sabato 19 marzo 2011

calza sempre alla perfezione al mio caso

Come spesso mi accade di fare, apro a caso la Bibbia, e leggo il primo versetto che mi capita sotto gli occhi, per consultare quello che potrei chiamare lo spirito del mio destino: egli è il portavoce imparziale e spietato del parere di Dio. Naturalmente non sbaglia mai. Qualsiasi versetto io legga calza sempre alla perfezione al mio caso, con una precisione che mi agghiaccia.
(Pier Paolo Pasolini)

Vorrei sapere...

"Vorrei sapere - disse all'improvviso Denise - come le è passato per la testa di regalarmi quei libri. Non ci conosciamo, lei viene nel mio palazzo e lascia di nascosto due libri nella buchetta delle lettere. E poi, mi segue dappertutto, nel metro, per strada, nelle librerie, persino al lavoro. Crede che non me ne sia accorta? Mi aspetta sotto casa. Cosa vuole esattamente?" 
(Jean-Pierre Gattégno-Per molto tempo sono andato a letto presto) 

dentro un mondo di cose

"Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sè, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo d'intenderci; non c'intendiamo mai!"

(L.Pirandello - 6 personaggi in cerca d'autore)

venerdì 18 marzo 2011

si pensa con le proprie mani


La mano della mente, la manus cogitans, non solo raccoglie, ma neppure lascia a riposo ciò che ha raccolto, anzi lo agita, lo rimuove incessantemente. Come la mano che sbatte insieme farina e acqua per fare il pane. O come la mano che passa la spola che trascina la trama avanti e indietro, al telaio, tra i fili dell'ordito. Come le mani che alzano e abbassano i remi, immergendoli nell'acqua e spostandoli indietro, su e giù, dentro e fuori. Come la mano che solleva ritmicamente il martello per abbatterlo sull'incudine. Grazie all'azione delle mani del corpo e delle mani della mente, in tutti questi processi un materiale inerte (farina, acqua, filo di lana o di lino, ferro rovente, pensieri accesi, idee bollenti, intuizioni luminose) viene modellato e usato in forme attive. Di solito, scrive Rosi Braidotti «si pensa con le proprie mani».
Francesca Rigotti - La filosofia delle piccole cose

giovedì 17 marzo 2011

occorre saper semplificare, ridurre all'essenziale


Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere. Poi occorre saper semplificare, ridurre all'essenziale l'enorme numero d'elementi che ad ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti sparsi in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma d'una macchina, dal quale si possa capire come funziona...
(Italo Calvino)

Dio deve avere la prima Parola

Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola, 
perché i nostri pensieri sono già rivolti alla Parola.
Facciamo silenzio dopo l’ascolto della Parola, 
perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi.
Facciamo silenzio la mattina presto, 

perché Dio deve avere la prima Parola. 
Facciamo silenzio prima di coricarci, 
perché l’ultima Parola appartiene a Dio 
Facciamo silenzio solo per amore della Parola.

D. Bonhoeffer

la disponibilità a rischiare nel nome del Signore

(Est 4,1.3-5.12-14)
Non ho altro soccorso fuori di te, o Signore.
Dal libro di Ester
In quei giorni, la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un'angoscia mortale. Si prostrò a terra con le sue ancelle da mattina a sera e disse

