domenica 1 agosto 2010

esercitare il controllo più severo su noi stessi affinché non abbandoniamo mai questo impegno

La stoltezza di svendersi alle cose
mons. Antonio Riboldi  
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/08/2010)
Vangelo: Lc 12,13-21   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 12,13-21)
Se c'è un grande inganno, che il demonio ha sempre cercato di proporre all'uomo, è quello di svendere la propria dignità e felicità vera a ciò che non può assolutamente soddisfare le nostre esigenze più profonde, ossia il possesso delle cose.
Dovremmo sapere tutti ormai, per esperienza, che ciò che è materiale, senza anima, non può mai colmare il nostro cuore. Sono 'cose', che possono donare soddisfazione, gratificazione, ma possono anche, purtroppo, rubarci l'anima.
Ciò che Dio ha creato - ed 'è cosa buona' - ci è però dato solo per un servizio alla vita, mai come oggetto 'assoluto' di felicità.
Ricordiamoci come la Sacra Scrittura ben evidenzia l'inganno, presentandoci - sotto forma di mito - ciò che il serpente seppe escogitare nel momento della prova, nel paradiso terrestre.
Dio aveva donato ad Adamo ed Eva tutto il creato, perché lo coltivassero, ma Lui, e solo Lui, era la gioia: l'uomo 'passeggiava con il suo Dio'.
Satana seppe intrecciare una menzogna fatale: far credere che il possesso del frutto proibito avrebbe fatto felici i nostri primogenitori, 'rendendoli come Dio'...
Giunge ancora oggi, come monito e sofferenza, il grido del Padre: 'Uomo dove sei?'...
Basta guardarci attorno, per rendersi conto di come tutti siamo continuamente tentati di 'riempire la vità di cose materiali, di 'ricchezze', causa di lotte tra noi, differenze e diffidenze sociali, ma alla fine lasciando inevitabilmente un grande vuoto nel cuore.
Nulla può sostituire il Bene dell'Amore del Padre!...
"Vanità delle vanità - dice Quoelet - vanità delle vanità e tutto è vanità...(Quoelet 2, 21-23)
Ma come è facile farsi prendere il cuore da queste vanità!...
Dopo il terremoto nel Belice,...La baracca, in cui si viveva, era la testimonianza della povertà totale, ma nello stesso tempo era la gioia di condividere una sofferenza con chi soffriva, con la povertà della nostra gente. 

Ci ammonisce l'apostolo Paolo, scrivendo ai Colossesi...(Col. 3, 1-5)...
È davvero grande miopia svendere la grande potenza e bellezza del cuore a cose che 'passano; possono solo dare qualche passeggera soddisfazione, ma non sono felicità e libertà.
Eppure ci cascano in tanti.
Ascoltiamo il Vangelo di Luca, che la Chiesa ci propone oggi:
"In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: ...Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio". (Lc. 12, 13-21)
Davvero una seria lezione per tutti noi, anche oggi: una lezione che deve aiutarci a prendere le distanze dall'aver l'animo 'soddisfatto' dalle cose, cioè sentirsi ricchi - quando poi si può veder svanire tutto nel breve spazio di Luna notte - per fare spazio alla povertà di spirito, che davvero fa conoscere la gioia di amare e il vero senso della libertà interiore.
Diceva Paolo VI, che cito sempre come grande maestro di fede:
"Il possesso e la ricerca della ricchezza, come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza umana, è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano, e con quali prove tragiche e oscure! E dimostrano che l'educazione cristiana alla povertà sa distinguere innanzitutto l'uso del possesso delle cose materiali, e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio e del suo ottimo fine prossimo, che è il fratello da amare e servire, dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, cioè dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere, è carità, provvedere....
Il discepolo di Cristo, alla sua severa scuola di povertà, scorge un rapporto meraviglioso fra povertà e carità, si direbbe complementare, e non solo perché la prima, cioè la povertà, ha bisogno di quel gratuito, spontaneo e gentile soccorso, ma perché chi ama è alla ricerca di chi possa ricevere i segni e i doni del suo amore, cioè la carità ha bisogno della povertà per esplicare l'energia di bene che le è propria". (novembre 1964)
Può mai il nostro tempo fregiarsi del titolo meraviglioso di 'solidale', quando non ve ne sono i segni? E tanta la speranza, che sorge - a volte - quando si ha notizia che i cosiddetti 'grandi della terra si riuniscono per cercare soluzioni e vie che colmino le sacche immense di miserie che non sono solo in Africa, ma in troppe parti del nostro mondo.
Ma ogni volta si ha l'impressione che da questi convegni esca solo un balbettio, che approda a poco. I Paesi cosiddetti 'ricchi' non sanno, non hanno saputo - o non vogliono? - farsi speranza per tanti nel mondo che muoiono di fame. E turba la coscienza anche solo sapere e vedere che ogni giorno tanti sono condannati ad una morte così atroce ed ingiusta, quando tutti potremmo vivere dignitosamente, se solo si mettesse fine alla corsa del benessere di pochi e nascesse quella solidarietà o amore alla povertà, che si traduce nello spezzare il pane con tutti.... a cominciare da noi, da dove siamo, dove certamente c'è chi stenta a vivere.
Dovremmo ricordare sempre, carissimi, quanto Gesù dice a proposito del giudizio finale:
"Avevo fame e non mi avete dato da mangiare... andate via da Me, maledetti!'
'Avevo fame e mi avete dato da mangiare... venite benedetti dal Padre mio!: Facciamo nostra la preghiera di Madre Teresa di Calcutta:
"O Signore, affinché possiamo seguire il tuo esempio,
donaci la grazia di abbracciare la tua povertà
come il più grande di tutti gli impegni umani.
Rendici capaci di imitare nella nostra vita la povertà del nostro Altissimo Signore Gesù Cristo e della Sua amatissima Madre.
Aiutaci ad esercitare il controllo più severo su noi stessi
affinché non abbandoniamo mai questo impegno
a causa della nostra debolezza
o dei consigli e degli insegnamenti altrui."


C'è gente che mi osserva sotto sotto
Come se l'appestato fossi io,
sarà il mio vestito spiegazzato,
la mia cravatta squinternata
o qualche chiazza di vino rosso negli occhi.
Mi guardano sotto sotto,
cos'hanno da guardare?
Forse intuiscono che so leggere la loro pestilenza,
la loro anima, il loro fiato che sa di cipolle preistoriche,
di aglio ammuffito,
di coscia di pollo bollita più ore.
Seguitano le bestie ad osservarmi come se l'appestato fossi io.

(Tratto dalla raccolta "La parte fredda dei rimpianti" di Ferdinando Giannone
Foto: When Faces On Platforms by denschliker)

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