sabato 18 gennaio 2014

Noi sentiamo - in qualche momento come una fitta dell'animo - che il nostro vivere consiste proprio nell'avere tempo, e non averne più significa morire.


Non è la mancanza di tempo in quanto tale che ci assedia e ci inquieta,
e neppure la molteplicità degli impegni
che sembrano gravare su di noi o la complessità dei problemi da risolvere.
E' piuttosto la percezione del fatto
che il senso della nostra esistenza dipende strettamente dal tempo.
Noi sentiamo - in qualche momento come una fitta dell'animo -
che il nostro vivere consiste proprio nell'avere tempo,
e non averne più significa morire.
D'altra parte, nulla di ciò che di buono riusciamo a compiere o ad ottenere,
riesce a fermare il tempo, a trattenerlo in modo stabile e definitivo nella nostra vita. Tutto infatti, non appena è raggiunto,
di nuovo deve affrontare il tempo che passa:
con le sue incognite, con il declino che lo accompagna.
E' dunque il tempo stesso,
nel suo inesorabile trascorrere,
nel suo muto linguaggio di finitezza,
nel suo implacabile andare verso la fine
che genera angoscia e bisogno di fuga.
Il tempo che passa risuona in noi
come una continua rivelazione della nostra condizione di esseri limitati e avviati impietosamente senza scampo verso la morte.
Di questo, in fondo, abbiamo paura e ce ne difendiamo in tutti i modi.

venerdì 17 gennaio 2014

L'ansia che ci prende al pensiero dello scorrere del tempo non dipende dal numero delle ore che abbiamo a disposizione.16 1


La parola "Non ho tempo"
la diciamo e l'ascoltiamo così spesso
che ci pare come un condensato dell'esperienza comune.
Noi abbiamo un'acuta percezione della sproporzione
tra il tempo che abbiamo e le sempre più numerose opportunità a nostra disposizione,
e insieme le molteplici scadenze, urgenze, attese che ci incalzano.
Ma se potessimo dilatare a dismisura il nostro tempo,
se potessimo avere,
come talora ci capita di desiderare,
una giornata di quarantotto ore invece di ventiquattro,
la nostra inquietudine si placherebbe?
Certo, riusciremmo a fare molte più cose (almeno lo pensiamo).
E' però questo ciò di cui abbiamo bisogno?
Non credo.
L'ansia che ci prende al pensiero dello scorrere del tempo
non dipende dal numero delle ore che abbiamo a disposizione.

giovedì 16 gennaio 2014

Il vigilare non è dunque un atteggiamento marginale della vita cristiana, ma ne riassume la tensione caratteristica verso il futuro di Dio congiungendola con l'attenzione e la cura per il momento presente.


L'ammonizione a "vegliare", a "stare attenti", ad "aver cura",
è ripresa dagli apostoli e dai discepoli in tante occasioni:
"Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge...
Vigilate, ricordando che per tre anni notte e giorno, non ho cessato di ammonire tra le lacrime ciascuno di voi" (At 20,28.31);
"Vigilate, siate saldi nella fede, siate uomini siate forti" (1 Cor 16,13);
 "Siate sobri, vigilate! il vostro avversario, il diavolo, si aggira cercando chi divorare" (1 Pt 5,8).
Si tratta di un vegliare su di sé (cf 2 Gv 8), sulla propria condotta (cf Ef 5,15), sul ministero ricevuto (cf Col 4,17).
La vigilanza raccomandata dal Nuovo Testamento riguarda tutto l'uomo - spirito, anima e corpo (cf 1 Ts 5,23) e investe tutte le sfere relazionali della persona:
la relazione con se stesso, con le cose, con gli altri, con Dio.
I Padri del deserto fanno eco alle esortazioni neotestamentarie:
"Non abbiamo bisogno di nient'altro che di uno spirito vigilante", dice Abba Poemen.
E Basilio, il grande padre della Chiesa contemporaneo di s. Ambrogio, termina le sue Regole morali domandandosi:
"Che cosa è proprio del cristiano?
Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che all'ora che non pensa il Signore viene".
In una omelia afferma:
"Non basterebbe il giorno intero se cominciassi a esporre tutta la portata del comando: Sta attento a te stesso, sii vigilante" (1).
Il vigilare non è dunque un atteggiamento marginale della vita cristiana,
ma ne riassume la tensione caratteristica verso il futuro di Dio congiungendola con l'attenzione e la cura per il momento presente.
Il vigilare diviene particolarmente attuale in tempi di crisi o di smarrimento,
quando cioè la mancanza di prospettive storiche
unita a una certa abbondanza di beni materiali
rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede,
dimenticando la gravità dell'ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere.
Carlo Maria Martini  "Sto alla porta" 1992- 94

mercoledì 15 gennaio 2014

un grande tesoro: quello della nostra chiamata a possedere con pace un tempo non più mangiato dal ritmo inesorabile del cronometro, bensì colmo di una pienezza che non delude

