lunedì 17 febbraio 2014

Vivere la spiritualità dell'attesa è vivere la dimensione contemplativa nella profonda consapevolezza dell'assoluto primato di Dio sulla vita e sulla storia.



Chi, credendo alla promessa di Dio rivelata nella Pasqua, attende il ritorno del Signore e si sforza di vivere nell'orizzonte della speranza che non delude, sperimenta la gioia di sapersi amato, avvolto e custodito dalla Trinità santa. Come le vergini sagge della parabola (cf Mt 25,1-13), egli attende lo Sposo, alimentando l'olio della speranza e della fede con il cibo solido della Parola, del Pane di vita e dello Spirito santo che nella Parola e nel Pane si dona a noi.
Vivere la spiritualità dell'attesa è vivere la dimensione contemplativa nella profonda consapevolezza dell'assoluto primato di Dio sulla vita e sulla storia. Perciò l'atteggiamento spirituale della vigilanza è un continuo riferire al Signore che viene la propria vita e la vicenda umana, nella luce della fede che ci fa camminare da pellegrini verso la patria (cf Eb 11) e ci permette di orientare a essa ogni nostro atto.
Il totale orientamento del cuore a Dio colma la persona della letizia e della pace proprie di chi vive le beatitudini (cf Mt 5,1-11, Lc 6,20-23). Essa non sperimenta naturalmente la beatitudine di chi si sente arrivato, bensì quella umile e fiduciosa di chi, nella povertà e nella sofferenza, nella mitezza e nella sete di giustizia, nella custodia del cuore e nel costruire rapporti di pace, si sa sostenuto dall'amore del Signore che è venuto, viene e tornerà nell'ultimo giorno.
La spiritualità dell'attesa esige quindi povertà di cuore per essere aperti alle sorprese di Dio, ascolto perseverante della sua Parola e del suo Silenzio per lasciarsi guidare da lui docilità e solidarietà con i compagni di viaggio e i testimoni della fede, che Dio ci affianca nel cammino verso la mèta promessa. La vigilanza nutre il senso della Chiesa, nella compagnia della fede e della speranza con quanti camminano con noi verso la celeste Gerusalemme.
Carlo Maria Martini

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