lunedì 23 settembre 2013

la missione cristiana rimane quello che è sempre stata sin dall’inizio. Però adesso deve fare i conti con un mondo scristianizzato, dove il cristianesimo collettivamente assimilato e recepito non parla automaticamente dell’autentica comunione cristiana con il Signore.



Commenta ancora SEQUERI:
"Per noi credenti, religiosi, discepoli attivi, responsabili della missione,
questo paradosso deve invece diventare standard:
la missione comporta la capacità di vivere in forma comunitaria la tipica solitudine del discepolo. Che cos’è questo elemento comunitario,
questa idea della fraternità all’altezza della missione
in un luogo dove fondamentalmente la Chiesa non c’è nella forma a cui noi siamo abituati
– si chiede Madeleine?
E questa è la novità.
Questi sono paesi cristiani e vediamo in essi larghe aree dove
la Chiesa che c’era prima non c’è più.
Non so se possiamo dire:
“Non c’è più la fede, non c’è più il cristianesimo”,
ma di certo non c’è più la Chiesa che c’era prima.
Questo Madeleine dice che lo si vede chiaramente.
Allora per la Chiesa non era così semplice ammetterlo.
Gente come Madeleine Delbrêl percepisce ormai il dovere di interrogarsi su questo fatto:
la missione cristiana rimane quello che è sempre stata sin dall’inizio.
Però adesso deve fare i conti con un mondo scristianizzato,
dove il cristianesimo collettivamente assimilato e recepito
non parla automaticamente dell’autentica comunione cristiana con il Signore.
E’ qui la radice della solitudine.
La solitudine del discepolo, la solitudine del Signore.
L’autenticità dell’evangelizzazione, della testimonianza,
si sposa con la percezione della solitudine,
cioè del non essere compresi immediatamente alla luce di quella differenza,
che restituisce il cristianesimo alla sua genuinità.
Anche quelli che ti vogliono bene,
perché vedono che hai una buona azione sociale,
perché sei bravo con i ragazzi,
perché ti batti anche tu per gli operai,
un po’ di confusione la fanno sempre:
un po’ di contrapposizione fra te e il cristianesimo che conoscono ce la mettono sempre.
Madeleine esprime questa dialettica parlando della necessità ineliminabile
di distinguere sempre fra la “tendenza di alleanza”,
che ci spinge a cercare l’amicizia come grembo dell’annuncio,
e la “tendenza di salvezza”,
che ci stimola ad evitare di adattare l’evangelo sino ad annacquare il tema forte della sua verità a riguardo della riconciliazione con Dio.
La tendenza di alleanza – nota Madeleine -
ci inclina a pareggiare la salvezza, la redenzione dell’uomo, il compimento dell’umano
dentro i limiti dell’alleanza riuscita:
l’amicizia, la simpatia che è suscitata, il convergere verso comuni obiettivi.
E si tratta di una seduzione molto forte,
perché è cosa buona,
perché le verità non vanno contrapposte.
Una Chiesa che proclama la salvezza senza essere fatta
di amici dei figli degli uomini e delle donne,
non solo non è credibile,
ma è estranea al cristianesimo.
Però alla tendenza di alleanza,
va unita la tendenza di salvezza, che invece lascia lo scarto.
Anche in una simpatia umana fa in qualche modo percepire
che c’è dell’altro e che in definitiva ciò che è decisivo,
anche per i legami fra gli esseri umani,
è altrove.
D’altro canto, anche dalla parte dei cristiani fra loro,
Madeleine riconosce che adesso
non abbiamo più la possibilità di vivere nel grembo comunitario al quale eravamo abituati.
Bisogna che impariamo ad interiorizzare
questa idea della comunità fraterna dei discepoli,
per cui i legami ecclesiali
- non solo i legami con gli altri -
là dove si fanno forti, molto fraterni, molto comunitari,
quando incoraggiano a dimenticare la solitudine iscritta nella condizione del discepolo,
sono già diventati un po’ corruttori.
Sono diventati già un cantuccio caldo in cui stare.
Deve rimanere un po’ di spazio nel nostro amore fraterno.
Perché se no anche quello è corruttore."

Nessun commento:

Posta un commento