domenica 8 agosto 2010

una legge non esterna, ma che deve maturare come collettivo, come comunità e umanità

La coscienza è un dialogo interiore che guida il nostro cammino. Quando la si interpella sino in fondo, ci si chiede se sia essa stessa che ci parla, o se ci parli invece il nostro gruppo culturale, il nostro ambiente o il nostro gruppo di appartenenza. All’interno di tali gruppi, la scelta secondo coscienza diventa spesso non libera, ma obbligata.
Ad esempio, se sei un laico-umanista ti sembra che devi sempre dire “no” a quello che dicono i credenti; se sei un clericale, sembra che devi sempre dire “no” a quello che dicono i laicisti. Dobbiamo invece avere dentro di noi la possibilità di dire “no” alle imposizioni di questo o quel gruppo, di questa o quella cultura.
La coscienza si forma, matura e si rafforza attraverso il dialogo e i grandi valori umani. Più si dialoga, più valori si condividono, più la coscienza si abitua a capire l’altro, ad averlo dentro di sé, ad acquistare una coscienza sì personale, ma anche universale, che ha in sé le ragioni e le sensibilità dell’altro.
Storicamente vediamo che già in Socrate agisce una coscienza pre-cristiana assolutamente moderna; è il dàimon, la voce interiore per così dire “divina” che ci guida dall’interno, una sorta di istinto sublime.
Ma ciò che sta prima di qualsiasi lettura filosofica o religiosa è la consapevolezza che una azione non la posso fare perché altrimenti danneggerei altre persone.
La libertà di coscienza è la difesa, a costo della propria vita, di un valore umano riconosciuto come assoluto e inalienabile, nei confronti di un’autorità che ti chiede di negarlo.
È emblematico l’episodio evangelico dell’adultera, colpevole, secondo la legge giudaica di allora, di morte per lapidazione. Gesù interroga tutti non per sapere se lei è colpevole, ma per evidenziare se tutti si sentono di condannarla perché, in coscienza, sicuri di essere più innocenti di lei.
È un episodio che mira a cambiare la coscienza tradizionale di quel popolo e a formare una coscienza individuale raffinata dalla comunità. Questo episodio sta alle radici della civiltà occidentale.
Parallelamente, nel richiamo di Chiara Lubich che intravede nell’ascolto della coscienza un possibile Assoluto comune a tutti, credenti o no, c’è l’intuizione di ciò che pensiamo possa essere la radice della nostra civiltà, l’appello ad una legge non esterna, ma che deve maturare come collettivo, come comunità e umanità.
La dittatura sulla coscienza è superata dalla coscienza che può, sia in campo laico umanista che cattolico, decidere liberamente ascoltando la propria voce interiore, personale sì, ma che abbraccia quella degli altri.
Catherine Belzung

Nessun commento:

Posta un commento