sabato 31 dicembre 2016

attiene alla nostra capacità di andare al di là dove non c'è l'effimero.

La gioia è
caratteristica della dimensione dello spirito,
non è
il piacere dei sensi,
non
la felicità della psiche,
appartiene
al senso della vita,
ad un qualcosa di armonioso che si avverte dentro
quando in noi aumenta
la qualità del rapporto con gli altri e con le cose,
quando il rapporto è fatto di amore,
quello solido e fermo,
che non passa.

La gioia non viene dalle cose terrene,
non dipende da esse,
attiene alla nostra capacità di andare al di là
dove non c'è l'effimero.

A questo livello
si avverte un qualcosa
che non passa e che è sicuro,
che è diffusa quiete.

Quando si avverte la vita.

Mamma De Maio

venerdì 30 dicembre 2016

Non il proprio potere soltanto, ma quello dell'uomo.

Non credo che la felicità esista;
credo che esista soltanto
la gioia.
La gioia è quando ci si sente nel pieno
delle proprie forze,
della propria intelligenza,
del proprio potere;
quando si compie un'azione,
un'azione difficile,
e si riesce ad ampliare con essa
il potere dell'uomo.
Non il proprio potere soltanto,
ma quello dell'uomo.

Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre

giovedì 29 dicembre 2016

qualunque cosa rechi questo giorno,

C'è buio in me
in te invece c'è luce;
sono solo,
ma tu non m'abbandoni;
non ho coraggio,
ma tu mi sei d'aiuto;
sono inquieto,
ma in te c'è la pace;
c'è amarezza in me,
in te pazienza;
non capisco le tue vie, ma
tu sai qual è la mia strada.

Tu conosci tutta l'infelicità degli uomini;
tu rimani accanto a me,
quando nessun uomo mi rimane accanto,
tu non mi dimentichi e mi cerchi,
tu vuoi che io ti riconosca
e mi volga a te.
Signore, odo il tuo richiamo
e lo seguo,
aiutami!
Signore,
qualunque cosa rechi questo giorno,
il tuo nome sia lodato!
Amen.
Dietrich Bonhoeffer, preghiera per i compagni di prigionia - Natale 1943

mercoledì 28 dicembre 2016

il senso del Natale: sbocciare,

"Vorrei fare con te
quello che fa
la primavera ai ciliegi”.
In questo incanto di parole
Pablo Neruda
racchiude
il senso del Natale:
sbocciare,
noi e Dio,
insieme,
come amanti,
uno di fronte all’altro,
occhi negli occhi.

Lascio ad Adriana Zarri di indicarci la strada:

“Se c'è uno stagno,
o anche soltanto una pozzanghera,
il cielo ci si specchia,
al tramonto ci si indugia la luce
e, la notte, ci cade dentro la luna:
tutto un mondo in una pozza d'acqua;
e noi non l'avevamo visto.
Distratti,
assenti,
avevamo solo fatto attenzione
a non bagnarci le scarpe.

Ma,
se appena la bellezza ci apre gli occhi,
sul mondo dilaga lo stupore:
stupefazione
che è l'incantamento,
che è gioia,
che è preghiera.”

Eccoci qua, io e Tiziano
Gesù, che predichiamo alla messa di Natale!
Giorgio Bonati

martedì 27 dicembre 2016

permettere a chi stiamo amando di essere se stesso

L'amore vero è
permettere a chi stiamo amando
di essere se stesso
e non ciò che ci aspettiamo.
Tutti noi abbiamo pronto
un "nome" cioè "un'aspettativa"
su chiunque entri attraverso un bene
nella nostra vita,
ma la prima dichiarazione d'amore
è stracciare questo nome
e permettere all'altro di rivelarcelo.

Luigi Maria Epicopo

lunedì 26 dicembre 2016

ogni riflessione spinge al silenzio

In questi momenti difficili da noi e in altri paesi del mondo,
molti staranno vivendo
un Natale da schifo.
Non so dare una spiegazione
e ogni riflessione spinge al silenzio.
Anche Dio è silente: 
come un bambino ignaro, 
dorme. 
Mi viene un sospetto:
e se tutto fosse così semplice?
Se la vita fosse, nella sostanza,
un consegnarsi,
un donarsi?
Un mistero da vivere
più che da indagare o risolvere?
E scoprire anche che a Natale
Dio ci manda un messaggio semplice: 
che non si è stancato di noi. 
E non si stancherà mai.

Una preghiera: 
Dona, Signore, in qualche modo, 
un segno di speranza e di vicinanza 
agli sconfitti, 
a chi non ne può più di vivere, 
a chi si augura di morire presto, 
a coloro che si arrendono.
Tu, Dio del Natale, 
non sei uno con cui arrabbiarsi o discutere. 
Ti presenti col volto disarmante di un bambino 
che si consegna e si fida di tutti”.

È un modo d’essere:
il migliore per vivere bene.
Sappiamo metterci in gioco,
abbandonando le nostre sicurezze
e la nostra “fede su misura”?.

BUON NATALE A TUTTI:
a chi lo aspetta,
e a chi proprio no.
Che Dio possa trovare un posto nelle nostre case.
Facciamo posto in noi allo stupore e alla meraviglia per l’immaginabile.
Non cerchiamo più Dio in luoghi sacri particolari.
Non brontoliamo più per la sua assenza:
Egli è qui, nel volto di ogni essere umano,
consegnato alla nostra indifferenza.

Corrado Magnani

domenica 25 dicembre 2016

5.Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:.. ci ruba ciò che è essenziale alla vita buona proposta dal Vangelo

In questa notte, assumendo la nostra umanità, Gesù ci fa dono della sua condizione.
E, tuttavia, sebbene il dono di Dio sia irrevocabile,
la nostra appropriazione non è mai del tutto compiuto
perché patiamo il fascino di misurarci su altri modelli.
Basta andare solo per un attimo alla cronaca di questi giorni:
ci accontentiamo di molto meno ma, ahimè, a quale prezzo.
Dietro una crisi economico-finanziaria,
infatti, c’è un vero e proprio impoverimento del nostro essere uomini.
Non è forse vero che troppo spesso la persona umana è ridotta alla funzionalità dei suoi neuroni?
Che l’amore è considerato solo alla stregua di una combinazione chimica?
Che la famiglia è tale solo finché vige un accordo?
Che il diritto è ridotto a desiderio?
Che i valori morali sono ridotti al sentimento dell’istante?
Che la cultura è ridotta a opinione, la verità a sensazione e l’autenticità alla stregua dell’autoaffermazione?

Il riduzionismo ci seduce
ma al contempo
ci avvilisce
perché ci ruba ciò che è essenziale
alla vita buona
proposta dal Vangelo.

Una forma di vita non vale l’altra:
solo Gesù Cristo è in grado di dare forma compiuta alla nostra vera identità.
Lo hanno compreso molto bene i quattro bambini di Mosul decapitati di recente perché, a chi gli intimava di professare la formula di adesione all’Islam, hanno avuto la forza di rispondere:
“Non possiamo farlo. Amiamo Gesù e seguiamo solo lui”.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone


sabato 24 dicembre 2016

4. Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:...la chiave più idonea per afferrare il senso profondo che il Natale ha rappresentato... eppure è Natale

Eppure è Natale…
Forse questa congiunzione potrebbe essere considerata
la chiave più idonea per afferrare il senso profondo che il Natale ha rappresentato,
in ogni tempo e in ogni latitudine,
da venti secoli a questa parte.
Eppure…

Ci si può togliere tutto,
ma non il Natale.
Anche se tutto sembra precario e appeso ad un filo,
il Natale viene.
Certo, viene come data da calendario e porta con sé il clima che conosciamo.

Tuttavia, esso porta con sé una domanda:
sei disposto a fare la prima mossa?

Siamo tutti perennemente alla ricerca
di una identità,
di una forma
che ci aiuti a realizzarci come persone.
E a volte tale ricerca è non solo affannosa ma inconcludente.
La liturgia di questa notte ci annuncia che
la nostra forma va individuata in Gesù Cristo.
Così, infatti, pregheremo tra poco:
“Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce,
e per questo scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio,
che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria”.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone


venerdì 23 dicembre 2016

3. Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:... mentre subiamo le conseguenze di quella esperienza, ci riscopriamo quasi incapaci di ristabilire da soli la comunione infranta.

Ci è capitato
– oh, sì che ci è capitato, e non una volta soltanto –
di trovarci a vivere momenti di stanchezza, se non addirittura di tensione,
all’interno di qualche relazione per noi significativa.
E, mentre eravamo lì a riandare con la mente ai ricordi di quanto avevamo condiviso,
ci siamo ritrovati a chiederci:
a chi tocca fare la prima mossa?
Non diversa la situazione dell’umanità.
Quell’esperienza di comunione, sintonia, amicizia, condivisione
che ha caratterizzato il rapporto dell’uomo con Dio,
ad un tratto, per una strana volontà di riscatto, di rivalsa,
ha conosciuto una incrinatura i cui strascichi li patiamo ancora oggi, nessuno escluso.
E, sebbene, ne siamo indelebilmente segnati e mentre subiamo le conseguenze di quella esperienza,
ci riscopriamo quasi incapaci di ristabilire da soli la comunione infranta.

Per questo è Dio stesso a prendere nuovamente l’iniziativa di fare la prima mossa.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone

giovedì 22 dicembre 2016

2. Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:.. la capacità di riattivare la disponibilità a recuperare aspetti di noi troppo spesso rimossi o dimenticati.

Guadagnare tempo sulla morte:
trovo in questa espressione il senso del nostro essere qui stanotte.
Il Natale porta con sé in modo quasi misterioso
la capacità di riattivare la disponibilità a recuperare aspetti di noi troppo spesso rimossi o dimenticati. Esso, a dispetto di momenti di difficoltà e di crisi,
 ricorda che
c’è altro per cui vale la pena mettersi in gioco e spendersi.
Proprio l’esperienza di precarietà della condizione umana è ciò che ha spinto Dio a farla sua.
Il Natale, infatti, narra di un Dio che fa la prima mossa verso l’uomo non attendendo
che da parte di questi ci siano già i segni di un ravvedimento
o della disponibilità ad accogliere quanto egli vorrà offrirgli.

Proprio questo tempo di precarietà che corrisponde
a un vero tempo penitenziale,
può essere sorgente di nuove relazioni con la riscoperta
dell’essenzialità,
di nuovi stili di vita,
di sobrietà di consumi;
può essere occasione più spazio per il cielo,
più tempo per cogliere il cuore dell’altro.

Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone

mercoledì 21 dicembre 2016

1 Prepararsi alla liturgia della notte di Natale:...la consapevolezza della comune appartenenza all’umanità

Non abbiamo sparato un colpo quel giorno. Abbiamo soltanto  approfittato di quel giorno di quiete, guadagnando tempo sulla morte”.

