sabato 30 marzo 2013

le nebbie si diradano



Vita in te ci credo
le nebbie si diradano
e oramai ti vedo
non è stato facile
uscire da un passato che mi ha lavato l’anima
fino quasi a renderla un po’ sdrucita


Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano
ma la sofferenza tocca il limite e cosi cancella tutto
e rinasce un fiore sopra un fatto brutto

(Lucio Dalla)

venerdì 29 marzo 2013

Si diventa ciò che si ama


"Nella storia di ogni uomo c'è un'ora solenne
in cui si prende la grande decisione
che determina tutto il corso della vita:
o verso la terra, o verso il Cielo,
o guardare al mondo, o guardare a Dio.
Si diventa ciò che si ama:
Ami la terra? Sei terra.
Ami il cielo? Sei cielo!"
 
(S. Agostino)

giovedì 28 marzo 2013

trovare una relazione tra le cose che sembrano incompatibili

Virginia Woolf 
Prendi il coraggio a due mani,
esercita tutta la tua vigilanza ,
convoca tutti i doni che la natura ha voluto darti. 
E poi lascia che 
il tuo senso del ritmo si insinui tutto intorno 
agli uomini e alle donne,
agli autobus e ai passeri,
qualunque cosa tu veda per strada,
finchè riuscirai a legarli tutti in un insieme armonico .
Questo è forse il tuo compito:
trovare una relazione tra le cose che sembrano incompatibili, 
eppure hanno una affinità misteriosa,
assorbire ogni esperienza senza paura e saturarla 
completamente,affinchè la tua poesia 
sia un tutto invece che un frammento .

mercoledì 27 marzo 2013

indietreggiamo di fronte al rischio di andare contro corrente

A volte ci nascondiamo dietro alla complessità dei problemi che diciamo sono più grandi di noi, ma in realtà quello che rifiutiamo è l'inizio di un nuovo percorso, temiamo di lasciare le nostre abitudini, le nostre sicurezze e indietreggiamo di fronte al rischio di andare contro corrente. Meglio rimanercene a guardare dall'esterno senza coinvolgerci troppo, meglio aspettare che qualcuno pensi per noi: davvero tutto sembra "troppo complicato".
Vincere la nostra pigrizia vorrebbe dire ribaltare i luoghi comuni, le parole già dette, le frasi fatte.
Vincere la nostra pigrizia vorrebbe dire non aver paura di sentirsi "fuori", come capitava forse a chi frequentava o difendeva troppo i neri in Sudafrica.
Vincere la nostra pigrizia vorrebbe dire non solo "informarsi", ma a mettersi al posto dell'altro, imparare ad affrontare la realtà senza pensare che nulla è possibile.
Vincere la nostra pigrizia vuol dire operare il cambiamento prima di tutto dentro di noi per imparare a guardare con occhi privi di pregiudizi o schemi mentali.
Vincere la nostra pigrizia forse vuol dire non aspettare i grandi gesti, quelli eclatanti, ma accontentarci di quel poco che è nelle nostre concrete possibilità, quelli fatti lontano dagli appalusi.
Vincere la nostra pigrizia può voler dire sentirci responsabili e cambiare anche piccoli comportamenti un giorno dopo l'altro.
Dice Benasayag che alla domanda "che fare?" si può rispondere soltanto: "Qual è il mio prossimo piccolo passo?". "Bisogna smettere di concepire l'impegno come un proposito per l'anno nuovo, una risoluzione di completo cambiamento (...) E' sempre in nome del grande impegno che avrò domani per la libertà che volto le spalle a un modo di vita che costruisce a poco a poco dei divenire di liberazione". La lotta contro la pigrizia passa attraverso un'interrogativo: "qual è la nostra posizione rispetto al richiamo che costituisce il fondamento nella nostra situazione?"
Emilia de Rienzo

