martedì 31 luglio 2012

Abbiamo scoperto in Gesù la potenza dell’amore che non cessa di creare e di liberare la vita che dona.

Fratelli  e amici, auguro a tutti di custodire vivo il senso e il rispetto della persona umana. Fratelli cristiani, noi crediamo che Dio abbia voluto comunicarsi al mondo non solo attraverso la parola dei profeti, ma anche di persona, attraverso Gesù Cristo. Da quel giorno ogni individuo, ogni volto umano riflette un po’ della luce di Dio e merita il rispetto più assoluto. Più ancora, noi crediamo che ogni persona è amata da Dio così com’è, quand’anche sporcata e sfigurata dal peccato. Ed è questo amore che ci fa vivere e può trasformare il nostro mondo. Abbiamo scoperto in Gesù la potenza dell’amore che non cessa di creare e di liberare la vita che dona. Se noi siamo suoi discepoli, anche noi dobbiamo avere un rispetto infinito per ogni essere umano, quali che siano il suo sesso, la sua razza, la sua religione o le sue opinioni e dobbiamo amare ognuno, realizzare cioè le condizioni che gli permetteranno di crescere in umanità, dignitoso, libero, solidale, fraterno. Ma l’aspirazione universale a una vita migliore può essere anche fuorviata, manipolata, ed essere all’origine delle peggiori tirannie. Questo avviene quando le speranze sono sistematicamente deluse in un mondo in cui l’uomo è soffocato. Allora egli ne evade con il sogno e si mette a cercare un salvatore. La religione si presenta a volte come l’unico rimedio per tutti i suoi mali. È naturale che dei credenti attingano dalla loro fede un’ispirazione per orientare la loro vita personale e collettiva verso una maggiore felicità. Ma quando dei credenti pretendono di sacralizzare delle forme di organizzazione sociale o degli Stati, siamo sul ciglio della tirannia. In passato, la Chiesa aveva consacrato così dei re e degli imperatori. Fornendo una risposta unica e sedicente divina all’esperienza umana, si esclude ogni altra ricerca e si rifiuta ogni differenza come dannosa alla realizzazione della volontà di Dio. Anche quando la si tollera, la si costringe in limiti angusti e la si relega nella passività. (Pierre Claverie, Lettres et messages d’Algerie).
Entrato nel mirino delle bande mafiose che, dietro lo scudo del fondamentalismo, si contendevano (e si contendono) sanguinosamente il controllo del paese, nove settimane dopo l’assassinio dei sette monaci trappisti del monastero di Nostra Signora dell’Atlante, a Tibhirine, mons. Pierre Claverie morì vittima di una bomba esplosa davanti al vescovato di Orano, la notte del 1° agosto 1996. Il suo autista, Mohamed Bouchikhi, musulmano, morì con lui.

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