sabato 20 aprile 2013

Un cammino che dura tutta la vita, che ci snida dalla tendenza a rinchiuderci in noi stessi, prigionieri, volta a volta, del nostro comodismo, dolorismo, conformismo, egoismo.


“Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 34-35). Aveva chiamato a sé la folla e i discepoli, perché fosse chiaro a tutti a cosa si impegnava chi decidesse di seguirlo. No, non era venuto a insegnare una nuova religione, un nuovo credo, nuovi precetti, nuovi riti. Di religione, a rigore, bastava quella che c’era. Additava un cammino, il suo. Aspro e difficile. Per quanti ci stanno. Un cammino che dura tutta la vita, che ci snida dalla tendenza a rinchiuderci in noi stessi, prigionieri, volta a volta, del nostro comodismo, dolorismo, conformismo, egoismo. Il cammino della croce che Lui ci propone non è dato dall’accettazione di ogni sofferenza che si incontra sulla nostra strada, dato che, anzi, siamo chiamati a guarire l’umanità (e quindi anche noi) dalle sue (e nostre) sofferenze; esprime invece le conseguenze che consapevolmente assumiamo nel momento in cui facciamo nostro il progetto del Regno, cioè la forma di vita del Cristo (la causa di Gesù e del Vangelo). La croce è in primo luogo uno sguardo diverso su noi e sul mondo: contro ogni centralità dell’io e ogni tendenza all’autoaffermazione, è testimonianza della centralità dell’altro, oppresso, emarginato, escluso, per il quale ogni mia azione deve suonare come Parola di liberazione e riscatto. Dando per scontato che tutto ciò scatenerà la reazione e qualche volta la persecuzione da parte di chi intende continuare a costruire le proprie fortune sulla disgrazia altrui, o le proprie ricchezze sull’impoverimento degli altri. È questa testimonianza – e la scelta di campo che essa implica – a rivelare chi davvero, indipendentemente dalla capacità di formularlo, confessa la signoria di Gesù sulla storia, il suo essere Figlio, cioè, Verità di Dio. In assenza di essa, Gesù potrà (può) solo provare vergogna di noi, sua chiesa (v.38).

venerdì 19 aprile 2013

Respiro con la Chiesa nella stessa sua luce, di giorno, nelle sue stesse tenebre, di notte

Il beato Cardinale Schuster sulla recita personale del breviario nei giorni in cui era affranto e privo di forze:
«Allora chiudo gli occhi,
e mentre le labbra mormorano le parole del breviario che conosco a memoria,
io abbandono il loro significato letterale,
per sentirmi nella landa sterminata per dove passa la Chiesa pellegrina e militante,
in cammino verso la patria promessa.
Respiro con la Chiesa
nella stessa sua luce, di giorno,
nelle sue stesse tenebre, di notte;
scorgo da ogni parte le schiere del male
che l'insidiano o l'assaltano;
mi trovo in mezzo alle sue battaglie e alle sue vittorie,
alle sue preghiere d'angoscia e ai suoi canti trionfali,
all'oppressione dei prigionieri, ai gemiti dei moribondi, alle esultanze degli eserciti e dei capitani vittoriosi.
Mi trovo in mezzo: ma non come spettatore passivo,
bensì come attore la cui vigilanza, destrezza, forza e coraggio possono
avere un peso decisivo sulle sorti della lotta tra il bene e il male
e sui destini eterni dei singoli e della moltitudine»

giovedì 18 aprile 2013

il tuo Spirito mette in noi le attitudini, le parole, i gesti, i silenzi giusti.

«Ti ringrazio, Signore,
perché tu conosci la nostra debolezza nel pregare,
la nostra fatica,
la nostra facilità a confonderci, a distrarci.
Ti ringrazio
perché il tuo Spirito mette in noi
le attitudini, le parole, i gesti, i silenzi giusti.
Ci affidiamo a te e allo Spirito Santo,
per intercessione di Maria sotto la cui protezione
ci poniamo per tutti i giorni dei nostri esercizi.
E ci affidiamo pure alla preghiera della Chiesa,
sapendo che noi siamo portati da quella preghiera,
siamo soltanto una goccia del fiume di preghiera
che scende verso il mare di Dio.»
Carlo Maria Martini

mercoledì 17 aprile 2013

Non si cura ogni ferita con uno stesso impiastro.