Dopo aver presentato l'esame di Coscienza riprendiamo alcune riflessioni che troviamo nella lettera

di Carlo Maria Martini  "Sto alla porta" 1992- 94

Ma se io, Signore,

Quante volte ci scusiamo di fronte a cose
che pure riteniamo di dover fare
- come tener compagnia a una persona sola,
scrivere una lettera di auguri a un amico,
ascoltare un bisognoso -,
dicendo: "Mi scusi, ma non ho proprio tempo".
Forse pochi di noi sospettano che tale esperienza così quotidiana
e spesso così deprimente
nasconde un grande tesoro:
quello della nostra chiamata a possedere con pace un tempo
non più mangiato dal ritmo inesorabile del cronometro,
bensì colmo di una pienezza che non delude;
un tempo vero,
proprio tutto per noi
e per gli altri,
da spendere con gioia,
armonia,
entusiasmo,
freschezza e
pace.
Carlo Maria Martini  "Sto alla porta" 1992- 94

martedì 14 gennaio 2014

un giorno ritornerai per porre fine a questo tempo che siamo chiamati a vivere come dono prezioso di Dio, anticipo e preludio della benedizione eterna.


14 preghiera-esame di coscienza sul tempo
di Carlo Maria Martini tratta dalla lettera pastorale "Sto alla porta" 1992- 94


Gesù, tu che sei venuto nel mondo
nascendo dalla Vergine Maria,
tu che vieni a ogni istante nella mia vita
e nella vita di ciascun uomo e di ciascuna donna,
tu che busserai amichevolmente alla mia porta
anche nel momento della morte
un giorno ritornerai
per porre fine a questo tempo
che siamo chiamati a vivere
come dono prezioso di Dio,
anticipo e preludio della benedizione eterna.
Fa' che possiamo desiderare il giorno del tuo ritorno,
quando la finitezza della creazione
lascerà il posto a nuovi cieli e nuova terra
e saremo tutti insieme
nell'infinita beatitudine della Trinità santa.
Per sempre. Amen.
C M Martini

lunedì 13 gennaio 2014

quando ti apro e ti accolgo come ospite gradito nella mia casa il tempo che passiamo insieme mi rinfranca

13 preghiera-esame di coscienza sul tempo
di Carlo Maria Martini tratta dalla lettera pastorale "Sto alla porta" 1992- 94

Ma se io, Signore,
tendo l'orecchio e imparo a discernere i segni dei tempi
distintamente odo i segnali
della tua rassicurante presenza alla mia porta.
E quando ti apro e ti accolgo
come ospite gradito nella mia casa
il tempo che passiamo insieme mi rinfranca.
Alla tua mensa divido con te
il pane della tenerezza e della forza,
il vino della letizia e del sacrificio,
la parola della sapienza e della promessa,
la preghiera del ringraziamento
e dell'abbandono nelle mani del Padre.
E ritorno alla fatica del vivere
con indistruttibile pace.
Il tempo che è passato con te
sia che mangiamo sia che beviamo
è sottratto alla morte.
Adesso,
anche se è lei a bussare,
io so che sarai tu a entrare;
il tempo della morte è finito.
Abbiamo tutto il tempo che vogliamo
per esplorare danzando
le iridescenti tracce della
 Sapienza dei mondi.
E infiniti sguardi d'intesa 
per assaporarne la Bellezza.

domenica 12 gennaio 2014

questa separazione si riflette nell'angoscia in cui trascorre il tempo che ciascuno di noi cerca di aver soltanto per se stesso.

12 preghiera-esame di coscienza sul tempo
di Carlo Maria Martini tratta dalla lettera pastorale "Sto alla porta" 1992- 94

Riconosco, Signore,
che la durata della mia condizione mortale
è gravata dalla maligna separazione
che nell'incredulità si produce 
tra il nostro tempo e il tuo.
E so che questa separazione si riflette
nell'angoscia in cui trascorre il tempo
che ciascuno di noi cerca di aver 
soltanto per se stesso.
La malinconia del tempo inesorabilmente passato
è figlia dell'incredulità
e madre della disperazione.
La morte si presenta allora - e solo allora -
come una dimostrazione 
dell'inutilità del tempo dell'amore.
I colpi con cui il dolore percuote l'uscio di casa
diventano i segni di un destino implacabile
che assegna alla morte l'ultima parola.
La nostalgia del tempo perduto
si trasforma in una malattia
che rende cronica la perdita 
di ogni senso del tempo.