Mi piace iniziare questa omelia nella notte santa, attingendo alla testimonianza scritta da un fuciliere scozzese l’8 gennaio 1915, il quale riportava su un quotidiano inglese la tregua avvenuta nella notte del 25 dicembre 1914, esattamente 100 anni fa. In una terribile guerra di posizione, mentre si lottava per guadagnare pochi metri di terra di nessuno in due opposte trincee fangose,
allo scoccare della mezzanotte,
i ragazzi del fronte tedesco intonano un canto natalizio
a cui i ragazzi scozzesi rispondono con il suono delle cornamuse,
mentre ripensano con nostalgia ad affetti e luoghi cari.
Qualcosa ebbe la meglio sul rombo dei cannoni:
la consapevolezza della comune appartenenza all’umanità,
prima ancora che ad un popolo
e perciò ad una cultura specifica.
Quella tregua di Natale fu il tentativo spontaneo di una riconciliazione dal basso:
i comandi supremi, infatti, che non l’avevamo ordinata, imposero che non accadesse mai più in futuro.
Una tregua scoppiata all’improvviso, senza alcun preavviso né accordo...

Eppure – Prepararsi alla liturgia della notte di Natale
Antonio Savone

martedì 20 dicembre 2016

non sono capaci di scrivere e raccontare nuove storie

Troppe comunità ideali non riescono a continuare
la corsa nel tempo della crisi e della delusione
perché non sono capaci di scrivere e raccontare nuove storie,
perché non trovano forze spirituali e morali
per rielaborare il grande dono del capitale narrativo dei primi tempi.
Non capiscono –
per mancanza di profeti,
o perché ci sono e non li riconoscono,
o perché li zittiscono per paura di perdere l’identità –
che la prima operazione collettiva da compiere è
cercare di scoprire e
poi raccontare le nuove storie che stanno nascendo
dentro il loro tempo presente ferito e deluso,
che si aggiungano e alimentino l’antico capitale.
Perché Francesco continui a fare ora gli stessi miracoli nella sua Assisi, e di più grandi,
non basta il racconto del bacio al lebbroso:
c’è bisogno dei racconti vivi di Fra’ Enrico e Suor Marina
che abbracciano e baciano i lebbrosi di oggi.
E invece molte volte le comunità si spengono
appena termina la rendita del primo capitale narrativo del tempo della prima promessa,
per carestie di nuovi racconti.

In ascolto della vita/26 -
A ogni casa e a ogni comunità serve sempre aria nuova
di Luigino Bruni

lunedì 19 dicembre 2016

Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo in cui ci attende tutta l'eternità.

La sua grandezza è amare qualcuno più di se stesso,
il primato dell'amore.

Per amore di Maria,
scava spazio nel suo cuore e accoglie quel bambino non suo.
E diventa vero padre di Gesù, anche se non è il genitore.

Generare un figlio è facile,
ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo,
è tutta un'altra avventura. 

Padri e madri si diventa nel corso di tutta la vita.
L'annunciazione ha luogo nelle case.

Al tempio Dio preferisce la casa,
perché lì si gioca la buona battaglia della vita.

Ogni giorno di vita offerto 
è una annunciazione quotidiana.

Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo
in cui ci attende tutta l'eternità.

Dio ci benedice
ponendoci accanto persone come angeli,
annunciatori dell'infinito,
e talvolta
- per i più forti tra noi -

ponendoci accanto persone che hanno bisogno,
un enorme bisogno di noi.

Ed è così che non ci lascia vivere senza mistero.

 Il sogno di Giuseppe, gesto d'amore
di Ermes Ronchi  (Avvenire 16/12/2010)

domenica 18 dicembre 2016

finalmente era riuscito a compiere quello che per Maria sembra essere stato un gesto quasi naturale

Matteo ha parole quasi solo per Giuseppe,
Maria è un ventre caldo e disponibile, silenzioso,
Giuseppe no.
È uomo giusto
ma è anche colui che prova a nascondersi.
A differenza di Adamo che accusa Eva
lui Maria “non voleva accusarla pubblicamente”,
però ad un certo punto vorrebbe anche lui
sfilarsi fuori da una storia così enorme:
“pensò di ripudiarla in segreto”.
Giuseppe non accusa Maria,
la protegge,
però prova a fare un passo indietro.
Solo che non agisce superficialmente,
giusto è l’uomo che pensa,
e allora avviene l’incontro con Dio,
in sogno.
Che non significa che
Giuseppe stesse dormendo
ma che finalmente era riuscito a compiere quello che
per Maria sembra essere stato un gesto quasi naturale:
Giuseppe riflette e abbassa le difese,
non si protegge più.
Si spoglia delle paure e delle regole della sua cultura,
non si nasconde dietro i propri limiti
e nemmeno dietro il sogno di una vita più tranquilla.
Non si copre più con simboliche foglie di fico
ma si concede senza vergogna e con tutta la sua fragilità:
si compromette con Dio.
Ecco l’immagine del padre,
un uomo compromesso con lo Stile inedito di un Dio inatteso.
E Giuseppe diventa così il custode del Testamento Nuovo,
sarà lui a proteggere Gesù dalla violenza del nuovo faraone (Erode),
sarà lui a essere padre di Gesù,
il nuovo Mosè, grazie a un esodo e a un controesodo:
Egitto andata e ritorno.
No, non è la storia di come sono andate le cose duemila anni fa
ma è la storia per come si può ripetere anche oggi,
in tutti gli uomini e le donne che accettano di essere padri sull’esempio di Giuseppe.
Uomini sull’esempio di quello
che Gesù porterà a compimento.
Uomini innamorati di una promessa,
uomini innamorarti dell’uomo,
 uomini che non accusano,
che non scaricano mai le responsabilità addosso a un colpevole.
Uomini capaci di prendersi cura della vita
anche quando la vita sorprende
e non rispetta le attese.
Uomini che si compromettono fino in fondo.
Perché dai padri si può ancora imparare.
E così Matteo racconta la storia del coraggio di Giuseppe,
uomo che raccoglie la luce dalla Resurrezione
e la lancia con passione fino a Genesi.

Alessandro Dehò
(Matteo 1,18-24)
IV Avvento anno A

sabato 17 dicembre 2016

Perché è questo che fa la differenza

Inatteso, come un frutto che sboccia improvviso senza seme d’uomo, puro stupore.
Non si sta raccontando di come Gesù sia venuto al mondo duemila anni fa
ma di come può venire al mondo adesso.
Come la luce può graffiare anche le nostre tenebre oggi.
Serve sposare una promessa, dice Matteo.
Come ha fatto Giuseppe.
Serve fidarsi dell’amore perché se riduci la vita
a uno sforzo,
al puro impegno,
al compito da portare a termine con meno errori possibili
la vita la vivi
ma la luce non la vedi.
Innamorati di una promessa
 dice Matteo a tutti i Giuseppe che lo leggeranno,
e ricordati che
Giuseppe significa “Dio aggiunge”
cioè che il divino è un dono gratuito come l’amore.
E si capisce subito che l’evangelista ha in mente le prime pagine di Genesi,
in qualche modo sta facendo arrivare la luce fino ad Adamo e Eva,
Giuseppe è l’Adamo illuminato dalla Resurrezione.
Giuseppe diventa
il modello umano da imitare per stare al mondo da illuminati.
Giuseppe diventa
modello per tutti i padri.
Adamo ruba un frutto,
Giuseppe scopre stupito un frutto aggiunto al suo amore.
Prima del tempo, totale gratuità.
Stupore nato nel ventre dell’amata.
Per Adamo Dio è colui che limita la libertà,
per Giuseppe è colui che dona ben oltre le aspettative.
Matteo non racconta come è nato Gesù
ma descrive
due modi opposti di stare al mondo.
E solo il modo di Giuseppe è cammino di fede.
E noi a chiederci da che parte stiamo vivendo,
come Adamo,
nel sospetto e nella pretesa
oppure nella totale libertà di Giuseppe
che riconosce Vita perfino dove lui non l’ha seminata?
Giuseppe
che sa gioire di una vita che sboccia nonostante la sua assenza
o Adamo
che si sente tradito e muore nel rancore?
Perché è questo che fa la differenza,
riuscire ad innamorarsi di una vita
anche se non è solo frutto del nostro impegno,
riuscire a proteggere la vita
anche quando sfugge ai nostri programmi,
non nasconderci risentiti e arrabbiati
anche se la vita prende pieghe impreviste, inedite.
Giuseppe è l’uomo
che riesce a rimanere innamorato della vita
anche quando la vita non rispecchia le sue aspettative.
E la vita non rispecchia mai completamente le aspettative,
nel bene e nel male.
Anche per noi.
Vivere da Adamo
è fuggire da un Dio
che sembra prima illudere per poi deludere.
Vivere da Giuseppe è
amare così profondamente la vita,
amare così profondamente una donna,
da trovare possibilità di cammino
anche quando la storia mostra
un volto inatteso e faticosamente sorprendente.

Alessandro Dehò
(Matteo 1,18-24)
IV Avvento anno A

venerdì 16 dicembre 2016

Pregalo molto a lungo e molto forte perché egli trasformi questa amarezza in dolcezza

Ti è certamente capitato di lasciare l'ambiente nel quale sei conosciuto e amato,
per vivere in un paese straniero
ove non esisti per nessuno.
E, se nella folla deserta sopraggiunge qualcuno che
ti "riconosce"
e ti chiama per nome,
tu fai d'un tratto l'esperienza di nascere di nuovo.
Nel momento in cui tra due esseri nasce una vera amicizia,
vi è sempre un "prima" e un "dopo" tra i quali si può dire:
da quando ti conosco non sono più lo stesso.
Così, quando apri la Bibbia,
tu vedi uomini
appagati o insoddisfatti,
santi o peccatori,
resi felici dal loro incontro con Dio,
perché la loro vita ha preso improvvisamente un senso nuovo.
Chiunque tu sia,
sei fratello di questi uomini nella loro avventura.
Anche se tu fossi il più grande peccatore, il più squilibrato e il più povero,
tutte queste situazioni sarebbero
un'occasione che si offre a Dio per venirti incontro.
"Ogni uomo grida per sentirsi chiamato col suo nome" (Simone Weil).
Tu soffri senza sapere perché e spesso hai voglia di morire, come Elia,
tanto sei stanco di tutto.
Sii autentico nella tua preghiera,
non fare come se tutto andasse bene,
e poni davanti a Dio queste montagne
di sofferenza, di rancore, d'orgoglio e di impurità.
Se tu preghi con fede e nella verità,
Dio trasporterà queste montagne nel mare.
Pregalo molto a lungo e molto forte perché egli trasformi questa amarezza in dolcezza.
Nel seno di questa pace austera,
ti scoprirai amato da Dio.
Nulla gli sfugge:
egli ti vede nel segreto e ti ama.
Tu sei qualcuno per Dio,
sei prezioso come le pupille dei suoi occhi,
ed egli ti ama.
Lascia risuonare in te le parole di Isaia (43,1-5):
"Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni...
Perché tu sei prezioso ai miei occhi,
perché sei degno di stima e io ti amo.
Non temere, perché io sono con te".
Dio ha per te un nome particolare,
un nome che solo lui conosce insieme con te
e che ti rivela un poco alla volta,
nella misura in cui si precisa la tua vocazione.
Perché il tuo nome è una chiamata.
Pregare è, forse, innanzi tutto questo:
credere che tu hai per Dio un nome,
che questo è un invito a un'amicizia unica,
nella quale puoi perderti,
e che dà senso alla tua vita.

