martedì 6 dicembre 2016

segno inconfondibile di un esilio nuovo che nemmeno Gerusalemme aveva saputo ancora sanare: l’esilio del cuore.


Giovanni il Battista si spinge fuori dalla città,
assume lo status di esiliato,
e grida le parole di Isaia,
parole di un profeta che aveva saputo
pregare e preparare la strada di un ritorno da quell’esilio
che aveva colpito i padri biblici,

Giovanni si spinge fuori dalla città
per ricdorare quell’esilio
ma, soprattutto,
per diventare segno inconfondibile di un esilio nuovo
che nemmeno Gerusalemme aveva saputo ancora sanare:
l’esilio del cuore.

Giovanni è il profeta
degli esiliati di tutti i tempi,
di tutte le persone
che hanno il cuore altrove
e che aspettano un padre capace
di riportarli a casa,
di riportarli ad abitare nuovamente
la propria storia,
la propria carne,
il proprio Corpo.

Negli occhi di Giovanni il Battista,
se guardiamo bene,
troviamo anche il nostro di esilio.
Quello che prova chi dorme accanto
a una donna che non ama più,
a un uomo che non riconosce più,
a una storia che non lo ascolta più.
L’esilio che proviamo quando abitiamo in una famiglia
ma non riusciamo proprio a sentircene parte,
esilio di chi vive in una città ma vorrebbe sempre essere altrove,
esilio di chi non comprende più il senso del suo lavorare,
esilio di chi, guardarsi allo specchio, non si riconosce più.

Giovanni entra nelle parole profetiche di Isaia
e grida con amore che è possibile tornare a casa,
è possibile riportare il cuore a casa,
è possibile ritrovarsi e riconoscersi ancora uomini. Ecco perché è il precursore,
è colui che indica la possibilità di un cammino di ritorno in se stessi
che sarà la grande avventura di un Dio
che torna a casa
facendosi uomo.

Alessandro Dehò 
Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

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