«Tu sei benedetto, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all'infuori di te, o Signore, perché un grande pericolo mi sovrasta.
Io ho sentito dai libri dei miei antenati, Signore, che tu liberi fino all'ultimo tutti coloro che compiono la tua volontà. Ora, Signore, mio Dio, aiuta me che sono sola e non ho nessuno all'infuori di te.
Vieni in soccorso a me, che sono orfana, e poni sulle mie labbra una parola opportuna davanti al leone, e rendimi gradita a lui. Volgi il suo cuore all'odio contro chi ci combatte, a rovina sua e di quanti sono d'accordo con lui. Quanto a noi, liberaci dalla mano dei nostri nemici, volgi il nostro lutto in gioia e le nostre sofferenze in salvezza
».
La preghiera di Ester contiene degli elementi fondamentali anche in relazione al modo in cui è opportuno pregare.
Dopo avere elevato a Dio la preghiera di lode, Ester avanza la sua richiesta.
La preghiera si presenta nelle parole di Ester come un cammino graduale di maturazione spirituale. La capacità di pregare autenticamente, come la possibilità di raggiungere certe profondità di dialogo col Signore, non deriva da una tecnica, o da una metodologia appresa, bensì da un cammino graduale, durante il quale la persona entra in un’intimità sempre più profonda con lo Spirito di Dio, come del resto avviene in ogni relazione anche a livello umano; con il tempo e con la condivisione dell’esperienza, ogni rapporto personale si intensifica e si approfondisce.
Il riferimento di Ester alla sua infanzia non è casuale.
In età adulta Ester è capace di affidare a Dio le sue problematiche personali, è capace di esprimere una preghiera di lode e di richiesta; e una tale preghiera, come si vede nel seguito del racconto, sortisce infallibilmente i suoi effetti benefici su un intero popolo.
Soprattutto ciò che viene seminato nell’infanzia, torna in superficie nei momenti più difficili della vita adulta. La preghiera di Ester termina riconoscendo la signoria assoluta di Dio e la sua conoscenza di tutto ciò che è nascosto; segue poi la richiesta del suo intervento in favore di Israele, intervento che Dio compirà attraverso la persona stessa di Ester.
L’orante deve perciò sapere che la preghiera di intercessione, esige un contributo personale da parte di colui che prega, un contributo di lotta e di rischio personale, un contributo di disponibilità a essere strumenti dell’opera di Dio, pagando eventualmente di persona. Ester dimostra di avere anche questa seconda caratteristica dell’orante: la disponibilità a rischiare nel nome del Signore. Alla domanda su dove possa trovarsi un tale coraggio, si risponde dicendo che il coraggio di servire Dio si attinge dalla preghiera stessa. La preghiera è infatti un modo di attingere forza nel Signore (cfr. Ef 6,10; 2 Tm 2,1). 
Quel Dio che Ester percepisce come onnipotente, come preveniente, come Colui che tutto conosce e tutto domina, ma è innanzitutto il nostro Padre.
Il cuore di Dio, infinitamente perfetto e sensibile di una sensibilità soprannaturale, si intenerisce alla richiesta dell’uomo che si avvicina a Lui con quella stessa fiducia dei bambini.
La preghiera cristiana assume a questo punto il suo significato più profondo: l’esperienza interiore di sentirsi “figli di Dio”, conduce il cuore umano verso la fiducia illimitata della preghiera.
http://www.cristomaestro.it/lectio_liturgica/tempi_forti/quaresima/giovedi_quaresima.htm



mercoledì 16 marzo 2011

è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello

Studiando san Giovanni della Croce «possiamo capire che il cammino con Cristo, l’andare con Cristo, “la Via”, non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un’opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare». Da questo punto di vista, l’insegnamento principale di san Giovanni della Croce è che la santità non è riservata a pochi eletti destinati agli altari, ma «è la vocazione di noi tutti».
16-02-2011

Proseguendo nelle sue catechesi sui santi del Cinquecento, Benedetto XVI ha presentato all’udienza generale del 16 febbraio la figura di san Giovanni della Croce (1542-1591), il Doctor mysticus.

bandiera

bandiera italiana
“A tutti gli ignari: se potete parlare male di questa bandiera è perché, prima di voi, qualcuno difendendola ve ne ha dato il diritto”

M.Proust:
«il vero viaggio di scoperta non consiste nel vedere nuovi mondi ma nell’avere nuovi “occhi”»
da “Lettera sulla tolleranza” di Voltaire che suona come una preghiera:
«Tu ,o Dio
non ci hai dato un cuore
perchè ci odiassimo.
Fa che ci aiutiamo l’un l’altro
che le piccole diversità
tra i nostri vestiti,le lingue,gli usi
tra tutte le nostre leggi imperfette,
così diverse l’un dall’altre
e così uguali davanti a te
non siano segnali di odio
e di persecuzioni»
APRITEVI AL MONDO… preparatevi a conquistarlo, esplorandolo in ogni suo aspetto e da ogni sua angolazione… e traete da esso il meglio perchè esso possa divenire davvero un posto migliore…
«Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi voltate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite…»(M.Twain)