(Jean Lafrance, Prega il Padre tuo nel segreto, Edizioni O.R., Milano 1980)

giovedì 15 dicembre 2016

c’è la certezza che il Padre sa


La preghiera per Gesù è espressione della fiducia nel Padre. 
Più grande è la fede nel Signore e 
meno la preghiera ha bisogno di formule e di parole. 
Quando c’è la certezza che il Padre sa, 
e l’esperienza insegna che il Signore tutto trasforma in bene (Rm 8,28) 
e si prende cura anche degli aspetti minimi o insignificanti della vita (Mt 10,30-31), 
non c’è bisogno né di chiedere né tantomeno d’informare, 
ma trasformare la fiducia in lui in un continuo ringraziamento (Mt 11,25). 
(A. Maggi)

mercoledì 14 dicembre 2016

perché d'improvviso ci troviamo a respirare più a fondo.


Si attraversa l'adolescenza e si arriva all'età adulta conservando talvolta nel profondo di se stessi questo angoletto di pensiero magico:
che la felicità sta là nascosta da qualche parte e bisogna trovarla.
E magari me la trovi tu,
e me la porgi confezionata col fiocco.
Se poi si deteriora o si perde,
non sappiamo più che fare,
siamo a terra,
delusi e incupiti,
caduti di schianto dalla nostra nuvoletta.
Buone notizie per tutti, invece.
La felicità si può costruire.
E in due, dicono, la si costruisce più grande e più solida.
Bisogna assicurarsi di montare bene la struttura,
e poi si può diventare abili a farci nascere attimi luminosi.
E accenderli di tanto in tanto. In posti diversi.
Come le luci intermittenti a colori diversi dell'albero di natale,
oppure, in versione più ecologica e più estiva,
come la meraviglia delle stelle cadenti,
come quelle brezze leggere del mattino
di cui ci accorgiamo solo
perché d'improvviso ci troviamo a respirare più a fondo.
FELICI SI DIVENTA
Rosella De Leonibus
(ROCCA 15 agosto/1 settembre 2009)

martedì 13 dicembre 2016

Il coraggio di osare

Signore Gesù, fammi conoscere chi sei.

Fa sentire al mio cuore la santità che è in te.

Fa' che io veda la gloria del tuo volto.

Dal tuo essere e dalla tua parola, dal tuo agire e dal tuo disegno,

fammi derivare la certezza che la verità e l'amore

sono a mia portata per salvarmi.

Tu sei la via, la verità e la vita.

Tu sei il principio della nuova creazione.

Dammi il coraggio di osare.

Fammi consapevole del mio bisogno di conversazione,

e permetti che con serietà lo compia, nella realtà della vita quotidiana.

E se mi riconosco, indegno e peccatore, dammi la tua misericordia.

Donami la fedeltà che persevera e la fiducia che comincia sempre,

ogni volta che tutto sembra fallire.

(Preghiere Missionarie della CONSOLATA)

lunedì 12 dicembre 2016

In che senso la promessa del Signore non è scaduta e può essere ancora annunciata senza che la smentita dei fatti renda mute le nostre labbra?

Lo scrittore teologo Sergio Quinzio, nel saggio Mysterium iniquitatis, immagina che nell'anno 2000 l'ultimo Papa scriva la sua ultima Enciclica "Mysterium iniquitatis" definendo come dogma infallibile il "fallimento del cristianesimo nella storia del mondo".
Dopo la firma dell'Enciclica, il Papa Pietro II° sale all'interno della cupola della basilica di S. Pietro e si suicida lasciandosi cadere "sul luogo dei falsi trionfi".
Anche Giovanni il Battezzatore nutre dubbi sul messianismo realizzato di Gesù.
I discepoli di Gesù patiscono scandalo dall'evidente fallimento.
Noi non siamo in condizioni migliori di loro perchè
"vediamo che la terra non fiorisce di bellezza e non si vede nessun sentiero santo su cui camminano i riscattati dal Signore.
Allora ci dobbiamo domandare:
qual è la ragione di questo scandalo?
In che senso la promessa del Signore non è scaduta e può essere ancora annunciata senza che la smentita dei fatti renda mute le nostre labbra?
Molte volte le speranze che incontriamo ci sembrano un prodotto dell'illusione
e della volontà di autoconsolazione.
Forse, per essere cristiani dobbiamo barare sulla realtà
e far finta che le cose non vadano come stanno andando?
Molte volte è così.
Io penso che il primo nostro dovere sia quello di non mentire di fronte ai fatti.
E' una condizione di maturazione della nostra fede.
Dobbiamo affrontare lo scandalo di una promessa di Dio
continuamente narrata nelle nostre assemblee
e di fatto smentita tutti i giorni.
La nostra speranza non si deve basare sulle conferme o meno dei fatti, perchè si basa sulla fede in Dio.
E' solo questa speranza che è legittimamente immune dalla smentita dei fatti.
La speranza è più forte dei fatti.
Non li salta, non li aggira;
li attraversa e li contesta.
Se io spero e credo che il Regno di Dio viene, non lo credo per un esame della storia.
Nell'altra faccia della realtà, la fede contempla il Dio che si è impegnato.
Se io credo che il mondo sarà cambiato non è per i segni che riesco a discernere dentro il groviglio dei fatti, ma perchè c'è la promessa di Dio che è la ragione ultima del mio sperare.
Per questo, la speranza che si appoggia sulla fede si manifesta come invincibile pazienza.
Pazienza non in senso passivo,
ma come perseverante volontà di affrontare i fatti,
di vederli nella trasparenza della promessa,
di far germogliare ciò che in essi c'è di positivo
e di combattere ciò che c'è di negativo.
La pazienza si paga.
Innanzitutto mettendosi dalla parte dei deboli,
coloro che hanno diritto di sperare."

domenica 11 dicembre 2016

ma ha approfondito le vicende umane facendo scaturire da esse la dimensione divina.

Il Signore Gesù non ha inventato verità esoteriche, ma ha approfondito le vicende umane facendo scaturire da esse la dimensione divina.
Come se avesse messo le ali ai sentimenti, ai pensieri, alle aspirazioni umane.
Spesso intendiamo i messaggi evangelici come privazione, nascondimento, penitenza. In realtà i messaggi del Vangelo indicano strade che intuiamo nel nostro profondo, ma che stentano ad emergere per essere messe in patica.
Due esempi lineari di questo filo che lega tutto il messaggio di Gesù: le beatitudini, la preghiera del Padre nostro.
Nelle beatitudini il Signore indica ciò che in fondo desideriamo: la mitezza, la semplicità, la misericordia, il perdono, la pace. Sono i fondamenti di ogni azione che garantiscono il benessere e la felicità della convivenza.
La stessa preghiera indicata da Gesù invoca Dio come Padre. Mette insieme la dimensione spirituale rivolta al cielo, ma anche le necessità della nostra vita quotidiana: il cibo, il perdono, l’accompagno.
 Don Vinicio Albanesi
III DOMENICA DI AVVENTO - Anno A

sabato 10 dicembre 2016


Il vero miracolo, un piccolo seme
di Ermes Ronchi  (Avvenire 09/12/2010)
III Domenica di Avvento Anno A

 «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». 
Grande domanda che permane intatta: 
perseveriamo dietro il Vangelo 
o cerchiamo altrove? 
Giovanni è colto dal dubbio, 
eppure Gesù non perde niente della stima immensa che nutre per lui: 
«È il più grande!» 
I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito. 
Ed è di conforto per tutti i nostri dubbi: 
io dubito, 
e Dio continua a volermi bene. 
Io dubito, 
e la fiducia di Dio resta intatta.

venerdì 9 dicembre 2016

Il cuore torna dall’esilio solo se attratto da un amore bruciante, solo se ritrova la forza di innamorarsi ancora.

Aveva ragione il Battista,
stiamo sempre aspettando un padre
che ci riporti a casa il cuore disperso,
il nostro povero cuore esiliato.
Ma il ritorno dall’esilio non avverrà
entrando nella logica di un Dio giudice terribile
ma lasciandoci guardare da un Dio
che vede il frumento crescere in noi
e che brucia d’amore la pula che inevitabilmente ci abita.

Il cuore torna dall’esilio solo se attratto da un amore bruciante,
solo se ritrova la forza di innamorarsi ancora.
Ma questo anche Giovanni dovrà impararlo.
Convertendosi.
Alessandro Dehò

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

giovedì 8 dicembre 2016

sentire che proprio quella fragilità è deserto da abitare.


Giovanni dice che
la fede è proprio
questo ritorno in se stessi,
questa consapevolezza profonda,
questa vicinanza a sé, ai fratelli, al mondo intero,
ecco perché proclama che “il Regno dei Cieli è vicino”,
dove vicino non è questione di tempo ma di consapevolezza,
vicino è il regno
quando il mondo intero lo sento intimo a me,
quando sono vicino al fratello che soffre ma anche
quando sono vicino alla sofferenza che abita il profondo di me stesso e provo
a non negarla, a non ignorarla,
provo ad amarla e a sentire che proprio quella fragilità è deserto da abitare.
Il regno dei Cieli
è quando io sono vicino alla vita,
è tutto ciò che è tornato dall’esilio:
gli affetti, le persone, le fragilità, gli errori, i peccati, gli amori, le illusioni…
riportare tutto a casa.
Smettere di negare e di negarmi,
per non avere più paura di quello che sono,
per non cedere più all’ipocrisia di voler apparire diversi,
per imparare ad amare quelle fragilità e quelle povertà che mi costituiscono.
Far tornare la nostra identità dall’esilio per poter gridare
il bisogno che venga amata, proprio lei, anche da noi,
perché quella Povertà è il Cristo che ci abita:
il regno dei Cieli è vicino.

È la nostra fragilità.

Questa è vera conversione.
Invece noi ancora a far credere
che convertirsi sia abbandonare ciò che siamo
per assumere i tratti stereotipati di una perfetta santità probabilmente mai esistita.
Ancora a dire che conversione
è lasciare la nostra vita per abbracciare modelli perfetti
perché idealizzati,
proporre umanità disincarnate,
imporre agli uomini conformazione a modelli più
che reali ritorni in se stessi.
E così ci costringiamo all’ipocrisia dei farisei perché
convertiamo sempre e solo le apparenze.
Convertirsi profondamente è avere il coraggio di riportare a casa ciò che siamo,
riconoscerlo, amarlo, custodirlo e con stupore
accorgersi che il regno dei Cieli è vicino,
è quando troviamo il coraggio di farci vicini a noi stessi,
per quello che siamo,
e  scoprire che Dio era già lì, da sempre,
a contemplarci con amore.



Alessandro Dehò

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

mercoledì 7 dicembre 2016

una mano in grado di riportare l’uomo nel cuore della propria vita.


