martedì 25 ottobre 2011

abitudine primitiva


Parlare di preghiera oggi, sembra tornare a un’abitudine primitiva, arcaica, sostituita da mezzi terapeutici più efficaci o da impiego più piacevole del tempo. Al posto della preghiera si preferiscono pratiche yoga, ginnastiche di tipo orientale, perché la tecnica allontana sempre di più la persona dalla sua dimensione metafisica. Allo stesso tempo attraversano l’aria grida di allarme, accusando il danno che si produce non dando importanza alla vera dimensione umana. Mi tornano spesso alla mente le parole di Agostino a proposito di questa più importante dimensione: Ci hai creati per Te o Dio, e il nostro cuore è inquieto finché non raggiunge Te. Il piccolo ma profondo libro dello psicanalista Luigi Zoja “La morte del prossimo” e soprattutto gli eventi mettono in evidenza il rapido calo della sensibilità affettiva dell’uomo.

L’aridità del cuore tanto temuta dai maestri di spirito come la malattia umana più terribile oggi appare come un’epidemia che si diffonde rapidamente. La preghiera doveva essere una supplica corale per scongiurare gli effetti molto temuti di questa malattia. Il fatto che il popolo cristiano in meno di un secolo abbia potuto scatenare due guerre chiamate con un certo vanto “mondiali” dimostra chiaramente che la malattia dell’indurimento del cuore non è solo nell’immaginario dei moralisti. Che sapore può avere la vita se si spegne la vita del cuore, cioè l’esigenza di amare e di essere amati? La preghiera non può essere pensata come un metodo da scegliere ma come espressione vera di un bisogno reale, e non può non risentire degli eventi del tempo. Ed è proprio questo che rende difficile educare i giovani alla preghiera. Tutte le proposte che invitano a sedute di “spiritualità”, programmi di silenzio, respirazione controllata e atti simili hanno indubbiamente degli aspetti benefici, liberando la psiche da pesi e da voglie, ma di fatto non arrivano a soddisfare il vero bisogno perché non possono raggiungere quella che il Vangelo definisce la verità tutta intera (Gv. 16,13). Possono addomesticare gli assalti delle pulsioni e abituare il soggetto a vivere a livello della ragione alleata con la psiche. Spesso assistiamo in persone rispettate e anche invidiate per la loro posizione sociale, come una rottura di un equilibrio instabile che le fa precipitare al livello primario delle pulsioni. La verità della preghiera va oltre le pratiche che si fermano a livello della psiche, perché si dirige a un Interlocutore invisibile. Quella che può definirsi preghiera è dialogo, desiderio di Dio. Le regole, le consuetudini, i metodi sono delle gabbie entro le quali intristisce l’aquila. Il Vangelo ci parla di Gesù che: al mattino si alzò quando ancora era buio, e uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava (Mc 1,35 e Lc 40,42). Altri passi del Nuovo Testamento ci illuminano sulla preghiera del Modello Unico: Nei giorni della sua vita terrena, Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte (Eb 5,8). È un po’ difficile pensare che Gesù preso da tanta angoscia pensasse in quel momento a controllare la sua respirazione. È il racconto drammatico della preghiera di Gesù che ci rimanda alla lunga ultima notte che precede la cattura. I tre evangelisti ci rappresentano un Gesù prostrato con il volto che tocca la terra supplicando il Padre: la sua resistenza umana si rifiuta di accettare l’evento che si prepara. Le ore passate nell’orto del Getsemani ci sembrano ancora più drammatiche di quelle vissute dall’uomo che pende dalla croce, perché è l’ultima agonia e termina con un’affermazione vittoriosa: Tutto è stato compiuto e può annunziare al compagno di martirio che prima del tramonto del sole, si troveranno immersi nella luce senza tramonto. Nella preghiera del giardino il cielo è chiuso, c’è la consapevolezza del fallimento e solo quando il Messia sem bra aver perso ogni speranza in questo cielo ostinatamente chiuso, filtra un raggio di sole, il ricordo lontano di un ECCOMI, la mia vita è stata guidata da questo piccolo raggio di luce: la tua volontà Padre. Questa è la preghiera, il ricordo festoso di un Padre che ci ha promesso di non lasciarci orfani e che manifesta la sua fedeltà nella primavera che esulta sulla terra attraverso una vita che continua a saltare dalle zolle, a salutare il sole. La preghiera oggi può essere solo grido di invocazione che inorridisce davanti all’epidemia del nostro tempo che pare implacabile nel devastare il cuore dei giovani che non sanno chi amare. Proprio ieri di questo mattino in cui traccio queste righe ho raccolto il tuo lungo pianto, giovane amico. Ti ho solo detto che il mio cuore danzava accanto al tuo perché sentivo la sconfitta della morte e il rinascere del tuo cuore. La preghiera di Gesù ha sempre come causa la sua convivenza con i fratelli. Egli ha fatto sue le sofferenze degli uomini, i loro peccati, i loro conflitti e tutta l’estrema povertà e fragilità dell’uomo. È tutto questo che fa vibrare il suo ricorso al Padre. Egli non prega quasi per procura, Egli è il lebbroso, il povero, il peccatore, il disperato, il vinto dalla vita che pieno di speranza grida, piange, tende le sue mani al Padre che ha promesso di amarci eternamente. La nostra preghiera diventa così un’amicizia con Lui, un mettere a disposizione il nostro cuore sciupato, talvolta devastato, ma è tutto, non abbiamo altro da dargli. Eppure Lui ha bisogno di questa nostra preghiera per continuare a mettere nel mondo la presenza dell’amore che infallibilmente lo porterà alla salvezza.

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