sabato 2 aprile 2011

Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego


Non è possibile, in un culto in comune, ricordare tutte le persone che ci sono affidate e intercedere per loro, o comunque non nella forma dovuta. Ogni cristiano ha la propria cerchia di persone che gli hanno chiesto di intercedere per loro o per le quali si sente chiamato, per determinate ragioni, a intercedere. In primo luogo saranno coloro insieme ai quali vive ogni giorno. E qui ci troviamo ad un punto in cui sentiamo battere il cuore di ogni convivenza cristiana. Una comunità cristiana vive dell’intercessione reciproca dei membri o perisce. Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire. Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nell’intercessione, si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato. Questa è una scoperta veramente meravigliosa per il cristiano che incomincia a intercedere. Non esiste antipatia, non esiste tensione e dissidio personale che, da parte nostra, non possa essere superato nell’intercessione. L’intercessione è il bagno di purificazione a cui il singolo ed il gruppo devono sottoporsi giornalmente. Può esserci un’aspra lotta con il fratello, nella nostra intercessione, ma rimane la promessa che vinceremo.
Come? Intercedere non significa altro che presentare il fratello a Dio, vederlo nella luce della croce di Gesù come povero uomo e peccatore bisognoso di grazia. Con ciò viene a cadere tutto quello che me lo rende antipatico; lo vedo in tutta la sua miseria e pena; nel suo travaglio e peccato che mi si mostrano così grandi e così opprimenti come se fossero i miei; ed allora non posso fare a meno di supplicare: “Signore, opera tu stesso, tu solo in lui, secondo la tua severità e la tua bontà”. Intercedere significa: concedere al fratello lo stesso diritto che è stato concesso a noi, cioè di porsi davanti a Cristo ed essere partecipe della sua misericordia.
Da ciò risulta chiaro che anche l’intercessione è un servizio che ci viene chiesto da Dio e dal fratello, ogni giorno. Chi si rifiuta di intercedere per il prossimo, gli rifiuta il suo servizio cristiano. E’ pure chiaro che l’intercessione non è preghiera generica, indistinta e confusa, ma una richiesta molto concreta. Si tratta di persone ben precise, e di difficoltà precise, perciò anche di richieste precise. Quanto più chiara è la mia preghiera di intercessione, tanto più certo ne è l’esaudimento.
Ed infine non possiamo nemmeno rifiutarci di riconoscere che il servizio di intercessione richiede tempo, da parte di ogni cristiano e, più ancora, da parte di ogni pastore, a cui è affidata tutta una comunità. L’intercessione sola, se fatta bene, riempirebbe tutto il tempo che vogliamo dedicare alla meditazione. Così si dimostra che l’intercessione è un dono della grazia divina a ogni comunità cristiana e a ogni cristiano. Poiché con essa ci viene offerto un dono incommensurabile, lo accetteremo anche con gioia. Proprio il tempo che dedicheremo all’intercessione sarà per noi, ogni giorno, fonte di sempre nuova allegrezza nel Signore e nella comunità cristiana.

Da La vita comune
di D. Bonhoeffer

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