domenica 7 marzo 2010

Stare in piedi, innanzitutto, poi la letteratura!

L'arte di stare in piedi, di tenere la rotta suppone appunto un orizzonte più felice verso il quale dirigersi. Ciò che mina questa progressione non è la sofferenza né lo scacco, ma la disperazione. Smettere di sperare significa confessarsi sconfitti senza neanche raccogliere la sfida, significa rendere vani tutti i nostri sforzi. La formazione della personalità esige, come singolare punto di partenza, una spoliazione radicale: (ri)conoscersi vulnerabile, perfettibile, prendere coscienza del proprio evolvere su un terreno incerto, cercare di sapere perché si combatte... gioiosamente.
(Alexandre Jollien -Il mestiere di uomo 2003 EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BOSE)

...Dalle pagine di Jollien non emerge alcun esplicito discorso di fede: come già nel precedente Elogio della debolezza, appare solo di sfuggita la figura di un anziano e saggio cappellano del convitto per handicappati, uomo di fede capace di appassionare Alexandre alla "filosofia", cioè a quell'"amore per la sapienza" che è amore per la vita e per la ricerca di un senso alle cose, anche al dolore. Eppure, nonostante questa sobrietà che si accontenta di accennare alla fede di una persona "affidabile" senza per questo dichiararsi a propria volta "fedele", le pagine di Jollien richiamano alla memoria le parole di un monaco capace di dialogo perché capace di dubitare delle proprie certezze, Thomas Merton che, in una conferenza tenuta in Asia pochi giorni prima della sua improvvisa scomparsa, così affermava: "I monaci, gli hippies, i poeti - e i portatori di handicap, potremmo aggiungere noi - sono persone che contano? No, noi siamo deliberatamente irrilevanti. Viviamo con quell'irrilevanza congenita che è propria di ogni essere umano. L'uomo marginale accetta l'irrilevanza fondamentale della condizione umana, che si manifesta soprattutto con la morte, la quale mette in discussione il significato della vita. Questa gente combatte la morte dentro di sé, cercando qualcosa di più profondo della morte; perché c'è qualcosa di più profondo della morte, e il compito del monaco o della persona marginale, del meditativo e del poeta è quello di andare al di là della morte anche in questa vita, di andare al di là della dicotomia vita-morte ed essere perciò un testimone della vita".
Ecco, Alexandre è uno di questi "testimoni della vita", capaci di narrarci con parole trasparenti e, soprattutto, con la disarmante semplicità della loro vita, che ciascuno di noi è più grande dei propri limiti, delle proprie malattie, dei propri handicap, che ciascuno di noi non è riducibile alla menomazione che lo caratterizza, non è identificabile con la ferita che lo abita, non è mortificabile con l'aggettivo che lo delimita. Per fare questo si è abituati a pensare che occorra la fede, "eppure - è ancora Merton a ricordarcelo - non appena si parla di fede nei termini di questa vita marginale, ci si imbatte in un altro problema: fede vuol dire dubbio. La fede non è la soppressione del dubbio. È la vittoria sul dubbio, e il dubbio si vince passandoci in mezzo!"...( da Il mestiere di uomo Prefazione di Guido Dotti)

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