Ti esorto nella carità che hai a proseguire nel tuo cammino e ad incitare tutti a salvarsi.
Dimostra la rettitudine del tuo posto con ogni cura nella carne e nello spirito.
Preoccupati dell'unità di cui nulla è più bello.
Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti nella carità, come già fai.
Cura le preghiere che non si interrompano; chiedi una saggezza maggiore di quella che hai; veglia possedendo uno spirito insonne.
Parla a ciascuno nel modo conforme a Dio.
Sostieni come perfetto atleta le infermità di tutti.
Dove maggiore è la fatica, più è il guadagno.
Prudente come un serpente e semplice come una colomba.
Se ami i discepoli buoni, non hai merito; piuttosto devi vincere con la bontà i più riottosi.
Non si cura ogni ferita con uno stesso impiastro.
Calma le esacerbazioni (della malattia) con bevande infuse.
In ogni cosa sii prudente come un serpente e semplice come la colomba.
Per questo sei di carne e di spirito, perché tratti con amabilità quanto appare al tuo sguardo; per ciò che è invisibile prega che ti sia rivelato, perché non manchi di nulla e abbondi di ogni grazia.
Il tempo presente esige che tu tenda a Dio, come i naviganti invocano i venti e coloro che sono sbattuti dalla tempesta il porto.
Come atleta di Dio sii sobrio; il premio è l'immortalità, la vita eterna in cui tu credi. (Ignazio di Antiochia, Lettera a Policarpo, I-II).

lunedì 15 aprile 2013

Certo, noi potremo fare poco. Ma l’importante è cominciare a fare qualcosa. Il resto seguirà.

“Fraternità e sicurezza”.
 Ovvero, come pensare la sicurezza a partire dalla fraternità.
La chiave di soluzione è in qualche modo offerta dallo slogan proposto, che è citazione di un versetto di Isaia: “La pace è frutto di giustizia” (Is 32, 17), e dalle immagini che il testo isaiano evoca subito dopo: “Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri” (Is 32, 18). “Pace” è intesa naturalmente, come lo shalom biblico, cioè, vita, pienezza di vita, dispiegamento di tutte le sue potenzialità, ricchezza di benedizioni.
E “giustizia” è la Sua giustizia divenuta finalmente nostra, quando, speriamo che accada presto, “in noi sarà infuso uno spirito dall’alto” (v.15) e succederà allora che i governanti, ma anche noi tutti (guarda un po’ ritorna anche qui!), saranno espressione del Principio della cura:
Ognuno sarà come un riparo contro il vento e uno schermo dall’acquazzone, come canali d’acqua in una steppa, come l’ombra di una grande roccia su arida terra” (Is 32, 2).
Non ci sarà più spazio per l’indifferenza: 
Non si chiuderanno più gli occhi di chi vede e gli orecchi di chi sente staranno attenti. Gli animi volubili si applicheranno a comprendere e la lingua dei balbuzienti parlerà spedita e con chiarezza” (Is 32, 3-4).
Sicurezza, dunque, per tutti, a partire da quanti non hanno strumenti per garantirsela, i più deboli, poveri, oppressi.
Sicurezza della casa, perché tutti ce l’abbiano e sia almeno dignitosa.
Sicurezza nella casa, senza più bambini e donne vittime di violenza e di stupri, liberi dalla cultura maschilista che ne è sempre la causa;
sicurezza del lavoro, che sottragga individui e famiglie all’incubo della miseria, alla fuga nell’alcool e nella droga e alla devastazione che ne segue, alla deriva della criminalità;
sicurezza nel lavoro, che eviti le morti bianche, le condizioni disumane di sfruttamento, l’assenza di ogni tutela nelle lavorazioni insalubri;
sicurezza della salute, come diritto primario di ogni cittadino all’attendimento medico, a cure e medicine gratuite per i più carenti, a strutture sanitarie idonee a garantirla.
E, poi, ancora, sicurezza nel transito, nelle periferie degradate, nelle prigioni, che, da noi ben più che altrove, significano per molti, troppi, una giustizia che discrimina, segrega, ammucchia in condizioni disumane, e molto spesso tortura e uccide.
Potremmo continuare a lungo, fino a disperarci. Certo, noi potremo fare poco. Ma l’importante è cominciare a fare qualcosa. Il resto seguirà.

domenica 14 aprile 2013

Possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio.

MONOLOGO SULLA VITA
da “Il curioso caso di Benjamin Button”
“Per quello che vale, non è mai troppo tardi, o nel mio caso troppo presto,
per essere quello che vuoi essere.
Non c’è limite di tempo, comincia quando vuoi.

Puoi cambiare o rimanere come sei, non esiste una regola in questo.

Possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio.
Spero che tu viva tutto al meglio.
Spero che tu possa vedere cose sorprendenti.
Spero che tu possa avere emozioni sempre nuove.
Spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi.
Spero che tu possa essere orgogliosa della tua vita.
E se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero.”