mercoledì 24 ottobre 2012

Nulla evitano, queste suore di carità, di silenzio, di preghiera, di lavoro e, primariamente, d’amore

Giovanni Testori nel Novembre 1979 commentando il libro di Giampiero Beltotto  "Ho intervistato il silenzio", tra l'altro, ha fatto questa riflessione.
Dunque la presenza, che è discretissima, epperò ferma e totale; poi, l’affabilità; quindi, la giustezza delle parole; la giustezza del loro peso che non è mai di troppo e che non è di meno; la loro lucidità, che si rivela tanto più naturale, quanto più l’argomento s’alza verso le pronunce assolute o scende verso gli abissi più profondi, verso i più profondi e difficili problemi dell’oggi. 
Nulla evitano, queste suore di carità, di silenzio, di preghiera, di lavoro e, primariamente, d’amore; nulla di ciò che è l’uomo e di ciò che è il mondo; pur avendo, apparentemente, lasciato uomo e mondo. Scrivo apparentemente poiché pochi esseri, pochi figli di Dio, sono così dentro il mondo, dentro le sue ragioni e la sua vera salvezza, come queste suore. L’offerta della loro vita a Cristo e, in Cristo, ai loro fratelli è totale. Ma non è totale perché si pongano sopra l’uomo ed il mondo, bensì perché vi sono dentro, strette e abbracciate fino all’ultimo respiro. E sono dentro il mondo, molto più di noi che spesso trasformiamo le difficoltà del vivere nell’alibi dell’autodrammatizzazione; per non voler ammettere che esistiamo solo in quanto apparteniamo alla suprema Volontà di Dio, alla sua suprema Intelligenza e al suo supremo Amore. 
Tutto questo non è detto solamente per la forza dell’umiltà, della preghiera e del lavoro; è detto perché pochi libri scritti stando dentro il mondo dimostrano una cognizione del mondo così profonda, oggettiva, fisica e incarnata, come questo che è scritto stando fuori. Sembra quasi che, nel convento di Vitorchiano, penetrino del mondo i gangli più terribili e dolorosi, le più terribili e dolorose domande; ma non per essere escluse o lasciate; bensì per venire affrontate, capite, sciolte e redente nella continuità della Speranza. Ecco: la grande protagonista di questo breviario cristico, è lei, la Speranza.
In questa conversazione che Giampiero Beltotto ha condotto con fermezza, senza abdicare a nulla, neppure alle interrogazioni più aspre e segrete, noi non avvertiamo nessuna ombra di privilegio; e men che meno per loro, le suore di clausura. Il senso del loro essere parte dal corpo di Cristo le induce a pronunciare parole d’assoluta partecipazione, d’assoluta parità e d’assoluta uguaglianza con chi è parte del corpo di Cristo fuori, cioè a dire nelle città, nei paesi, nelle fabbriche, nelle scuole e negli uffici. Tutto qui, preghiera, adorazione, lavoro e parola acquista la sua dignità e la sua grandezza dentro il bisogno e la fame di salvare l’uomo. Perché, come dice una di esse: «Dio crea l’uomo senza l’uomo, ma non salva l’uomo senza l’uomo». Del resto, poco dopo, viene pronunciata la verità prima, quella verità che lo spiritualismo moderno ama spesso travisare: «Dio non è una idea, è una persona». 

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