giovedì 8 agosto 2013

ma sono state soprattutto le 'interruzioni' intervenute nella mia vita di ogni giorno a rivelarmi il mistero divino di cui faccio parte.


HENRI  J. M. NOUWEN
Al di là dello specchio
Riflessioni sulla vita e sulla morte
Dal Prologo del libro
Libri e articoli hanno avuto una parte importante nella mia ricerca di Dio, ma sono state soprattutto le 'interruzioni' intervenute nella mia vita di ogni giorno a rivelarmi il mistero divino di cui faccio parte.
Un lungo periodo di solitudine in un monastero trappista che interruppe un'intensa attività didattica, la morte improvvisa di mia madre che interruppe il vincolo più saldo con la mia famiglia, il trovarmi a faccia a faccia con la povertà nell' America Latina che interruppe una vita comoda e borghese nell' America settentrionale, un invito a vivere con persone mentalmente handicappate che interruppe una carriera accademica, la rottura di una profonda amicizia che interruppe una sensazione sempre più forte di sicurezza affettiva - tutti questi avvenimenti mi obbligarono più volte a chiedermi: «Dov' è Dio? Chi è Dio per me?». Erano interruzioni che si presentavano come altrettante possibilità di andare al di là dei modelli normali della vita di ogni giorno e di trovare connessioni più profonde che non le antiche salvaguardie del mio benessere fisico, affettivo e spirituale. Ogni interruzione m'invitava a considerare in modo nuovo la mia identità davanti a Dio. Ogni interruzione mi portava via qualche cosa, ma mi offriva qualcosa di nuovo in compenso. Al di là del successo nell'insegnamento c'era la pace interiore della solitudine e della comunità; al di là del vincolo con mia madre c'era la presenza materna di Dio; al di là delle comodità dell' America settentrionale c'erano i sorrisi dei figli di Dio in Bolivia e in Perù; al di là della carriera accademica c'era la vocazione di 'toccare' Dio in coloro che hanno mente e corpo infermi; al di là di un' amicizia quanto mai fraterna c'era la comunione con un Dio che voleva ogni fibra del mio cuore. Insomma, al di là di una posizione sociale che mi rendeva piacevole la vita, c'erano le molte possibilità di una relazione con il Dio di Abramo e Sara, di Isacco e Rebecca, di Giacobbe, Lea e Rachele: col Padre di Gesù che si chiama Amore.
Tutte queste interruzioni che m'invitavano ad andare oltre mi costringevano a scrivere. Anzitutto, per il semplice motivo che lo scrivere mi sembrava l'unico modo che avessi per non scoraggiarmi nelle mie interruzioni, spaventose e spesso disastrose, e per non separarmi dalla mia più intima personalità quando mi trasferivo da luoghi noti a luoghi ignoti. Scrivendo, mi era più facile restare uri po' più raccolto in mezzo al tumulto che mi frastornava e discernere meglio la voce soave dello Spirito di Dio, guida sicura in mezzo alla cacofonia di voci che mi distoglievano dalla retta via. C'era però anche un secondo motivo. In un certo senso ero convinto che scrivendo potevo far emergere qualcosa di valore perenne dalle sofferenze e paure della mia povera, effimera vita. Ogni volta che la vita mi chiedeva di fare un altro passo avanti in un territorio spirituale sconosciuto, sentivo una forte spinta interiore di dirlo agli altri - forse per un bisogno di compagnia, ma forse anche perché sono consapevole che la mia vocazione più profonda è di testimoniare la grazia che Dio mi ha fatto di poterlo intravedere fin da questa vita.

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