La volontà al suo livello più basso

Ti sei mai imbattuto nella parola velleità? 
Possiede una bella eco tomistica. La volontà al suo livello più basso. Una piccola cosa, un desiderio, una tendenza. Se hai una volontà debole, finisci per vivere nelle pieghe più superficiali delle tue preoccupazioni. 
Underworld, Don DeLillo

quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sè

4. Nel suo testo M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, propone sette regole per esprimere completamente l’arte di ascoltare:
1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca,
2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista,
3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva,
4.Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico,
5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze,
6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione interpersonale. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti,
7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica.
Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sè.

neanche nella necessità ha chiesto mai un briciola – a me.

La speranza è un essere piumato che si posa sull’anima, canta melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l’armonia, e solo una tempesta violentissima potrebbe sconcertare l’uccellino che ha consolato tanti.
L’ho ascoltato nella terra più fredda e sui più strani mari.
Eppure neanche nella necessità ha chiesto mai un briciola – a me.
(E. Dickinson – Poesie)

martedì 15 marzo 2011

nella comunione impariamo a essere soli


“Conosco due specie di solitudine: l’una che mi rende triste da morire e mi dà la sensazione di essere persa, senza direzione; l’altra, al contrario, mi rende forte e felice. La prima deriva dal fatto che ho l’impressione di non aver più contatto con i miei simili, di essere totalmente separata da ciascuno di loro e da me stessa, al punto da non capire più che senso può avere la vita, mi sembra che non abbia più coerenza e che io non vi trovi il mio posto. Ma l’esperienza di un’altra solitudine mi rende forte e sicura di me stessa, mi sento in comunione con tutti, con tutto e con Dio, mi sento inserita in un grande condividere anche con altri questa grande forza che è in me (Etty Hillesum).
Spesso vediamo solitudine e comunione come antagoniste e cerchiamo la seconda per scappare dalla prima mentre, in realtà, si tratta di accettare una dimensione di solitudine costitutiva del nostro essere umani per accedere alla vera comunione con gli altri: “Chi non sa stare da solo, si guardi dal cercare la comunione. Ma viceversa è vero anche che chi non si trova in comunione si guardi dallo stare solo.
Esclusivamente nella comunione riusciamo a essere soli ed esclusivamente chi è solo è in grado di vivere nella comunione. Sono due cose interdipendenti. Esclusivamente nella comunione impariamo a essere soli nel modo giusto ed esclusivamente nella solitudine impariamo a essere nella comunione in modo giusto.
Non si ha la precedenza di una condizione sull’altra, ma esse si determinano contemporaneamente con la chiamata di Cristo (Dietrich Bonhoeffer). Si tratta di scoprire che si può essere in comunione nella più grande solitudine e nella più intensa comunione scoprire uno spazio di solitudine che custodisce noi e l’altro da ogni assorbimento e fusionalità, che ci fa essere con noi stessi.
fonte: Monastero di Bose

lunedì 14 marzo 2011

il dono che più ci manca

«Per quanto saremo pazienti con te
mai lo saremo quanto tu lo sei con noi,
o Signore:
e allora torniamo come l'uomo dei campi
di un tempo
che seminava
e poi attendeva il giro delle stagioni,
l'avvicendarsi delle piogge e del sole:
così, attenderemo pur noi
i segni della tua venuta.
Signore, è la pazienza forse il dono
che più ci manca:
pazienza davanti ai tuoi silenzi,
pazienza enza per le tue assenze e i tuoi ritardi,
per le moltissime cose che non capiamo:
Signore, fa' che non perdiamo
anche la poca pazienza che resiste.
E anche tu non perdere la pazienza con noi..
tu sei un Dio che pena per l'uomo, come nessuno.
Tu hai detto: nella vostra pazienza
possederete le vostre vite:
sia così, Signore».

