero che anche solo il desiderio di realizzarla ha la sua ricompensa da parte di Dio; 
ma è anche vero che malgrado la si desideri, 
fa male non vederne l’effetto compiuto. 
Lo sapeva anche l’Apostolo che, la pace, la si raggiunge pienamente quando poggia sulla volontà effettiva di ambedue le parti. Per quanto sta in voi, dice, tenetevi in pace con tutti gli uomini (Rm 12,18). 
E il profeta: Pace, pace... ma dov’è questa pace? (Ger 6,14). 
Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. 
Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! 
A parole si dice: andiamo d’accordo! 
E di fatto, poi, 
si esige la sottomissione dell’altro. 
La pace la voglio anch’io; 
e non solo la desidero, 
ma la imploro! 
Ma intendo la pace di Cristo, 
la pace autentica, 
una pace senza residui di ostilità, 
una pace che non covi in sé la guerra; 
non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia! 
Perché diamo il nome di pace alla tirannia? 
Perché non rendiamo a ogni cosa il suo nome appropriato? 
C’è odio? 
Allora diciamo che c’è ostilità! 
Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! 
Io la Chiesa non la lacero, no! 
e neppure mi taglio fuori dalla comunione dei padri! 
Fin da quand’ero in fasce, 
se posso esprimermi così, 
sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. 
E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. 
Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità,
 o una comunione che possa prescindere dalla pace. 
Nel Vangelo leggiamo: 
Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì ti viene in mente che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì l’offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta (Mt 5,23-24). 
Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, 
pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il corpo di Cristo! 
Che razza di coscienza è la mia se rispondo Amen dopo aver ricevuto l’eucaristia di Cristo, 
mentre invece dubito della carità di chi me la porge?  
(Girolamo, Lettera a Teofilo).

domenica 29 settembre 2013

diciamo sì "beati i poveri", però il culto lo diamo ai ricchi.


Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario
secondo il rito romano
 
Am 6,1.4-7
Sal 14
1 Tm 6,11-16
Lc 16,19-31

Noi, ma forse no, non ci beffiamo di Gesù, non arriviamo al punto di deriderlo.
Però è proprio così vero che noi non esaltiamo ricchi e potenti?
Non è forse vero che sono loro a fare notizia, loro ad avere giullari e cortigiani, loro circondati di deferenza, quasi una sacra deferenza?
Loro hanno un nome.
Condanniamo i farisei che si facevano beffa di Gesù.
Però nei nostri criteri, quelli correnti che riguardano la vita di tutti i giorni,
diciamo sì "beati i poveri", però il culto lo diamo ai ricchi.
I ricchi che dispongono già di una corte: anche il ricco del vangelo.
Il povero - Lazzaro - non ha nessuno, solo come un cane e vegliato dai cani.
I ricchi hanno un nome,
i poveri no.
 Che è proprio il contrario di quello che vuole Dio.
Per Lui il nome l'hanno i poveri.
Non per nulla nella parabola il ricco che ha tutto
-è nella casa, veste di porpora,
ha amici con cui banchetta-
ha tutto.
Non ha un nome,
per Dio non ha nome.
Al contrario ha un nome quel povero che non ha niente,
non ha casa,
non ha soldi,
non ha salute,
non ha amici.
Eppure ha un nome: Lazzaro, dall'antico El'azar, che significa "Dio ha aiutato".
Ha un nome per Dio.
E per me? -mi chiedo-,
chi ha un nome per me?
Sono i poveri o i ricchi ad avere un nome per me?