lunedì 5 maggio 2014

la prima conferma della verità del vangelo, è interna, e si realizza nei termini di una interiore attestazione dello Spirito nella coscienza degli ascoltatori. Questa conferma è molto più forte di quella dei segni carismatici, in quanto è interiore, mentre il miracolo è sempre un fenomeno esterno.


At 6,8-15 “Non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui Stefano parlava”
Salmo 119 “Beato chi cammina nella legge del Signore”
Gv 6,22-29 “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna”

L’insegnamento delle letture di questa giornata ci riporta alla natura della testimonianza cristiana, nel suo carattere duplice, in quanto Dio conferma la testimonianza del cristiano con la sua. Possiamo parlare in senso proprio di evangelizzazione e di testimonianza cristiana solo quando il Signore opera contemporaneamente ai suoi discepoli, confermando la testimonianza umana coi segni che l’accompagnano. Questo tema viene affrontato dalle letture odierne con la precisazione che, anche quando la testimonianza cristiana e l’evangelizzazione sono autentiche, questo fatto non comporta necessariamente una conversione dei destinatari dell’annuncio. In sostanza, è vero che Dio conferma sempre la parola dei suoi servi, ma tale conferma non costituisce un’imposizione della conversione. Se da un lato è necessario che Dio confermi, con la sua azione potente, la vita e la parola dei suoi servi, perché l’evangelizzazione sia autentica, dall’altro lato, la libertà dei destinatari non ne viene minimamente intaccata.
La figura del diacono Stefano incarna l’ideale dell’evangelizzazione in cui Dio conferma la parola del suo servo, lasciando tuttavia libera la decisione dei destinatari; notiamo subito che il modo in cui il Signore interviene per confermare la parola di Stefano non è in un primo momento di natura carismatica. È vero che la Parola della predicazione può essere accompagnata da segni carismatici, ma non è necessario che essi ci siano: infatti, la conferma divina non si esaurisce nei segni straordinari dello Spirito Santo; anzi, la prima conferma della verità del vangelo, è interna, e si realizza nei termini di una interiore attestazione dello Spirito nella coscienza degli ascoltatori. Questa conferma è molto più forte di quella dei segni carismatici, in quanto è interiore, mentre il miracolo è sempre un fenomeno esterno. Sono in errore coloro i quali ritengono che un segno carismatico forte, possa convincere gli atei dell’esistenza di Dio. Essi dimenticano che dopo la risurrezione di Lazzaro, i farisei deliberarono di uccidere anche lui (cfr. Gv 12,10), e che il ricco epulone, desiderando che i suoi fratelli si convertissero dalla loro vita scioperata, chiese ad Abramo di mandare loro qualcuno dall’aldilà per avvertirli, sentendosi rispondere però: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro. Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti, sarebbero persuasi” (Lc 16,29-31). Questa risposta di Abramo è di estremo interesse, in quanto nega al miracolo una qualche efficacia di convincimento; il segno carismatico, quando c’è, è inevitabilmente esteriore. La forza della verità, invece, si afferma nella coscienza dell’uomo retto, senza alcun appoggio esteriore. Chi non si sente intimamente conquistato dalla forza della verità, difficilmente potrà essere conquistato esteriormente da un evento straordinario, la cui interpretazione potrebbe essere comunque manipolata ad arte. Nell’ipotesi che Abramo avesse acconsentito alla richiesta del ricco epulone, e avesse mandato qualcuno dall’aldilà ad avvertire i suoi fratelli, chi avrebbe potuto scalfire le loro convinzioni materialistiche, nel caso in cui avessero interpretato l’apparizione del defunto Lazzaro, come un’allucinazione o come un sogno a occhi aperti? E in definitiva, a queste condizioni, la visita del defunto dall’aldilà, non avrebbe confermato il loro ateismo, anziché metterlo in crisi?
Don Vincenzo Cuffaro

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