sabato 3 dicembre 2016

la penna nel proprio sangue per dire a te stesso

Dire
è confessarsi,
è donarsi;
scrivere è liberarsi.
Io non posso non scrivere.
Anche se a leggere quanto è già stato scritto,
di ben pochi, di pochissimi si potrà dire:
ecco, costui ha scritto una verità che non era mai stata detta da alcuno.
Ma ciò che importa, nello scrivere, non è questo.
Scrivere è intingere la penna nel proprio sangue
per dire a te stesso
ciò che Lui, l'Amico, ha pensato di te,
ciò che egli ha fatto e continua a fare di te:
e quanto tu sia refrattario o disponibile alla grande opera comune.

(David Maria Turoldo, Il dramma è Dio, p. 12)

venerdì 2 dicembre 2016

Il menu non sazia

Ad alcuni hassidim, che avevano studiato la santa Toràh,
Rabbi Baal Sem disse:

<Io vi ho spiegato la carta con l'elenco della portate.
Spero che nessuno creda così di aver già mangiato.
Un menù, per quanto utile, non è buono da mangiare>.

Gli hassidim si prostrarono in preghiera.

giovedì 1 dicembre 2016

il taglialegna

Un giorno venne, dal monaco Bruno,
un uomo che nella vita aveva molti impegni
anche se nel suo cuore coltivava il desiderio di dedicarsi alla preghiera
senza riuscirci,
appunto,
per i molti impegni.
Allora Bruno raccontò questo aneddoto:
<Un taglialegna stremato di fatica continuava a sprecare tempo ed energia tagliando legna con una accetta spuntata, perchè diceva di non avere il tempo per fermarsi ad affilare la lama>.
Da quel giorno,
l'uomo dai molti impegni si alzò sempre un quarto d'ora prima
per "affilare la lama".
E alla sera, effettivamente, era meno stanco di prima.

mercoledì 30 novembre 2016

Per i profeti l’idolatria è usare Dio per legittimare una situazione di oppressione.


Il Dio che discende
...Sono disceso per liberare... ora sono il Dio della terra.
Jahweh, in ebraico, significa 
“colui che è qui” o “colui che è disceso”. 
Questa pagina scritta circa 400 anni dopo il fatto, ci trasmette ciò che si depositò in modo chiaro ed essenziale nel cuore e nella memoria dei profeti che la scrissero: 
il nostro Dio è il Dio degli schiavi e non il Dio degli schiavisti, il Dio degli oppressi e non degli oppressori. Il Dio che non solo sta dalla parte degli oppressi, ma anche libera. 
Quindi, necessariamente,
è il Dio che entra nel conflitto dalla parte degli oppressi, degli schiavi, di quelli che gridano sotto la schiavitù. Dio assume il conflitto: 
«Contro di te, contro i tuoi ministri e i tuoi capi io alzerò la mia mano potente e il braccio
disteso per la liberazione». Non possiamo ripetere le situazioni nè le espressioni antiche, ma quando, ancora oggi, esiste conflitto con il sistema che genera milioni di esclusi e di affamati, abbiamo la certezza che il nostro Dio non è il Dio delle cattedrali e del sistema, nè il Dio usato e manipolato dagli oppressori che vanno a braccetto con i generali; è il Dio della campagna, del contadino, del lavoratore che cerca giustizia e vita. 
Il nostro Dio non è solo il Dio degli oppressi, ma è anche il Dio che non vuole che l’uomo opprima un altro uomo. Sostenere il contrario sarebbe IDOLATRIA.
A partire da questa certezza, i profeti, che furono le sentinelle più fedeli di questa memoria, continuarono a denunciare l’idolatria ogni volta che il palazzo, la caserma, il tempio o il magazzino hanno tentato di tirare Dio dalla propria parte. Idolatria, dunque, non è solo l’attitudine del pagano che non conosce il nostro Dio o chiama Dio con altro nome, ma è il peccato della città che cerca la legittimazione del sistema da parte di Dio. I profeti denunceranno questa situazione. Non permetteranno che si dica che Dio legittima il potere che opprime. 
«Non userai il mio nome per cose vane. Non lascerò impunito chi userà il mio nome invano» (Esodo 20,7). 
Questo è l’idolatria. Per i profeti l’idolatria è usare Dio per legittimare una situazione di oppressione.
S. GALLAZZI, POR UMA TERRA SEM MAR, SEM TEMPLO, SEM LÁGRIMAS. 

