mercoledì 18 dicembre 2013

ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.


La nostra vita è un’opera d’arte
– che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no.
Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo
– come ogni artista, quale che sia la sua arte
– porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata;
dobbiamo scegliere obiettivi che siano
(almeno nel momento in cui li scegliamo)
ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza
irritanti per il loro modo ostinato di stare
(almeno per quanto si è visto fino allora)
ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.
Dobbiamo tentare l’impossibile.
E possiamo solo sperare
– senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe
– di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida.
L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana,
sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane.
Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità.
È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi:
come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.
Zygmunt Bauman, L’arte della vita

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