Ma per tornare a casa
occorre riconoscerlo l’esilio,
primo passaggio ineludibile di consapevolezza,
ecco perché Giovanni attira le persone in un luogo estremo e lontano,
nel deserto.
Luogo da abitare e a cui sopravvivere
se si vuole sognare libertà,
luogo da scegliere e
che costringe a fare i conti con i nostri limiti e
quindi con la verità profonda che quei limiti disegnano.
Giovanni è un battesimo di immersione nelle acque uterine del proprio limite,
lì dove si può tornare a sentire
il bisogno di ricominciare,
lì dove si può tornare a sentire il desiderio profondo di una mano in grado di riportare l’uomo
nel cuore della propria vita.

Alessandro Dehò 
Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

martedì 6 dicembre 2016

segno inconfondibile di un esilio nuovo che nemmeno Gerusalemme aveva saputo ancora sanare: l’esilio del cuore.


Giovanni il Battista si spinge fuori dalla città,
assume lo status di esiliato,
e grida le parole di Isaia,
parole di un profeta che aveva saputo
pregare e preparare la strada di un ritorno da quell’esilio
che aveva colpito i padri biblici,

Giovanni si spinge fuori dalla città
per ricdorare quell’esilio
ma, soprattutto,
per diventare segno inconfondibile di un esilio nuovo
che nemmeno Gerusalemme aveva saputo ancora sanare:
l’esilio del cuore.

Giovanni è il profeta
degli esiliati di tutti i tempi,
di tutte le persone
che hanno il cuore altrove
e che aspettano un padre capace
di riportarli a casa,
di riportarli ad abitare nuovamente
la propria storia,
la propria carne,
il proprio Corpo.

Negli occhi di Giovanni il Battista,
se guardiamo bene,
troviamo anche il nostro di esilio.
Quello che prova chi dorme accanto
a una donna che non ama più,
a un uomo che non riconosce più,
a una storia che non lo ascolta più.
L’esilio che proviamo quando abitiamo in una famiglia
ma non riusciamo proprio a sentircene parte,
esilio di chi vive in una città ma vorrebbe sempre essere altrove,
esilio di chi non comprende più il senso del suo lavorare,
esilio di chi, guardarsi allo specchio, non si riconosce più.

Giovanni entra nelle parole profetiche di Isaia
e grida con amore che è possibile tornare a casa,
è possibile riportare il cuore a casa,
è possibile ritrovarsi e riconoscersi ancora uomini. Ecco perché è il precursore,
è colui che indica la possibilità di un cammino di ritorno in se stessi
che sarà la grande avventura di un Dio
che torna a casa
facendosi uomo.

Alessandro Dehò 
Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

lunedì 5 dicembre 2016

I profeti in fondo sono come bambini, se gridano è solo per il bisogno di essere abbracciati,


Negli occhi del Battista
c’era un orizzonte e
disegnato sul filo di questo orizzonte
era appoggiata una speranza, piccola e fragile,
come tutte le speranze quando sono credibili.
E se gridava,
Giovanni,
era solo per la paura di
non riconoscerla questa speranza
il giorno in cui si sarebbe mostrata,
paura di lasciarsela scappare.

I profeti in fondo sono come bambini, 
se gridano è solo per il bisogno di essere abbracciati,
questa era la speranza di Giovanni.

Attendeva con tutto se stesso,
con la feroce totalità degli amanti,
attendeva come stiamo attendendo noi,
l’abbraccio di un padre capace di mettere ordine
in questa vita così affascinante e complessa.

E allora Giovanni sceglie di uscire
dai giochi di potere,
dalla Gerusalemme tentacolare e subdola,
lontano
dalle velenose parole dei potenti,
dall’ubriacatura di vuoto che striscia per le vie della città,
sceglie di uscire da Gerusalemme
per gridare al mondo
l’unico grande desiderio che valga la pena essere desiderato:
il bisogno di essere riportati a casa dall’abbraccio di un padre.
Perché siamo gente in esilio da noi stessi, questo gridava, anche a se stesso.

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A
Don Alessandro Dehò

domenica 4 dicembre 2016

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A
Negli occhi del Battista c’erano un deserto, un fiume e mille storie. Negli occhi del Battista c’erano le storie delle persone che lo cercavano e le storie di quella Scrittura Sacra che gli aveva rubato il cuore: storie che gli erano entrate così dentro da diventare il suo vestito, il suo cibo, la sua dolce ossessione. Negli occhi del Battista c’erano gli uomini e c’era Dio e lui, Giovanni, era una pergamena bruciata dal sole con addosso i segni visibili di questi due amori così radicali. Giovanni Battista era una pergamena scritta da Dio con la lingua dei profeti: Elia nel vestito, Isaia nella Parola, Abramo nel cuore, il suo cibo era quello dei nomadi, il deserto la sua cattedrale e l’acqua che si rincorre fino al mare il suo bisogno di eternità. Giovanni il Battista era la carne della Parola.

sabato 3 dicembre 2016

la penna nel proprio sangue per dire a te stesso

Dire
è confessarsi,
è donarsi;
scrivere è liberarsi.
Io non posso non scrivere.
Anche se a leggere quanto è già stato scritto,
di ben pochi, di pochissimi si potrà dire:
ecco, costui ha scritto una verità che non era mai stata detta da alcuno.
Ma ciò che importa, nello scrivere, non è questo.
Scrivere è intingere la penna nel proprio sangue
per dire a te stesso
ciò che Lui, l'Amico, ha pensato di te,
ciò che egli ha fatto e continua a fare di te:
e quanto tu sia refrattario o disponibile alla grande opera comune.

(David Maria Turoldo, Il dramma è Dio, p. 12)

venerdì 2 dicembre 2016

Il menu non sazia

Ad alcuni hassidim, che avevano studiato la santa Toràh,
Rabbi Baal Sem disse:

<Io vi ho spiegato la carta con l'elenco della portate.
Spero che nessuno creda così di aver già mangiato.
Un menù, per quanto utile, non è buono da mangiare>.

Gli hassidim si prostrarono in preghiera.

giovedì 1 dicembre 2016

il taglialegna

Un giorno venne, dal monaco Bruno,
un uomo che nella vita aveva molti impegni
anche se nel suo cuore coltivava il desiderio di dedicarsi alla preghiera
senza riuscirci,
appunto,
per i molti impegni.
Allora Bruno raccontò questo aneddoto:
<Un taglialegna stremato di fatica continuava a sprecare tempo ed energia tagliando legna con una accetta spuntata, perchè diceva di non avere il tempo per fermarsi ad affilare la lama>.
Da quel giorno,
l'uomo dai molti impegni si alzò sempre un quarto d'ora prima
per "affilare la lama".
E alla sera, effettivamente, era meno stanco di prima.

mercoledì 30 novembre 2016

Per i profeti l’idolatria è usare Dio per legittimare una situazione di oppressione.


Il Dio che discende
...Sono disceso per liberare... ora sono il Dio della terra.
Jahweh, in ebraico, significa 
“colui che è qui” o “colui che è disceso”. 
Questa pagina scritta circa 400 anni dopo il fatto, ci trasmette ciò che si depositò in modo chiaro ed essenziale nel cuore e nella memoria dei profeti che la scrissero: 
il nostro Dio è il Dio degli schiavi e non il Dio degli schiavisti, il Dio degli oppressi e non degli oppressori. Il Dio che non solo sta dalla parte degli oppressi, ma anche libera. 
Quindi, necessariamente,
è il Dio che entra nel conflitto dalla parte degli oppressi, degli schiavi, di quelli che gridano sotto la schiavitù. Dio assume il conflitto: 
«Contro di te, contro i tuoi ministri e i tuoi capi io alzerò la mia mano potente e il braccio
disteso per la liberazione». Non possiamo ripetere le situazioni nè le espressioni antiche, ma quando, ancora oggi, esiste conflitto con il sistema che genera milioni di esclusi e di affamati, abbiamo la certezza che il nostro Dio non è il Dio delle cattedrali e del sistema, nè il Dio usato e manipolato dagli oppressori che vanno a braccetto con i generali; è il Dio della campagna, del contadino, del lavoratore che cerca giustizia e vita. 
Il nostro Dio non è solo il Dio degli oppressi, ma è anche il Dio che non vuole che l’uomo opprima un altro uomo. Sostenere il contrario sarebbe IDOLATRIA.
A partire da questa certezza, i profeti, che furono le sentinelle più fedeli di questa memoria, continuarono a denunciare l’idolatria ogni volta che il palazzo, la caserma, il tempio o il magazzino hanno tentato di tirare Dio dalla propria parte. Idolatria, dunque, non è solo l’attitudine del pagano che non conosce il nostro Dio o chiama Dio con altro nome, ma è il peccato della città che cerca la legittimazione del sistema da parte di Dio. I profeti denunceranno questa situazione. Non permetteranno che si dica che Dio legittima il potere che opprime. 
«Non userai il mio nome per cose vane. Non lascerò impunito chi userà il mio nome invano» (Esodo 20,7). 
Questo è l’idolatria. Per i profeti l’idolatria è usare Dio per legittimare una situazione di oppressione.
S. GALLAZZI, POR UMA TERRA SEM MAR, SEM TEMPLO, SEM LÁGRIMAS. 

martedì 29 novembre 2016

questo stesso Dio sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi


La chiave corretta per leggere la Bibbia è costituita dal conflitto campagna-città, un conflitto tra produttori e commercianti.
Ebreo non è un appellativo per indicare il popolo di una nazione. Indica un GRUPPO SOCIALE, degli ESCLUSI, degli EMARGINATI. Sono quelle vittime del sistema che sopravvivono al margine, assaltando, rubando e vendendo forza-lavoro come mercenari di questo o quel latifondista.
Il conflitto, allora, non è solo economico, ma anche ideologico e teologico. E in questo conflitto il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio popolare che fu capace di rispondere alle esigenze del gruppo quando era in periferia, questo stesso Dio sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi, alle nuove sfide nate dall’ organizzazione dello Stato. Finchè il gruppo non ebbe necessità di fare i conti con la città, il Dio dell’albero e del pozzo era sufficiente per garantire la vita del gruppo. Ma quando il gruppo entra in conflitto con la città che lo espropria dei prodotti della campagna, questo stesso Dio diventa inadeguato. A questo nuovo sistema risulta più adeguato il dio On, dello Stato Egizio. Per questo motivo Giuseppe sposa la figlia di Putifar, sacerdote del dio On. Il dio On è un’ideologia più capace di legittimare quel sistema, molto più del Dio di un nomade, di un pastore, di un piccolo agricoltore che non riesce ad affrontare il conflitto.
S. GALLAZZI, POR UMA TERRA SEM MAR, SEM TEMPLO, SEM LÁGRIMAS. 

lunedì 28 novembre 2016

Questa pagina è simbolica. E’ un riassunto della storia


In questo contesto ( storia di Giuseppe in Egitto) viene ribadito due volte che solo i sacerdoti non furono obbligati a vendere le proprie terre e furono mantenuti dal Faraone. Perchè? I sacerdoti compiono l’ultimo furto: quello della testa della gente. Intermediari tra Dio e il popolo, sono loro che spingono gli sfruttati a dire a Giuseppe: «Grazie a Dio tu ci hai salvato la vita! Ci consegniamo al Faraone come schiavi». Siamo al massimo livello di sfruttamento: uno schiavo è realmente tale quando pensa che la miglior cosa per lui sia essere schiavo. Non esiste più nessuna possibilità di trasformazione dal momento in cui si raggiunge la convinzione che essere schiavo sia una grazia di Dio. Questo era il ruolo dei sacerdoti. La fede del popolo nel Dio custode della vita viene così facilmente utilizzata in funzione della città. Questa fede controllata dal tempio e dal sacerdozio a servizio del palazzo e del commercio, diventa un elemento di sottomissione del povero. Il popolo continua ad essere povero e continua a proclamare: “grazie a Dio tu ci hai salvato la vita”. Il Dio custode della vita, che era custode del gruppo della periferia, si trasforma in custode del centro. E’ semplicemente strumentalizzato. Dio è espropriato. Dio viene usato come garante di un sistema di oppressione che viene spacciato dal tempio come “grazia di Dio... volontà di Dio”.
Questa pagina è simbolica. E’ un riassunto della storia
S. GALLAZZI, POR UMA TERRA SEM MAR, SEM TEMPLO, SEM LÁGRIMAS. 

domenica 27 novembre 2016

uscite da un modo superficiale

Vegliate… ossia scrollatevi di dosso quel torpore che non permette di riconoscere ciò che accade nel profondo della propria storia.