martedì 29 novembre 2016

questo stesso Dio sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi


La chiave corretta per leggere la Bibbia è costituita dal conflitto campagna-città, un conflitto tra produttori e commercianti.
Ebreo non è un appellativo per indicare il popolo di una nazione. Indica un GRUPPO SOCIALE, degli ESCLUSI, degli EMARGINATI. Sono quelle vittime del sistema che sopravvivono al margine, assaltando, rubando e vendendo forza-lavoro come mercenari di questo o quel latifondista.
Il conflitto, allora, non è solo economico, ma anche ideologico e teologico. E in questo conflitto il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio popolare che fu capace di rispondere alle esigenze del gruppo quando era in periferia, questo stesso Dio sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi, alle nuove sfide nate dall’ organizzazione dello Stato. Finchè il gruppo non ebbe necessità di fare i conti con la città, il Dio dell’albero e del pozzo era sufficiente per garantire la vita del gruppo. Ma quando il gruppo entra in conflitto con la città che lo espropria dei prodotti della campagna, questo stesso Dio diventa inadeguato. A questo nuovo sistema risulta più adeguato il dio On, dello Stato Egizio. Per questo motivo Giuseppe sposa la figlia di Putifar, sacerdote del dio On. Il dio On è un’ideologia più capace di legittimare quel sistema, molto più del Dio di un nomade, di un pastore, di un piccolo agricoltore che non riesce ad affrontare il conflitto.
S. GALLAZZI, POR UMA TERRA SEM MAR, SEM TEMPLO, SEM LÁGRIMAS. 

lunedì 28 novembre 2016

Questa pagina è simbolica. E’ un riassunto della storia


In questo contesto ( storia di Giuseppe in Egitto) viene ribadito due volte che solo i sacerdoti non furono obbligati a vendere le proprie terre e furono mantenuti dal Faraone. Perchè? I sacerdoti compiono l’ultimo furto: quello della testa della gente. Intermediari tra Dio e il popolo, sono loro che spingono gli sfruttati a dire a Giuseppe: «Grazie a Dio tu ci hai salvato la vita! Ci consegniamo al Faraone come schiavi». Siamo al massimo livello di sfruttamento: uno schiavo è realmente tale quando pensa che la miglior cosa per lui sia essere schiavo. Non esiste più nessuna possibilità di trasformazione dal momento in cui si raggiunge la convinzione che essere schiavo sia una grazia di Dio. Questo era il ruolo dei sacerdoti. La fede del popolo nel Dio custode della vita viene così facilmente utilizzata in funzione della città. Questa fede controllata dal tempio e dal sacerdozio a servizio del palazzo e del commercio, diventa un elemento di sottomissione del povero. Il popolo continua ad essere povero e continua a proclamare: “grazie a Dio tu ci hai salvato la vita”. Il Dio custode della vita, che era custode del gruppo della periferia, si trasforma in custode del centro. E’ semplicemente strumentalizzato. Dio è espropriato. Dio viene usato come garante di un sistema di oppressione che viene spacciato dal tempio come “grazia di Dio... volontà di Dio”.
Questa pagina è simbolica. E’ un riassunto della storia
S. GALLAZZI, POR UMA TERRA SEM MAR, SEM TEMPLO, SEM LÁGRIMAS. 

domenica 27 novembre 2016

uscite da un modo superficiale

Vegliate… ossia scrollatevi di dosso quel torpore che non permette di riconoscere ciò che accade nel profondo della propria storia.

Vegliate… ossia uscite da un modo superficiale di consumare l’esistenza e accettate la sfida di una ricerca, di un ascolto, di un confronto. La vigilanza, infatti, è ciò che ci permette di essere ancorati al nostro presente senza mai diventarne schiavi, ci rende figli del nostro tempo ma non ci soggioga al contingente. È ben altro ciò per cui siamo fatti e verso cui siamo incamminati. L’incontro con il Signore.

Vegliate… ossia vincete la tentazione di far sì che sia il capriccio di un momento a dettare le scelte del quotidiano.

Quando la vita è trascorsa secondo il filone dell’opaca normalità, il rapporto con il Signore è relegato ad alcuni ambiti e ad alcuni momenti. Le tante incombenze del quotidiano finiscono per soffocare il desiderio di stare alla sua presenza e di lasciare che essa informi tutti gli ambiti della nostra vita.

Ritenere che questo nostro mondo sia eterno è semplicemente illusorio. Credere che tutto e il contrario di tutto si equivalgano è soltanto un inganno.

Vegliare… ossia:

crescere nella consapevolezza di sé e di ciò che circonda,
cogliere in profondità il senso dell’esistenza propria e di quella altrui,
maturare un atteggiamento di benevolenza nei confronti della storia e della creazione,
riconoscere il bene all’opera sempre e comunque senza lasciarci ingannare da una lettura superficiale che si fermi all’apparenza,
imparare a meravigliarsi.

Antonio Savone
Riscoprire il perché – Prepararsi alla liturgia domenicale (I di Avvento)