martedì 26 marzo 2013

D'improvviso lo spettacolo assumerà un nuovo volto

Poniamo che un tizio volesse strappare la maschera a degli attori che sostengono la loro parte su di un palcoscenico e rivelare agli spettatori le loro facce vere e reali. Non guasterà costui tutta la finzione scenica e non meriterà d'esser preso per matto furioso e cacciato dal teatro a sassate? D'improvviso lo spettacolo assumerà un nuovo volto: prima c'era una donna, ora c'è un uomo, prima un vecchio, ora un giovane; chi era re, d'un colpo è divenuto una canaglia e chi era un dio, lì per li ci appare un omiciattolo. Ma togliere l'illusione significa mandare a monte tutto quanto il dramma, poiché proprio l'inganno della finzione scenica incanta l'occhio dello spettatore. Orbene! Che cos'è la vita dell'uomo, se non una commedia, in cui ognuno va coperto d'una maschera sua particolare e ognuno recita la sua parte, sinché il regista lo allontana dalla scena? Sempre il regista affida al medesimo attore il compito ora di mettersi addosso la porpora regale e ora gli stracci d'un miserabile schiavo. Dunque sul palcoscenico tutto è posticcio, ma la commedia della vita non si svolge in un modo diverso".
Erasmo da Rotterdam

lunedì 25 marzo 2013

chi va a servizio nella vigna del Signore avendo cura dei propri fratelli non va in cerca di nessun guadagno

"Servo è la parola che traduce il termine greco che significa anche 'schiavo'.
Indica qui non tanto uno che non è libero, piuttosto uno che sa chi è il suo padrone, perché appartenere significa avere una identità, quella del padrone. Appartenere al Signore è una dignità, perché il lavorare per Lui ci fa fare il suo stesso lavoro: Lui seminatore ci fa arare, Lui pastore ci fa pascolare, Lui servo, ci fa servire, Lui risorto ci fa risorgere.
Dal desiderio di essere simile al Signore proviene il fondamento della vita cristiana e della vita religiosa strutturata sui voti: l'obbedienza è il servizio di un servo chiamato ad essere simile al suo Signore obbediente e glorioso.
Il superiore è un servo che ha cura della vigna del Signore, simbolo del popolo eletto, ha cura dei fratelli pascolando la comunità.
Quale merito può vantare questo servo per un simile servizio? Quale ricompensa può desiderare?
Non gli appartengono né la vigna, né i fratelli. Tutto è del Padre che associa il Figlio alla sua volontà di salvezza, e chiama gli uomini ad entrare nella logica dell'amore che salva.
Si può così capire meglio il significato di "servo inutile". La parola greca suggerisce un senso più complesso di quello che evoca l'italiano. In greco 'inutile' significa 'senza utile', cioè senza profitto, senza guadagno. Il significato teologico che emerge è ricco: chi va a servizio nella vigna del Signore avendo cura dei propri fratelli non va in cerca di nessun guadagno".
Michelina Tenace, Custodi della sapienza. Il servizio dei superiori, 131

domenica 24 marzo 2013

Ogni esperienza autentica del desiderio mi mette all'incirca in questa situazione: non posso soddisfare da solo il mio desiderio senza snaturarlo o degradarlo.


"Il desiderio ritrova le sue radici profonde nella reciprocità. Noi desideriamo essere desiderati e assaporiamo il desiderio degli altri per noi. Proviamo piacere quando l'altro trova piacere in noi. Per questo corriamo il rischio immenso di lasciare che l'altro ci veda in tutta la nostra vulnerabilità, consegnandoci nelle sue mani. Rowan Williams l'ha espresso in modo mirabile:
«In modo cruciale nella relazione sessuale io non sono più affidato a me stesso. Ogni esperienza autentica del desiderio mi mette all'incirca in questa situazione: non posso soddisfare da solo il mio desiderio senza snaturarlo o degradarlo. Questo manifesta in modo eminente che l'io non può cavarsela da solo. Perché il mio corpo sia una sorgente di gioia, mi permetta di stare in pace con me stesso, deve essere riconosciuto, accettato, valorizzato da qualcun altro. Questo significa: dipendere dalla creazione della gioia nell'altro, perché solo quando è orientato al godimento e alla felicità dell'altro il mio corpo può essere amato senza riserve. Desiderare la mia gioia è desiderare la gioia di quell'altro che io desidero. Quando cerco il godimento nel corpo dell'altro io tendo a far sì che il mio corpo sia fonte di godimento. Noi proviamo piacere quando doniamo piacere».
L'Ultima Cena è un invito a condividere l'immensa vulnerabilità di Gesù quando egli si consegna nelle mani dei discepoli. Questa vulnerabilità rimane per sempre. Quando Gesù risorge dai morti mostra le ferite delle sue mani e del costato: egli sarà ormai per sempre il Cristo ferito e risuscitato. Abbiamo il coraggio di imparare a essere così vulnerabili all'altro? Il coraggio di rischiare di essere feriti da quelli che amiamo?".
Timothy Radcliffe, Amare nella libertà, 65-66