domenica 17 luglio 2016

lo affonda nello spirito; l'altra ve lo estrae e lo effonde


La scrittura si depone nel silenzio
quanto la lettura,
ma con un moto inverso:
l'una attinge dall'alfabeto il senso
e lo affonda nello spirito;
l'altra ve lo estrae
e lo effonde sulla pagina
tracciandone il sentiero.
È un cammino silenzioso.
L'inchiostro gocciola senza gemere,
la penna scorre sul liscio del foglio senza grattare.
Riempita la pagina, le curve e le aste dei caratteri
disegnano sul bianco del foglio armonici contorni come quelli dei fiori sul piano dell'aiuola a formare un tutt'uno solitario.
Emanano il senso come quelli il profumo. 
È un incanto esiliato dalle macchine scrivane,
con il loro ticchettio oscillante.
Opera delle dita mosse da mani inerti e fisse,
e non dalla mano intera che avanza con passo sincrono col corso della parola,
il testo scritto a macchina esce al mondo
per operazione cesarea
e non per parto naturale.
Tanto più nella nuova rappresentazione elettronica,
che rompe il legame tradizionale fra il supporto e la scrittura,
inseparabili finora. 
La stabilità stessa del testo si dilegua,
 la compattezza si frantuma.
La ricezione dell'ascolto è simultanea alla riproduzione del messaggio senza intervallo di memoria,
le dita non mediano, dominano.
I caratteri non rappresentano più il silenzio eloquente del testo impresso sulla pagina bianca,
ma la loquacità muta della folla metropolitana. 

Tacet. Elogio del buon tacere
di Giovanni Pozzi


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