Vegliate… ossia uscite da un modo superficiale di consumare l’esistenza e accettate la sfida di una ricerca, di un ascolto, di un confronto. La vigilanza, infatti, è ciò che ci permette di essere ancorati al nostro presente senza mai diventarne schiavi, ci rende figli del nostro tempo ma non ci soggioga al contingente. È ben altro ciò per cui siamo fatti e verso cui siamo incamminati. L’incontro con il Signore.

Vegliate… ossia vincete la tentazione di far sì che sia il capriccio di un momento a dettare le scelte del quotidiano.

Quando la vita è trascorsa secondo il filone dell’opaca normalità, il rapporto con il Signore è relegato ad alcuni ambiti e ad alcuni momenti. Le tante incombenze del quotidiano finiscono per soffocare il desiderio di stare alla sua presenza e di lasciare che essa informi tutti gli ambiti della nostra vita.

Ritenere che questo nostro mondo sia eterno è semplicemente illusorio. Credere che tutto e il contrario di tutto si equivalgano è soltanto un inganno.

Vegliare… ossia:

crescere nella consapevolezza di sé e di ciò che circonda,
cogliere in profondità il senso dell’esistenza propria e di quella altrui,
maturare un atteggiamento di benevolenza nei confronti della storia e della creazione,
riconoscere il bene all’opera sempre e comunque senza lasciarci ingannare da una lettura superficiale che si fermi all’apparenza,
imparare a meravigliarsi.

Antonio Savone
Riscoprire il perché – Prepararsi alla liturgia domenicale (I di Avvento)

sabato 26 novembre 2016

Compito di ognuno di noi

...È ormai tempo di svegliarvi dal sonno”. Perché mai quest’appello accorato? Perché il sonno è ciò che più minaccia la fede...

Che cosa accade durante il sonno? 
La fantasia si sgancia dal controllo della ragione ipotizzando 
mondi immaginari.

Compito di ognuno di noi, invece, 
è quello di capire 
il senso della propria storia, 
quale destino ci attende, 

che cosa è nascosto 
in ciò che viviamo, 

cosa è celato 
in quello che scegliamo.

Antonio Savone 
Riscoprire il perché – Prepararsi alla liturgia domenicale (I di Avvento)

venerdì 25 novembre 2016

L'arte della pace.


E' l'arte del trasformare
la lingua da punta che ferisce in vomere che ara la durezza dell'interlocutore; 
l'arte del trasformare 
le fabbriche di armi in fabbriche per lo sviluppo;
l'arte di non vendere mine antiuomo per far tirare l'economia sommersa o tacitamente legalizzata...
L'avvento è la beatitudine di accogliere 
il Gesù della pace integrale: 
quella 
con Dio anche nel momento in cui si rivela come Mistero, 
quella 
col coniuge e col collega, 
quella 
di una politica ragionata e non rissosa, 
quella 
dei deboli e non dei forti, 
quella 
basata sulla coscienza prima ancora che sulle leggi. 
E chi più ne ha più ne metta. 

LITURGIA 27 novembre 2016 - 1 Domenica Avvento
da ...Vegliate, dunque!.Don Augusto Fontana

giovedì 24 novembre 2016

Cosa pensi che stia facendo in questo preciso momento?

Un giorno un ricco industriale rimase inorridito trovando un pescatore del sud pigramente sdraiato accanto alla sua barca a fumare la pipa.
“Perché non sei in mare a pescare?”, gli chiese l’industriale.
“Perché ho preso abbastanza pesce per oggi”, disse il pescatore.
“Perché non ne prendi di più di quanto te ne serve?”, chiese l’industriale,
“Cosa ne dovrei fare?”, domandò il pescatore.
“Potresti guadagnare più soldi”, fu la risposta.
“Così potresti dotare la tua barca di un motore. Allora potresti spingerti in acque più profonde e prendere più pesce. Allora avresti abbastanza soldi per comprare reti di nylon. Queste ti frutterebbero più pesce e più soldi. Ben presto avresti abbastanza denaro per possedere due barche...magari un’intera flotta di barche.Allora saresti un uomo ricco come me.”
“Cosa farei allora?”, chiese il pescatore. “Allora potresti sederti e goderti la vita”, rispose l'industriale.
“Cosa pensi che stia facendo in questo preciso momento?”, disse il pescatore soddisfatto.
(A.De Mello, Il canto degli uccelli, Edizioni Paoline, pag.173-174)

mercoledì 23 novembre 2016

pronte a spiegare le loro ali di giganti

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po'
sulle rotte dell'oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
Jaques Brel



martedì 22 novembre 2016

La strada


La strada ha la sua poesia. 
L'ha 
la strada grande e la piccola, 
la modernissima autostrada e il secolare viottolo alpestre dove passano a stento il mulo e il boscaiolo; l'ha 
la vasta via nazionale 
che si perde diritta e interminabile nella pianura polverosa, 
che valica fiumi e colline, 
e attraversa campagne e 
congiunge città e paesi e 
si dirama e 
s'intreccia in ogni direzione a formare come le maglie di una fittissima rete; 
l'ha, più intima e più dolce, 
la strada 
che risale le vallate, 
che s'inerpica sulle montagne e 
scavalca i grandi passi e 
ridiscende tortuosa e capricciosa come un nastro enorme ; 
verso altre vallate, altri monti, altre contrade. 
La poesia della strada è anche nella sua stessa missione di avvicinare fra loro i più lontani paesi e gli uomini agli uomini e di rendere meno estranee fra loro le regioni e le nazioni.

 G. Silvestri

lunedì 21 novembre 2016

l'odio


Poesia di Wislawa Szymbrosca
L’odio

Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.

Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce ma lo rafforza.

Religione o non religione 
purché ci si inginocchi per il via
Patria o no
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.

Oh, quegli altri sentimenti 
malaticci e fiacchi!
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
arrivata per prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.

Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?

Diciamoci la verità:
sa creare bellezza
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.

È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.

In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro.
 lui solo.

domenica 20 novembre 2016

Oggi e ieri

Il vigliacco di oggi
è il bimbo che schernivano ieri.
L’aguzzino di oggi
è il bimbo che frustavano ieri.
L’impostore di oggi
è il bimbo a cui non credevamo ieri.
Il contestatore di oggi è il bimbo che opprimevano ieri.
L’innamorato di oggi è il bimbo che accarezzavano ieri.
Il non complessato di oggi
è il bimbo che carezzavamo  ieri.
Il non complessato  di oggi
è il bimbo che non calunniavamo ieri.
L’espansivo di oggi
é il bimbo che non trascuravamo ieri.
Il saggio di oggi
è il bimbo che ammaestravamo ieri.
L’indulgente di oggi
è il bimbo che perdonavamo ieri.
L’uomo che respira amore e bellezza
è il bimbo che viveva nella gioia anche ieri.

Ronald Russel si è posto il problema dell'uomo che si è venuto formando in modo diversi secondo i metodi con cui è stato trattato da bimbo. Quali di questi  favoriscono e quali ostacalano il sereno sviluppo della personalità del bambino-

sabato 19 novembre 2016

l'integrità dell'uomo

Sette pericoli per l'integrità dell'uomo di Mahatma Gandhi

1. Politica senza principi
2. Affari senza moralità
3. Scienza senza umanità
4. Conoscenza senza carattere
5. Ricchezza senza lavoro
6. Divertimento senza coscienza
7. Religione senza sacrificio

A questi sette, Arun Gandhi, nipote del Mahatma e fondatore dell'Istituto Gandhi per la nonviolenza, ne aggiunse un ottavo:

8. Diritti senza responsabilità

venerdì 18 novembre 2016

ferisce immensamente


La lode eccessiva fa soffrire.
Essere elogiati più del dovuto
ferisce immensamente.
Se offri argento,
è doloroso sentirselo chiamare ottone o oro;
tutto ciò che desideri è che la gente dica:
"Sì, è proprio argento"...,
poiché tale è.
Questo elogio è fondato.
Ma che lo chiamino oro
ti fa solo sentire
quanto disperatamente lontano tu sia
dal fabbricare oro.

  New York, 1 giugno 1924)
K a h l i l   G I B R A N  

giovedì 17 novembre 2016

ma quante illusioni, quante delusioni!

Tutto ciò che ci appaga o crediamo che ci appaghi, finiamo per amarlo
e, quando riteniamo di aver trovato il bene migliore,
quello diventa il nostro tesoro,
che si annida poi nelle profondità del nostro spirito,
ma quante illusioni, quante delusioni!
Quanti falsi tesori
che si dissolvono in un batter d'occhio e tramutano il momentaneo godimento in amara tristezza.
Il Signore conosce bene questa umana eventualità e
per questo ci ammonisce a non accumulare falsi tesori sulla terra. "
Quae sursun sunt sapite"- dice S. Paolo.
"cercate (gustate) le cose di lassù",
eleviamo cioè il nostro spirito verso i beni che non periscono, che durano oltre il tempo e non riguardano solo il nostro corpo e le vicende che viviamo su questa terra, ma rimangono sempre integri e diventano fonte di felicità eterna.
L'uomo d'oggi è spesso prostrato, avvinto e disorientato dai beni di consumo, che vengono proposti con la migliore seduzione pubblicitaria come motivi di benessere e di felicità.
Occorre saggezza e divina sapienza per sapersi difendere da questi continui assalti.
L'ultima parte del vangelo di oggi ci parla della vera purezza dell'anima, parla dell'occhio che ne è lo specchio.
O siamo illuminati dallo Spirito
e
di conseguenza tutto vediamo nella sua luce,
o
il nostro sguardo diventa tenebroso,
cioè sempre orientato
verso il buio e il male con tutte le sue brutture.

Fonte: Monaci Silvestrini

mercoledì 16 novembre 2016

sentire e comprendere la Tua ispirazione.