(David Maria Turoldo).

riconoscere il Messia in mezzo a tutti i poveri

Un racconto ebraico dice che un giorno chiesero al profeta Elia: «Come facciamo a sapere che il Messia è arrivato?» E il profeta Elia rispose: «Andate alle porte della città e li lo troverete». Infatti alle porte della città si ammassavano i poveri, i ciechi, gli zoppi, a chiedere l’elemosina.
«Ma come si potrà riconoscere il Messia in mezzo a tutti i poveri?», rispose sempre il profeta: «Mentre tutti quei disgraziati si tolgono tutte le loro bende per lavarle e poi rimettersele, il Messia è l’unico che non si toglie tutte le bende insieme, ma toglie una benda per volta». «Dove sta la differenza?». «La differenza è che il Messia facendo così è sempre pronto ad aiutare chiunque abbia bisogno».


La compassione sembra essere un sentimento irrazionale, incontrollabile e per questo non gode di buona reputazione nel modo di sentire comune.
Non è forse vero che per indicare qualcuno che non è all’altezza delle aspettative diciamo che è uno “da compatire”, e che quel fatto o quella situazione “facevano pietà”, che quella esperienza faceva compassione?!
Forse anche perché quotidianamente siamo sottoposti ad un eccessivo carico di stimolo delle emozioni più superficiali e in qualche modo ci difendiamo erigendo delle barriere come l’indifferenza.
La questione è seria perché anche le emozioni più profonde rischiano di essere così travolte dal cinismo e dalla fretta. Perché fanno “perdere tempo”, non sono produttive, interrompono quella macchina micidiale per cui bisogna “realizzare”, senza fermarsi a riflettere.
«Le emozioni, scrive lo psichiatra Eugenio Borgna, invece sono anche portatrici di conoscenza: di una conoscenza che ci trascina nel cuore di esperienze di vita irraggiungibili dalla conoscenza razionale».
Una conoscenza che oggi ci fa domandare: Perché non siamo tra quelli che ad Haiti, in Giappone o nei paesi dell'Africa hanno perduto tutto? Perché i nostri figli e nipoti non sono i bambini somali o afgani perennemente in guerra?
Noi siamo loro. Questa è la risposta, questa è la compassione.

Il perdono diventa così la parola divina in ambito umano

Il mio cuore anela alla soddisfazione, alla comunione totale.  Ma tutti gli esseri... hanno un limite rispetto al livello di amore e di accettazione a cui tutti aneliamo. Ma quando vogliamo tanto, ottenendolo solo in parte, dobbiamo continuare a perdonare le persone perchè non ci hanno dato quello che vogliamo. Così io perdono te perchè puoi amarmi in modo soltanto limitato, perdono mia madre perchè non è quella che vorrei, perdono mio padre perchè fa solo del suo meglio. Questo ha una grande importanza proprio adesso perchè le persone tendono continuamente a biasimare i loro genitori, i loro amici e la chiesa perchè non danno loro ciò che vorrebbero.
Molti sono pieni di risentimento, non possono perdonare che le persone manifestino in modo così limitato un amore illimitato.
L'amore di Dio è senza limiti; il nostro amore no.
Qualsiasi relazione tu stabilisca -nella comunione, nell'amicizia, nel matrimonio, nella comunità, nella chiesa- sarà sempre esposta alla frustrazione e alla delusione. Il perdono diventa così la parola divina in ambito umano.
 La comunità non è possibile senza disponibilità a perdonare l'altro settanta volte sette. Il perdono è il cemento della vita comunitaria. Il perdono ci fa restare uniti nei momenti buoni e in quelli cattivi e ci fa crescere nell'amore reciproco.
La direzione spirituale, Nouwen- cap. Nella comunità è necessario il perdono

domenica 13 marzo 2011

Pazienze

La passione, la nostra passione, sì, noi l'attendiamo.
Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l'ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati.
Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così dobbiamo essere separati.
Come un giovane animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi.
La passione, noi l'attendiamo. Noi l'attendiamo, ed essa non viene.
Vengono, invece, le pazienze.

Le pazienze, 
queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria.
Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
è l'autobus che passa affollato,
il latte che trabocca,
gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gl'invitati che nostro marito porta in casa e quell'amico che, proprio lui, non viene;
è il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più;
è la voglia di tacere e il dover parlare,
è la voglia di parlare e la necessità di tacere;
è voler uscire quando si è chiusi,
è rimanere in casa quando bisogna uscire;
è il marito al quale vorremmo appoggiarci e che diventa il più fragile dei bambini;
è il disgusto della nostra parte quotidiana,
è il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.

