lunedì 22 aprile 2013

senza per nulla demordere, con la consueta mitezza e pazienza aveva ripreso le fila di quel discorso


“Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9, 35-37). Loro, i Dodici, che sono considerati in senso stretto antesignani dei nostri vescovi, ma sono in generale figura di noi tutti, avevano appena finito di litigare su chi tra loro era più importante, e questo, ammesso che possa consolare noi, aveva fatto però cadere le braccia a Lui. Il quale, in ogni caso, senza per nulla demordere, con la consueta mitezza e pazienza aveva ripreso le fila di quel discorso, così oscuro e incomprensibile per loro e per noi, duri d’orecchi, di mente e di cuore. Eppure, la croce, poiché di questo si tratta, non è così distante dall’esperienza che anche noi possiamo fare o toccare. La croce è chiedersi chi c’è al centro delle mie attenzioni, e poi scegliere che ci sia comunque l’altro. Non un generico altro, ma, come dice Gesù, il più piccolo, insignificante, inutile, senza identità propria, com’è, appunto, un bambino.

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