Così pregava Newmann:
“Ho bisogno che Tu m’istruisca, giorno per giorno,
su ciò che è l’esigenza e la ne­cessità di ogni giorno.
Concedimi, o Signore, la chiarezza della coscienza,
la quale sola può sentire e comprendere la Tua ispirazione.
I miei orecchi sono sordi; non posso percepire la Tua voce.
I miei occhi sono offuscati; non posso vedere i Tuoi segni.
Tu solo può affina­re il mio orecchio, acuire il mio sguardo
e purificare e rinnovare il mio cuore.
Insegna­mi a star seduto ai Tuoi piedi
e a prestare a­scolto alla Tua parola. Amen».

martedì 15 novembre 2016

il giorno, come un regalo mai aperto . . . gettato via.

Hai mai guardato i bambini in un girotondo?
O ascoltato il rumore della pioggia quando cade a terra?
O seguito mai lo svolazzare irregolare di una farfalla?
O osservato il sole allo svanire della notte?

Faresti meglio a rallentare.

Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà.
Percorri ogni giorno in volo?
Quando dici "Come stai?", ascolti la risposta?
Quando la giornata è finita ti stendi sul tuo letto con centinaia di questioni successive che ti passano per la testa?

Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà.
Hai mai detto a tuo figlio, "lo faremo domani?" senza notare nella fretta, il suo dispiacere?
Mai perso il contatto, con una buona amicizia che poi finita perché tu non avevi mai avuto tempo di chiamare e dire "Ciao"?

Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà.
Quando corri cosi veloce per giungere da qualche parte ti perdi la metà del piacere di andarci.
Quando ti preoccupi e corri tutto il giorno, come un regalo mai aperto . . . gettato via.

La vita non è una corsa.
Prendila piano.
Ascolta la musica.



Scritta da Prof. Alessandro Cicognani
(Direttore Unità operativa di Pediatria, Università degli Studi di Bologna, Policlinico S.Orsola-Malpighi)

lunedì 14 novembre 2016

poi occorre costanza, forza e determinazione per

Il metodo è tutto.

Definire un buon metodo - e poi seguirlo - significa avere la certezza di raggiungere l'obiettivo prefissato.
Non si tratta più di esplorazione - andare alla ricerca di qualcosa, senza sapere dove si passerà e cosa si incontrerà - ma di semplice esecuzione del metodo - dove si conosce la strada e banalmente la si percorre, ormai più senza nessun tipo di indugio.

La definizione del metodo è dunque principio di ogni buon processo: definito il metodo giusto siamo sicuri del successo, al contrario definito un metodo sbagliato siamo sicuri della disfatta o comunque di un risultato non brillante e a cui seguiranno molte e molte correzioni da fare.

Trovare un buon metodo di fare le cose è tutto: poi occorre costanza, forza e determinazione per eseguirle.
Quindi già da principio si può comprendere il punto di arrivo di alcune situazioni, proprio osservando il metodo scelto ed applicato

Anche se magari siamo soltanto all'inizio dell'esecuzione, già si può capire dove si può arrivare seguendo questa via intrapresa - a meno che non si veda il problema del metodo e si decida per vere e reali correzioni del metodo - ma dunque è cambiato il metodo e dunque cambiano anche di conseguenza i punti arrivo.
E allora siamo ad affermare che dato un metodo, nell'osservazione dell'esecuzione del metodo già sappiamo dove arriveremo, portati dall'applicazione di quel metodo.

Infatti, calcisticamente parlando, è lo stop che già mette nelle condizioni buone per fare la prossima giocata, la giocata stessa, è fattibile solo per le condizioni create dello stop: mettersi sempre nelle condizioni di fare le cose. Poi le cose vengono da se, come naturale conseguenza.

domenica 13 novembre 2016

voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per...

Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri, e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore. Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l'amore, per i sogni, per l'avventura di essere vivo. Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita, o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro. Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo, se puoi ballare pazzamente e lasciare l'estasi riempirti fino alla punta delle dita, senza cautela, senza realismo e senza pensare alle limitazioni degli esseri umani. Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera, voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso, se puoi subire l'accusa di un tradimento e non tradire la tua anima. Voglio sapere se sei fedele e quindi di fiducia. Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni, se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza. Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, il tuo o il mio, e continuare a gridare all'argento di una luna piena. Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai, mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due, e fare quel che si deve fare per i bambini. Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare fin qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco senza retrocedere. Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove, voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto. Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai in quei momenti vuoti. Oriah

sabato 12 novembre 2016

la povertà diventerà bellezza e armonia liberante

LA RISPOSTA AI DISSIDI (Carlo Carretto)
A guardare questi eremi, dimora di uomini pacificati dalla preghiera e dall’accettazione gioiosa della povertà, si ha la risposta agli angosciosi dissidi che travagliano la nostra civiltà.
Vedete, ci dicono queste pietre: vedete che è possibile la pace. Non cercate il lusso nel fare le vostre case ma l’essenzialità. Allora la povertà diventerà bellezza e armonia liberante come potete vedere in questo eremo. Non distruggete la disoccupazione e i disagi, ma aiutate gli uomini a reinserirsi nelle campagne, a godere del lavoro artigianale e ben fatto, a risentire la gioia del silenzio e del contatto con la terra e col cielo. Non ammucchiate denaro che la svalutazione e i rapinatori vi insidieranno ma tenete aperta la porta del cuore al dialogo con fratello e il servizio al più povero.
Non prostituite il vostro lavoro costruendo oggetti che durano mezza stagione consumando le poche materie che ancora avete, ma fate secchi come questo secchio che vedete qui su questo pozzo e che tira su acqua da secoli ed è ancora in servizio.
Parlate tanto male del consumismo per riempirvi la bocca di parole e far tacere la cattiva coscienza e nello stesso tempo siete fedeli servi di esso incapaci di novità e fantasia. (da "Io, Francesco)

venerdì 11 novembre 2016

il centro del mio essere sfugge ad ogni sguardo

“In un certo senso,
le beffe e le prove
che la vita ci somministra
possono avere una funzione liberatoria
nel momento in cui ci scuotono
e ci impediscono di sclerotizzarci in un’emozione
o in una rappresentazione di noi stessi. S
e capita che delle persone, nella metropolitana, si mettono a ridacchiare al mio passaggio [per la disabilità],
colgo quell’occasione per ricordarmi
che la mia essenza non si riduce alle apparenze,
 e che il centro del mio essere sfugge ad ogni sguardo”
A. Jollien ( 1975), filosofo svizzero
(in C. Andrè-A. Jollien-M. Ricard, Tre amici in cerca di saggezza, Pozza editori 2016, p.41)

giovedì 10 novembre 2016

non ci sarà bisogno di soffrire

Un grande maestro spirituale
THICH NHAT HANH
Ognuno di noi sente ogni tanto di essere vittima di ingiustizie.
Siamo sempre pronti a parlare con gli altri delle nostre sofferenze e di quante ingiustizie abbiamo ricevuto.
Ma secondo gli insegnamenti del Buddha,
potrete riparare a quella ingiustizia soltanto
dentro di voi,
potete solo
trascenderla, trasformandola.
Non cercate di sopportare,
non sopprimete la vostra sofferenza,
praticate soltanto per far sì che il vostro cuore si espanda come il fiume
e allora non dovrete sopportare niente,
non ci sarà bisogno di soffrire.
Questa è la vera pratica della pazienza.
Nell'insegnamento buddhista la pazienza
non è cercare di mandar giù l'ingiustizia o di sopportarla,
ma di abbracciarla interamente
con il nostro grande cuore.

mercoledì 9 novembre 2016

IL DECALOGO LIBERALE DI BERTRAND RUSSELL

1. Non sentirti assolutamente certo di nulla.
2. Non pensare che valga la pena procedere nascondendo la realtà dei fatti, perché è sicuro che essa verrà alla luce.
3. Non cercare di scoraggiare la riflessione perché è sicuro che ci riuscirai.
4. Quando sei confrontato da una opposizione, anche se dovesse trattarsi di tuo marito o dei tuoi figli, cerca di superarla con la discussione e non con l'imposizione, perché una vittoria ottenuta con la forza è fittizia e illusoria.
5. Non avere alcuna venerazione per l'altrui autorità, in quanto si possono sempre trovare altre autorità ad essa contrarie.
6. Non utilizzare il potere per sopprimere opinioni che ritieni dannose, perché così facendo saranno le opinioni a sopprimere te.
7. Non aver paura di essere eccentrico nelle tue idee perché ogni idea ora accettata è stata una volta considerata eccentrica.
8. Trova più gusto in un dissenso intelligente che in un consenso passivo, perché, se apprezzi l'intelligenza come dovresti, nel primo caso vi è una più profonda consonanza con le tue posizioni che non nel secondo.
9. Sii scrupolosamente sincero, anche se la verità è scomoda, perché è ancora più scomodo il tentare di nasconderla.
10. Non provare invidia per la felicità di coloro che vivono di illusioni, perché solo uno sciocco può pensare che in ciò consista la felicità.
("La migliore risposta al fanatismo: il liberalismo" 1951, ora è nella sua Autobiografia)

martedì 8 novembre 2016

la gioia a poco a poco entrerà in te


Occupati dei guai, dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino. Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio. Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso quando tu hai voglia di piangere. Produci serenità dalla tempesta che hai dentro. "Ecco, quello che non ho te lo dono".
Questo è il tuo paradosso.
Ti accorgerai che la gioia a poco a poco entrerà in te, invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua nella misura
in cui l'avrai regalata agli altri.
Alessandro Manzoni

lunedì 7 novembre 2016

A te, o Dio, creatore dei mondi

A te, o Dio, creatore dei mondi,
che sei dovunque, nel cuore degli uomini,
e mite accogli le nostre preghiere,
devoti canti d'amore eleviamo.

Certo nessuno avrebbe osato
chiamare Dio col nome di Padre
se non avesse squarciato la notte
del gran mistero tuo figlio, Maria.

O Trinità misteriosa e beata,
noi ti lodiamo perchè ci donasti
la nuova aurora che annuncia il tuo giorno,
Cristo, la gloria di tutto il creato.

Ed ora, o chiesa, sei come la Vergine
l'arca che porta lo stesso mistero:
figli di Dio per lui ci chiamiamo
nel grande fuoco del santo suo Spirito.

P. Turoldo         (da "la nostra preghiera" pag.1100)

domenica 6 novembre 2016

in attesa del travaso

Amici, mi sento
un tino bollente
di mosto dopo
felice vendemmia:

in attesa del travaso.

Già potata è la vite
per nuova primavera.

 p.  Turoldo              (da “Ultime poesie (1991-1992)” – pag. 73)

sabato 5 novembre 2016

Spesso è l'arroganza e la presunzione che ferma ogni passo ed alza i muri.

La legge fondamentale del servizio è l'umiltà:
non imporre le tue idee,
non avere ambizioni,
servi nell'umiltà.
E accetta anche di essere messo da parte,
se il bene di tutti, ad un certo momento, lo richiede.
Solo,
non incrociare le braccia,
buttati invece nel lavoro
più antipatico e più schivato da tutti,
e non ti salti in mente
di fondare un partito di opposizione!