E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando -per dare la nostra vita- un'occasione che ne valga la pena.
Perchè abbiamo dimenticato che come ci sono i rami che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perchè abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l'indossano.
Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all'altro della vita.
E' la passione delle pazienze.
Madeleine Delbrel

La rinuncia rende acuto lo sguardo


A me che ogni anno non riesce di fare non dirò il digiuno, ma nemmeno l'astinenza, con i panini secolarizzanti di tutti i bar nei dintorni della redazione e, prima che andasse a cucinare per il Padreterno, i manicaretti di mia suocera e i suoi sacrosanti ricatti affettivi («le ho fatto le polpette, non le piacciono più?») a congiurare contro i miei virtuosi propositi; a me che ho fallito anche quando ho provato ad astenermi dalla televisione («ma proprio quest'anno che al venerdì c'è Zelig!») o da Internet invece che dalle carni, o dal parlare troppo (e allora in casa o al lavoro montava subito qualche discussione nella quale tacere proprio non potevo); a me che alle adorazioni eucaristiche dopo cena mi addormento come un sasso, e che ringrazio Dio perché non smette di offrirmi occasioni per qualche infimo gesto di carità, perché se aspetta che me le vada a cercare io campa cavallo... a me cristiano minimo, del suo editoriale è piaciuto tutto, ma di più l'idea che «la Quaresima, oggi, è anche rito dell'ironia: che sorride in faccia ai gufi della fine della storia», e che le vere facce quaresimali non sono le nostre, ma quelle «impresse sulle maschere del godimento», sulla «obesità delle nostre abitudini pigre e insaziabili» che ci rende insensibili a tutto, sul nostro tono di voce «perennemente alterato, il nostro gesto isterico», il naso «spiaccicato sul cellulare, non vediamo più niente», non sentiamo più niente.
Invece, dice Sequeri, «il digiuno affila la mente. La rinuncia rende acuto lo sguardo. L'esercizio dello spirito ingentilisce il gesto. L'eleganza del distacco ridona sensibilità all'essenziale. La silenziosa lotta con il male rende affidabili. Il credente transita così, con gesto sobrio e discreto, attraverso le anime flaccide e sepolcrali delle nuove divinità d'Occidente. Impara ad abitare coraggiosamente la disperazione della vita che vive per niente. Insegna a morire per qualcosa di enorme che riguarda tutti. Segna la soglia del mistero. E ci rende capaci di varcarla. Perché la generazione che viene esca dall'incantamento che l'istupidisce preventivamente: a caro prezzo. E ritorni sveglia per l'attrazione della vita che sta oltre la barriera. Deve finire questo paese dei balocchi: e deve ritornare, infine, il senso della vita come storia. Altroché, se deve». http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=354
Il mio viaggio verso Pasqua è incominciato.
Ho fatto tanti propositi:
rinuncerò a qualcosa,
frenerò la lingua,
sarò più paziente,
cercherò di vedere il positivo...
Ed ecco che già iniziano i problemi,
le difficoltà, le stanchezze,
la tentazione di lasciar perdere,
di rimandare al giorno dopo,
di dimenticare la mia promessa...
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
e sono già stufo e sbuffo.
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
ma non ci credo che ce la farò...
E provo vergogna... e anche un po' di rabbia...
Ma forse... ho sbagliato tutto.
Sì...
Ho sbagliato a pensare
che il cammino verso Pasqua,
significhi solo una serie di impegni e di rinunce,
una moltiplicazione di sacrifici e di preghiere...
Forse, in questa Quaresima,
dovrei solo abbandonarmi a te,
lasciarmi andare a te così come sono:
fragile, incapace, limitato, peccatore.
Abbandonarmi a te, perché
tu, Signore, sei il cammino che percorro.
Tu, Signore, sei la mano che mi guida.
Tu, Signore, sei lo sguardo che mi fa percepire gli altri.
Tu, Signore, sei la bocca quando ti do testimonianza.
Tu, Signore, sei l'orecchio, che ascolta le parole non dette.
Tu, Signore, sei la strada di questa Quaresima
che mi porta incontro a te,
che mi porta incontro agli altri.
Amen
. http://paroledivita.myblog.it/