venerdì 12 marzo 2010

rientrò in se stesso e disse: Tornerò da mio padre...

Non sapeva
che il Padre non si era mai rassegnato
alla partenza del figlio.
Il figlio è sempre figlio,
anche quando sbaglia
e l'amore vero lo si misura nel perdono.
Non sapeva
il figlio
che il padre non si era mai allontanato dalla porta di casa.
Era sempre rimasto lì in attesa di un ritorno
che era certo sarebbe avvenuto.
E difatti:
"Quando era ancora lontano,
il padre lo vide e commosso
gli corse incontro,
gli si gettò al collo
e lo baciò".
Non diede neppure il tempo al figlio di esprimere il suo dolore.
Gli bastava che lui ora fosse lì tra le sue braccia.
"Portate qui il vestito più bello
e rivestitelo,
mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi
facciamo festa
perché questo mio figlio era morto
ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato".

Veramente è un racconto della misericordia del Padre che
nessun uomo sarebbe mai stato capace di scrivere,

ma è opera delle dita di Dio,

scritto con l'inchiostro della dolcezza,
che chiude le porte dell'inferno per aprire quelle del Paradiso.

Una parabola scritta per noi uomini peccatori che, troppe volte, non riusciamo a coglierne tutta la bellezza.
Ed è un vero peccato che continuiamo a vivere 'rubando ghiande ai porci' quando
potremmo partecipare alla festa del Cielo.

Noi uomini che ci facciamo soffocare dalle braccia di falsi amici, che avvelenano la vita,
ed abbiamo paura di abbandonarci alle braccia del Padre nella riconciliazione.
E' la inconfessata durezza della nostra superbia, che stoltamente rifiuta di "rientrare in se stessi e dirsi:
tornerò da mio Padre e gli dirò Padre ho peccato".
E' davvero incomprensibile questo atteggiamento di rifiuto dell'amore,
che costa la pena di sentirsi condannati al fango, che soffoca.
don Antonio Riboldi

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