Se il tuo parroco è possessivo e non lascia fare,
non farne un dramma:
la parrocchia non va a fondo per questo.
Ci sono sempre settori dove qualunque parroco ti lascia piena libertà di azione:
la preghiera, i poveri, i malati, le persone sole ed emarginate.
Basterebbe fossero vivi questi settori e la parrocchia diventerebbe viva.
La preghiera, poi, nessuno te la condiziona e te la può togliere.
Ricordati bene che,
con l'umiltà e la carità,
si può dire qualunque verità in parrocchia.
Spesso è l'arroganza e la presunzione
che ferma ogni passo ed alza i muri.
La mancanza di pazienza,
qualche volta,
crea il rigetto delle migliori iniziative.

Paolo VI, omelia inaugurazione parrocchia N.S. di Lourdes, Roma 23-2-1964

venerdì 4 novembre 2016

Con la semplicità e l'amore

Liberami, Signore,
dalla pigrizia che si agita,
sotto la maschera del fare,
e della mollezza che compie
ciò che non è stato richiesto,
per riuscire a eludere un sacrificio!

Ma donami l'umiltà
nella quale soltanto è il riposo,
e liberami dall'orgoglio
che è il fardello più pesante.

Penetra tutto il mio cuore,
tutta la mia anima,
con la semplicità dell'amore.

 Thomas Merton

giovedì 3 novembre 2016

IL DONO DEL TEMPO…

O Dio,
Signore degli anni e dei giorni,
mi hai donato molto tempo!
Un passato alle mie spalle,
un futuro ancora aperto.

Il tempo era mio e sarà mio,
ma il tempo proviene da te.
Ti ringrazio per ogni istante
scandito dal mio orologio,
per ogni mattino
che vedo al risveglio.

Non ti chiedo di darmi più tempo.
Ti chiedo di rendermi calmo,
disposto a riempire i miei giorni.

Aiutami a riservare
un po' di questo tempo
libero da impegni e da doveri
per meditare in silenzio;
un po' di tempo per lo svago,
un po' per chi aspetta il mio conforto
e lascio spesso ai margini.

Ti chiedo scrupolosità e attenzione
per non sciupare i miei giorni
e rendere vano e morto il tempo.

Ogni ora
è come un piccolo lembo di terra.
Vorrei solcarla con il mio aratro,
gettarvi dentro amore,
pensieri e parole
che portino buon frutto.
Benedici la mia giornata!

( JÖRG ZINK )

mercoledì 2 novembre 2016

Fiori un'altra volta appassiti


La nostra è una leggenda d'infanzia 
non mai finita, che a sera
ognuno narra a se stesso
nel prendere sonno.

Intanto io cerco il Suo volto
nella folta gente che porto in cuore 
e ognora emerge ignota.

Ora al balcone ora alla porta 
guardo se mai un segno giunga 
di una sosta almeno
al perenne camminare.

La notte è fitta di silenzio, 
e non una stella è vicina.

Sola nella cella immensa e i fiori 
ancora una volta appassiti: 
ritarda anche stanotte. Verrà?

(O madre, felice te che sei morta! 
Rammenta quante paure sentivo
per la stanza vuota e buia, la notte.
Ma tu mi parlavi delle Sue grandi braccia 
come di dolcissime ali.)

D'allora ogni sera la stanza adorno 
sposa che ha l'amore lontano
in viaggio di ritorno. D'allora 
dentro lo porto a ricordo
di lontanissimi incontri
non mai avverati.

     P. Turoldo              (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” – pag. 231)

martedì 1 novembre 2016

Ti auguro tempo


Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti,
e non soltanto per guadarlo sull'orologio.
Ti auguro tempo per guardare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita!

( ELLI MICHLER )

lunedì 31 ottobre 2016

paziente fiducia

Confidate, soprattutto, nel lavoro lento di Dio!
Siamo per natura impazienti di concludere
ogni cosa senza ritardi.
Vorremmo saltare le fasi intermedie.
Siamo impazienti di metterci in cammino
verso qualcosa di ignoto, qualcosa di nuovo.
Eppure è la legge di ogni progresso
che esso si compia passando attraverso
alcune fasi di instabilità –
e che possa volerci molto tempo.

E così credo sia anche per voi.
Le vostre idee maturano gradualmente –
lasciatele crescere,
lasciate che si formino, senza fretta eccessiva.
Non cercate di forzarle,
come se pensaste di poter essere oggi
ciò che il tempo
(vale a dire, grazia e circostanze
che agiscono sulla vostra buona volontà)
farà di voi domani.

Solo Dio potrebbe dire che cosa diverrà
questo nuovo spirito
che si sta gradualmente formando in voi.
Date a nostro Signore il beneficio di credere
che sia la sua mano a guidarvi,
e accettate l'ansia di sentirvi
sospesi e incompleti!

( Pierre Teilhard De Chardin, “SJ”, 1881-1955 )

domenica 30 ottobre 2016

di fronte a una personalità eccezionale

“Perche' la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali,
bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni.
Se tale azione è priva di ogni egoismo,
se l'idea che la dirige è di una generosità senza pari,
se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa
e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili,
ci troviamo allora,
senza rischio di errore,
di fronte a una personalità eccezionale”

 da Jean Giono “L'uomo che piantava gli alberi”

sabato 29 ottobre 2016

Amami, tu Signore!

Amami, tu Signore!
Anche se non sono amabile
anche se sono povera
anche se ti amo poco
anche se non lo merito
Quando mi alzo al mattino, piena di velleità
quando mi corico la sera, piena di delusioni
quando lavoro per inerzia
quando mi riposo in maniera alienante
quando prego in un modo dissipato
quando non ho voglia di amarTi
quando presumo di amarTi senza amare gli uomini
quando m'illudo di amare gli uomini senza amare Te
quando temo di amare troppo
quando temo di compromettermi
quando fuggo l'amore
quando nessuno mi ama.

Adriana Zarri

venerdì 28 ottobre 2016

Paure

Paura che altri ci veda dentro
la refurtiva,
forse il delitto pensato,
la fedeltà mai esistita.

Paura di quanto può succedere
da un momento all'altro,
attraversando la strada.

Paura del giorno e della notte:
che l'involucro si rompa
come giocattolo e la maschera
ti cada per via...

        P. Turoldo          (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” – pag. 263)

venerdì 22 luglio 2016

qui nel pieno del petto vuoto,

Io accarezzo il silenzio. 
Il silenzio - che mi spedisci - tu. 
La prontezza della tua assenza la assaporo 
la mancanza - qui nel pieno del petto vuoto,
la sorseggio come un vino difficile, 
te la dono come una mano grande
aperta sotto la pioggia.

Chandra Livia Candiani

giovedì 21 luglio 2016

bisogna proprio smettere di giudicarsi. E' chiaro?


Mi sono spiegata?

E' chiaro ora che nessuno ti offende e che sei tu a farlo ?  
(dividendoti, confrontandoti, attribuendo autorità, incastrandoti in un gioco di potere, immedesimandoti in immagini...)

Insomma, qualcuno dirà o farà una certa cosa, ma sei tu che ti offendi.
 
Ora puoi riconoscere una trappola manipolatoria tremenda: l'autostima.
Quando ci sentiamo male il sistema consigliato dal think positive è di stimarci di più, quello di sostituire il giudizio negativo su di noi con uno positivo. Ti consigliano per esempio di affermare allo specchio "io sono bello, mi accetto, sono un vincente".
 
Ti intrappolano con domande tipo "sei come vuoi essere?", e nel rispondere assumiamo automaticamente i presupposti impliciti: devi essere qualcuno, se vuoi puoi, puoi sapere come sei, puoi cambiarti, essere diversi da come si è è desiderabile, insomma, ci illude della libertà di scegliere come essere mentre ci toglie quella di essere come siamo.

E' un invito ad autoffendersi, a dimostrare di essere come pensiamo di dover essere e intanto che ci alieniamo da quel che siamo.

Che orrore! E' un sistema per prendersi un po' di droga autoprodotta! 
Siamo indotti all'assuefazione e alla dipendenza. 
E saremo complici nel chiedere di manipolarci di più per procurarci una droga che non ci basterà mai.

Per smettere di offendersi non bisogna imparare a giudicarsi meglio o  cambiare il giudizio, bisogna proprio smettere di giudicarsi. E' chiaro?

Emma Rosenberg Colorni

mercoledì 20 luglio 2016

Saper tacere è una saggezza di pochi

Il silenzio per San Giovanni della Croce. "Tacere di sé è umiltà tacere i difetti altrui è carità tacere parole inutili è penitenza tacere a tempo e a luogo è prudenza tacere nel dolore è eroismo. Saper parlare è un vanto di molti Saper tacere è una saggezza di pochi saper ascoltare una generosità di pochissimi. Per possedere il Tutto non possedere nulla di nulla! Quando ti rifugi in qualche cosa cessi di lanciarti nel Tutto. Se vorrai possedere qualcosa del Tutto non hai posto il tuo tesoro nel Tutto!"

martedì 19 luglio 2016

Colmo di parole, tace.


La cella e il libro sono le stanze della solitudine e del silenzio.
Della solitudine, la cella, non casupola di frasche nel deserto, né carcere murato,
ma collocata al centro dell'uomo:
il cuore che mai non dorme,
vigile nell'ascolto,
metafora assoluta dell'abitacolo
e metonimia dell'intera persona umana.
Una cella segreta dove, al dire di Angela da Foligno,
«sta tutto il bene che non è qualche bene;
quel così tutto bene che non è nessun altro bene» (Memoriale, IX, 400). 
Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos dell'oblio, dove la parola giace,
ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita.
Amico discretissimo,
il libro non è petulante,
risponde solo se richiesto,
non urge oltre quando gli si chiede una sosta.
Colmo di parole, tace.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi

lunedì 18 luglio 2016

la sorte della parola ballerina

Incrociarsi senza salutarsi,
stiparsi senza toccarsi,
fissarsi con sguardo fuggitivo,
incontrarsi senza un legame in una solitudine di massa irrequieta,
tale è la sorte della parola ballerina sullo schermo.
Potrà ancora l'anima dimorare nelle stanze della quiete?
E, come Maria,
nel silenzio del fiat mihi
concepire e generare la Parola?
Potrà l'uomo accedere ai percorsi della lectio e dell'oratio
per salire alla vetta della contemplatio? (...)

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi

domenica 17 luglio 2016

lo affonda nello spirito; l'altra ve lo estrae e lo effonde


La scrittura si depone nel silenzio
quanto la lettura,
ma con un moto inverso:
l'una attinge dall'alfabeto il senso
e lo affonda nello spirito;
l'altra ve lo estrae
e lo effonde sulla pagina
tracciandone il sentiero.
È un cammino silenzioso.
L'inchiostro gocciola senza gemere,
la penna scorre sul liscio del foglio senza grattare.
Riempita la pagina, le curve e le aste dei caratteri
disegnano sul bianco del foglio armonici contorni come quelli dei fiori sul piano dell'aiuola a formare un tutt'uno solitario.
Emanano il senso come quelli il profumo. 
È un incanto esiliato dalle macchine scrivane,
con il loro ticchettio oscillante.
Opera delle dita mosse da mani inerti e fisse,
e non dalla mano intera che avanza con passo sincrono col corso della parola,
il testo scritto a macchina esce al mondo
per operazione cesarea
e non per parto naturale.
Tanto più nella nuova rappresentazione elettronica,
che rompe il legame tradizionale fra il supporto e la scrittura,
inseparabili finora. 
La stabilità stessa del testo si dilegua,
 la compattezza si frantuma.
La ricezione dell'ascolto è simultanea alla riproduzione del messaggio senza intervallo di memoria,
le dita non mediano, dominano.
I caratteri non rappresentano più il silenzio eloquente del testo impresso sulla pagina bianca,
ma la loquacità muta della folla metropolitana. 

