domenica 1 giugno 2014

La tristezza deriva quindi dal giudizio umano sul disegno di Dio, che non è alla portata dei processi del nostro raziocinio, in quanto vuole darci molto di più, rispetto a quel bene che a noi sembra il massimo desiderabile


At 16,22-34 “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”

Nel brano evangelico odierno bisogna porre l’accento sulla sproporzione tra il disegno di Dio e lo stato d’animo conseguente al giudizio umano. Gli Apostoli compiono uno sbaglio di valutazione, e perciò si rattristano: “perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore” (v. 6). Gesù dice di essere sul punto di andar via e i discepoli si rattristano. Dal punto di vista dei discepoli la partenza di Cristo è una perdita, mentre dal punto di vista di Cristo, è un arricchimento per la comunità apostolica. Gli Apostoli non possono capire ancora; resteranno nell’ignoranza dei segreti di Dio, fino a quando non verrà lo Spirito a Pentecoste. Il loro errore è quello di giudicare con i loro criteri umani, il disegno di Dio che si sviluppa nella vita e nel ministero di Gesù. Per la loro umana sensibilità, rimanere accanto a Cristo, a tempo indeterminato, è la massima beatitudine pensabile; ma il Padre vuole dare loro molto di più: nel momento in cui Dio sottrae il Cristo storico dalla loro vista, in forza dello Spirito fa del gruppo apostolico un altro Cristo. Finché Cristo è con i discepoli, i discepoli sono con Cristo, ma quando Cristo se ne va, per la potenza dello Spirito i discepoli diventano Cristo: noi il suo Corpo, Lui il Capo. L’intimità, che abbiamo raggiunto con Lui, a partire dal giorno di Pentecoste, è infinitamente superiore all’intimità fisica della coabitazione, di cui i Dodici hanno fruito per circa tre anni. La tristezza deriva quindi dal giudizio umano sul disegno di Dio, che non è alla portata dei processi del nostro raziocinio, in quanto vuole darci molto di più, rispetto a quel bene che a noi sembra il massimo desiderabile. Siamo destinati a sbagliarci nella nostra valutazione di quel che Dio fa o permette, e siamo destinati a rattristarci proprio quando Lui sta preparando qualcosa di più. Qualcosa talmente superiore che la nostra mente e la nostra immaginazione si perdono nella nebbia della non-conoscenza. Il giudizio umano ci porta alla tristezza, perché l’insufficienza della nostra logica - quando viene assolutizzata - necessariamente fa naufragio. L’unico atteggiamento sapiente è la fiducia, anche quando sembra che Dio ci sottragga qualcosa; ma il suo obiettivo non è mai quello di impoverire. Abbiamo bisogno allora di non giudicare l’opera di Dio, se non vogliamo rattristarci senza motivo. I discepoli si rattristano che Cristo ha annunciato di essere sul punto di tornare al Padre: “Ora vado da Colui che mi ha mandato… perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore” (vv. 5-6). 

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