mercoledì 19 settembre 2012

vivere senza ripiegare nella sua forma peggiore che è il ripiegarsi


"Carissimo Giobbe,
quando viene a mancare l'oro della forza, l'argento della fiducia in se stessi, il bronzo delle piccole sicurezze, basta che rimanga viva l'invisibile fede nella vita come compito per apprenderne il mistero e l'arte di soffrire, senza impazzire di dolore o cedere alla funesta rassegnazione che sarebbe peggiore del morire. Il compito di ogni uomo e donna sulla terra è quello di imparare a resistere alla grande tentazione di trasformare - per se stessi e per gli altri - l'intera esistenza in una fossa di macerazione nella rabbia e nel rammarico. Nessun dolore e nessuna sofferenza sono per se stesse un inferno, per quanto le pene e le angosce lo facciano talora sentire e pensare, ma il rammarico lo è e, come dice l'Amico fedele e provato, il suo "verme non muore" (Mc 9,48).
Come è avvenuto per te, caro Giobbe, vorrei anche per me che un diluvio di grazia, dopo un diluvio di guai, riporti la terra del mio cuore ad un rinnovato, e non identico splendore.
Ed ora voglio ringraziarti di tutto cuore, perché accompagnandomi a te, mi hai permesso di accompagnarmi a me stesso per crescere in "coscienza che sia umana" e di farlo serenamente e più in pace.
L'umiltà che genera la pace non è altro che la fatica di accettare il limite e i limiti della propria esistenza, facendone un comandamento di fondo per camminare verso la serenità che, secondo l'espressione ad effetto di Peter Ricardo, suonerebbe così: "Onora il tuo limite". Giobbe carissimo, ho imparato a mie spese a diffidare di quelli che predicano l'umiltà e la esigono dai loro fratelli e sorelle in umanità come fosse un compito da espletare; l'umiltà non si sa e, se è vera, ignora se stessa e si fa ignorante per quanto riguarda quella degli altri. L'umiltà che dona pace e che la porta è un piegarsi verso la terra - humus -, sentendosi tutt'uno con essa e con tutto ciò che vi è maternamente nutrito e, talora, paternamente provato e abbandonato. La pace, verso cui ogni creatura sotto il cielo anela così faticosamente, diventa possibile solo quando si accetta che la vita continui e debba continuare il suo cammino indipendentemente, allora si diventa saggi, perché si ritrova quella semplicità e originale innocenza che permette di ascoltare il reale, di prendersi cura delle situazioni, ma con grande distacco, con spirito di assoluta povertà. La pace, quella del cuore e quella che si diffonde a partire dal cuore, è sempre il frutto di un 2disarmo dogmatico", che ci fa avanzare a mani nude e cuore leggero, come una piuma.
Non è forse questo l'atteggiamento più promettente per poter, infine, semplicemente esser vivi, tentando di raggiungere un livello accettabile di umanità? Anche il desiderio della santità dovrebbe identificarsi semplicemente con questo desiderio di giusta umanità che ci fa vivere serenamente entro il limite della nostra creaturalità, liberandoci da tutta una serie infinita di pretese che sarebbero da moderare, quasi fino ad annientare, per ritrovare la pace quale frutto della libertà dall'ansia di dimostrare e di imporsi. Avere un compito, certo, su questa terra e per questa terra, sentire la vita come un compito, ma non essere in alcun modo inquieti di portarlo a termine, di poterlo classificare, nominare troppo ed eventualmente candidare per qualche "premio". Agire senza sapere cosa si fa realmente, ma lasciare che accada, rinunciando così a quella volontà di potenza che toglie la pace a se stessi e impone, spesso e nelle forme più crasse o più raffinate, la guerra ai nostri simili e alle creature con cui condividiamo il nostro piccolo spazio sotto il cielo infinito" ...
Per vivere senza ripiegare nella sua forma peggiore che è il ripiegarsi, è necessario prendere coscienza di quello spirito che è stato infuso tra le pieghe, talora sgualcite, della veste del corpo che mi abita e in cui siamo destinati ad essere ospiti e padroni di casa per sempre. Eppure quale cammino è necessario per riconoscere di essere stati da sempre amati e voluti per poter sempre amare!". 
Caro Giobbe
di MichaelDavide Semeraro

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