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi


sabato 16 luglio 2016

Non fa differenza se si svela nella sonorità della pronuncia o nel raccoglimento della scrittura


Dal bulbo della lectio nasce lo stelo della meditatio,
sulla cui cima
si apre il giglio dell'oratio
in forma di parole
ricordate,
ricombinate,
rielaborate,
reinventate,
ricopiate (lo spirito alto e puro copia, il mediocre imita).
Non fa differenza se si svela
nella sonorità della pronuncia
o nel raccoglimento della scrittura,
perché ambedue sono ugualmente figliate dalla memoria.
Anzi la seconda più assomiglia alla madre.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi

venerdì 15 luglio 2016

ristretta all'ambito di un parlare a Dio


Tale è la parola meditata dopo esser stata letta.
Una speculazione che ha attraversato il cristianesimo da Origene a noi
ha collocato al seguito della lectio la meditatio,
e dopo questa l'oratio.
Lì qualificata come divina,
e perciò ristretta all'ambito di un parlare a Dio,
la giuntura vale per ogni discorso umano agganciato alla lettura.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi


giovedì 14 luglio 2016

La morte del seme è la vita della pianta.

Morta
nel silenzio dell'ascolto,
la parola rigermoglia
nel silenzio fervido che l'avvolge.
Assimilata e ricreata attraverso la meditazione,
si delinea come un essere nuovo.
Se il grano non muore non fa frutto.
La morte del seme è la vita della pianta.
E proprio la pianta, unico essere della natura
che sia insieme silenzioso e animato,
si offre a noi come l'immagine più consona di ciò che accompagna le pause dopo la lettura.
Silenziosa e piena di vita, l
a pianta fa uscire dal seno del seme la foglia,
e il fiore che si esibisce in un trionfo di forme e colore,
e il frutto generoso di succhi e dolcezze.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi


mercoledì 13 luglio 2016

Tutta la mente, tutte le facoltà si concentrano

Se la stampa è fedele all'originale dell'autore,
la parola di lui, non pronunciata,
non giace morta sulla pagina.
La scrittura incorpora i suoni e i sensi
come una donna incinta da lui fecondata.
Il lettore ne sente i sobbalzi vitali negli accenti, nei corsi ritmici, nelle rime e assonanze.
Le forme stesse dei caratteri, se correttamente aggraziate,
assecondano la vita silenziosa lì deposta.
Tutta la mente, tutte le facoltà si concentrano
su quell'andirivieni destrorso dell'occhio di rigo in rigo.
 Quando il raccoglimento gli fa cadere il libro di mano,
lo lascia cadere senza rimpianto,
perché al silenzio dell'ascolto è subentrato
in lui il silenzio del ricordo di ciò che ha letto.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi


martedì 12 luglio 2016

libero nelle soste, nei ritorni, nei ripercorsi


L'apice del silenzio di ascolto si ha quando la parola stessa si presenta silenziosa senza perdere alcunché della sua vitalità: nella lettura.
È l'incontro di una parola senza suono con un destinatario senza voce,
in perfetta solitudine.
Il lettore è solitario perché, mentre legge,
crea col libro un rapporto esclusivo.
Due lettori affiancati che leggono ciascuno per conto suo lo stesso libro
sono solidali con esso e non reciprocamente.
Il lettore è silenzioso perché la lettura,
com'è praticata ordinariamente nell'età moderna,
esclude la pronuncia anche mormorata.
Comporta non solo l'ascolto più intenso che si possa immaginare,
ma anche il più libero,
perché non costretto dall'emissione vocale altrui:
libero nelle soste, nei ritorni, nei ripercorsi
e tuttavia totalmente vincolato alla parola così com'è fissata sulla pagina.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi

lunedì 11 luglio 2016

giorno e notte, parola e silenzio i simboli che gli permettevano di definire fatti interiori



Il grembo del silenzio notturno è rotto dal fragore delle macchine.
Costretti a passare una notte in luogo isolato,
 ci si alza irrequieti;
 il silenzio diventa un incubo nel sonno.
Spaventa la pace della montagna, del bosco;
e vi si va con la radio;
spaventa la quiete dell'appartamento,
e la si accende.
Il silenzio infastidisce a tal punto che,
dove sia imposto di tacere,
si crea un rumore.
Se nel corso di un discorso pubblico
o di una liturgia s'impone una pausa di silenzio,
immancabilmente uno si mette a tossire,
una fa scricchiolare il banco,
uno sfoglia le carte sottomano,
una apre la borsetta.
L'uomo aveva tratto dall'alternanza
di giorno e notte,
parola e silenzio
i simboli che gli permettevano di definire fatti interiori;
oggi non agiscono più.
La nostra esistenza si è impoverita
per non sapere tradurre in figure interiori quelle esperienze primordiali.

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi

domenica 10 luglio 2016

Poca distanza bastava per sottrarsi al fastidio d'un ascolto indesiderato


Caduto il contrasto, cade anche l'intermittenza di luce e oscurità.
Questa non interrompe l'attività dell'uomo, non lo prepara al sonno.
L'alternanza di giorno e notte, connaturale alla vita, si è attenuata.
Tale e quale la corrispettiva di parole e silenzio.
Viviamo in un'epoca in cui il silenzio è stato bandito.
Il mondo è oppresso da una pesante cappa
di parole, suoni e rumori.
Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio
perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini.
Oggi manderebbero ben altro che diluvi.
Una volta si percepivano solo le parole del vicino.
Poca distanza bastava per sottrarsi al fastidio d'un ascolto indesiderato;
oggi ci arrivano le parole dagli antipodi. 

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi


sabato 9 luglio 2016

il luogo del silenzio assoluto, il firmamento

L'oscurità è tanto lontana dalla nostra esperienza giornaliera quanto il silenzio.
Una volta, per illuminare, ci volevano gesti non ovvi, non facili;
oggi basta uno scatto.
Veniva una luce debole e tremula,
oggi fissa e invadente.
Di notte, non solo le città sono un agglomerato di bagliori,
ma anche i luoghi solitari sono trapunti di luci che disegnano strade e case.
Anche il luogo del silenzio assoluto, il firmamento,
è velato dalla coltre di luce artificiale che annuvola il cielo stellato.
Ci appariva come la più armonica unione di opposti:
quanto più colpiva l'occhio con l'acutezza dello scintillare,
tanto più si straniava dall'orecchio con l'arcano d'un assoluto tacere.

Tacet. Elogio del buon tacere
 di Giovanni Pozzi

venerdì 8 luglio 2016

si ascolta pienamente quando tutto tace intorno a noi e dentro di noi


È l'analogo della musica. 
La si ascolta pienamente quando tutto tace intorno a noi e dentro di noi. 
Modo più perfetto, a occhi chiusi. 
Guardare l'orchestra o il pianista, 
osservare il sincronismo tra l'agitarsi del maestro, 
il va e vieni degli archi e la curva della melodia, 
rispettivamente fra il rituale muoversi del busto, 
lo scorrere delle mani sulla tastiera 
e la cascata delle note, 
amplifica la partecipazione allo spettacolo, 
ma smorza l'incanto dei suoni. 
Ce l'offre intiero l'organo quando canta in chiesa. 
Lo si ascolta 
senza nulla vedere di ciò che produce il suono. 
Esce da un grembo oscuro e, 
nell'immobile oscurità delle volte, 
ci avvolge come un sudario. 

Tacet. Elogio del buon tacere 
di Giovanni Pozzi

giovedì 7 luglio 2016

un atteggiamento tutto rivolto ad accogliere la parola altrui


Per ascoltare occorre tacere. 
Non soltanto attenersi a un silenzio fisico che non interrompa il discorso altrui 
(o se lo interrompe, lo faccia per rimettersi a un successivo ascolto), 
ma a un silenzio interiore, 
ossia un atteggiamento tutto rivolto ad accogliere la parola altrui. 
Bisogna 
far tacere 
il lavorio del proprio pensiero, 
sedare 
l'irrequietezza del cuore, 
il tumulto dei fastidi, 
ogni sorta di distrazioni. 
Nulla come l'ascolto, 
il vero ascolto, 
ci può far capire la correlazione fra il silenzio e la parola.

Elogio del buon tacere 
di Giovanni Pozzi

mercoledì 6 luglio 2016

Gradini


Come ogni fior languisce e
giovinezza cede a vecchiaia,
anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce,
insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore
sia pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia
che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
senza fermare in alcun d'essi il piede,
lo spirto universal non vuol legarci,
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
sol chi è disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.
Forse il momento stesso della morte
ci farà andare incontro a nuovi spazi:
della vita il richiamo non ha fine....
Su, cuore mio, congedati e guarisci.
(Herman Hesse)

martedì 5 luglio 2016

IL Femminile

Il femminile è la capacità di abbandono e di tenerezza, l’accettazione del diverso, del debole, dello straniero.
È l'energia che guida il mondo. È il sentimento dolce e rutilante, erotico e avvampante che sussurra alle creature il mistero della vita.
È la Luna, è Artemide, è Persefone, Iside, Ishtar, è la madre che osserva, riflette, ama e non giudica.
È la nostra capacità di intendere e di comprendere, priva di pregiudizi e di rancori.
È l’energia raggiante che si dispiega benevola sulle creature.
È la possibilità di un mondo privo di lotte e odi. È la pace della mente e del corpo.
È la follia, la conoscenza, è contemporaneamente luce e buio, notte e giorno.
G. La Porta in Il ritorno della Grande Madre

lunedì 7 marzo 2016

«Ogni traguardo raggiunto non è mai abbastanza [...] c’è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno».
D. F. Wallace, Come diventare se stessi

venerdì 4 marzo 2016

«Le prediche progressiste hanno provocato una tale perversione che più nessuno crede di essere quel che è, ma quel che non è riuscito ad essere».
«Per essere protagonisti nel teatro della vita è sufficiente essere un perfetto attore, qualunque sia il ruolo interpretato. La vita non ha ruoli secondari, solo attori secondari».
N. Gómez Dávila, Escolios

giovedì 3 marzo 2016

Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!

«Ma se è tutto qui il male!
Nelle parole!
Abbiamo tutti dentro un mondo di cose;
ciascuno un suo mondo di cose!
E come possiamo intenderci, signore,
se nelle parole ch’io dico metto
il senso e il valore delle cose
come sono dentro di me;
mentre chi le ascolta,
inevitabilmente le assume
col senso e col valore
che hanno per sé,
del mondo com’egli l’ha dentro?
Crediamo d’intenderci;
non c’intendiamo mai!»

(Luigi Pirandello – Sei personaggi in cerca d’autore ).