martedì 28 febbraio 2012

per cavarmela rapidamente


Oggi il post sarà decisamente lungo: è meglio che ci sediamo.
E' volutamente lungo, c'è bisogno che ci sediamo: per creare le condizioni, senza orologio, per parlare, per ascoltare, per chiedere scusa...per arrivare al consenso-
Quanta saggezza e vento contrario alle vele che spieghiamo nel nostro quotidiano.
Vele "pretese" a risolvere tutto, in fretta e da soli e senza ammettere sbagli-
QUESTIONE DI METODO  
"I mindjor pa no sinta"
Mi è capitato di discutere animatamente con uno dei maestri della scuola di un villaggio. Lui cercava di espormi un suo problema che, guarda caso, era anche per me un problema! Esigeva una soluzione che io non avevo e io esigevo che lui mi capisse.
Parlavamo in piedi, in fretta e arrabbiati. Questo metodo ci ha obbligati a finire rapidamente la discussione, ma senza arrivare a una soluzione; nell’aria erano rimaste parole un po’ pesanti. C’era solo una pace apparente, tanto per salvare la buona educazione.
La cosa mi spiaceva e, probabilmente, spiaceva anche a lui.
Qualche giorno dopo ho chiesto consiglio a un altro maestro che mi ha detto: "I mindjor pa no sinta", che significa: "E’ meglio che ci sediamo".
Sedersi, penso in tutti i Paesi dell’Africa e anche in qualche altra cultura, è sinonimo di parlare, anzi, di voler creare le condizioni per parlare. Vuol dire anche essere disposti ad ascoltare le spiegazioni, le motivazioni dell’altro, come è andata, come lui l’ha vissuta.
Il maestro in questione è un ottimo "narratore", capace di raccontare in dettagli un fatto, tanto da fartelo vedere al vivo, ma... non consulta l’orologio e occorre una pazienza infinita.
Forse per questo non l’avevo invitato a sedersi, per cavarmela rapidamente. In Italia poteva funzionare così, perché nella propria cultura si intuiscono tante cose anche senza spiegarle troppo.... Ma io, ora, non sono nel mio Paese, non vivo con persone della mia cultura, sono in Guinea Bissau, in Africa. Così mi sono accorta di aver sbagliato metodo, ed ho imparato tante cose da questo malinteso.
La storia è continuata così... Dopo qualche giorno ci siamo "seduti" ed eravamo in quattro: il maestro con suo nipote, invitato da lui perché insegna nella stessa scuola, il maestro che mi aveva consigliato ed io.
Superato il timore di chi dovesse iniziare a parlare, ho potuto gustare e provare anch’io a vivere un valore africano molto importante, quello di arrivare al consenso, all’intesa attraverso la parola, la conversazione fatta "da seduti" con molta calma e con la pazienza di aspettare il proprio turno senza interrompere. È importante dare tutto il tempo necessario perché ciascuno spieghi il suo punto di vista, il suo stato d'animo, ciò che realmente voleva dire.
I nostri testimoni ripetevano ora le mie, ora le parole del maestro, per approfondire il discorso e facilitare la soluzione.
L’intesa è arrivata, io ho ammesso le mie esagerazioni e il maestro mi ha stupito con un finale che ha messo in crisi un "pregiudizio" che anch’io avevo assorbito dalla cultura locale.
Si dice qui che un uomo "grande" - cioè un adulto – è proprio un "grande" se non accetta le critiche dei più giovani. Il mio maestro - e sicuramente altri come lui - è invece un’eccezione; mi ha detto, infatti: "Sai, ho raccontato a mio nipote ciò che ti ho detto e mi ha fatto notare che ho sbagliato a dirti certe cose, e anch’io sono proprio convinto di aver sbagliato e ti chiedo scusa!".
Quindi non è vero che qui i "grandi" non ammettano gli sbagli; forse è questione di metodo, di punto di partenza; occorre creare il clima adatto, "sedersi" appunto, mettersi in gioco nel dialogo, alla pari, come persone che cercano insieme la verità e la pace.

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