venerdì 21 marzo 2014

15° giorno Questa parabola si conclude poi con l’espulsione dei vignaioli (cioè della classe dirigente) dalla loro posizione e il passaggio dell’affidamento della vigna (cioè il popolo di Dio) ad altri. Anche qui è in gioco il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, ma è anche una descrizione del giudizio di Dio che raggiungerà, all’interno stesso della vita della Chiesa, tutti coloro i quali, soprattutto pastori, non avranno avuto verso la Chiesa di Dio quella sollecitudine che Dio si aspetta, mutando il proprio ministero in un posto di comando, passando da amministratori a padroni, e operando in tal modo una sostituzione di Cristo con se stessi. Il Figlio viene insomma buttato fuori dalla vigna che gli appartiene. In questa linea ci sembra di potere leggere la prospettiva ecclesiale della parabola. Cosa significa avere rifiutato l’ultimo inviato? A livello comunitario può significare forse la costituzione di una pastorale senza Cristo; forse la riduzione dell’attività della Chiesa ad una progettazione assistenziale, abbassando il livello delle mete dall’esperienza proiettata verso il Regno di Dio al semplice sociologismo assistenziale. Buttare fuori il Figlio dalla vigna, per la comunità cristiana può significare impiantare una pastorale senza di Lui, sostituirsi a Lui progettando a tavolino la “propria” pastorale e non nel discernimento comunitario o prescindendo dalla comunione ecclesiale. Anche a livello individuale è possibile respingere fuori dalla vigna l’ultimo inviato, e qui le manifestazioni potrebbero essere molte, come la ricerca di un ministero per innalzare se stessi, afferrando l’eredità al posto dell’erede appropriandosi dei doni di Dio, con tutte le conseguenze di protagonismo che ciò comporta; quest’ultimo inviato, dopo essere stato ucciso in quel lontano Venerdì Santo, non può più morire fisicamente, ma può essere ucciso nei nostri cuori in molte maniere sofisticate e sottili, ed è appunto dietro queste maniere che si nasconde una nuova e diversa crocifissione del Figlio di Dio, che durerà finché dura la storia.


 Questa parabola si conclude poi con l’espulsione dei vignaioli (cioè della classe dirigente) dalla loro posizione e il passaggio dell’affidamento della vigna (cioè il popolo di Dio) ad altri. Anche qui è in gioco il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, ma è anche una descrizione del giudizio di Dio che raggiungerà, all’interno stesso della vita della Chiesa, tutti coloro i quali, soprattutto pastori, non avranno avuto verso la Chiesa di Dio quella sollecitudine che Dio si aspetta, mutando il proprio ministero in un posto di comando, passando da amministratori a padroni, e operando in tal modo una sostituzione di Cristo con se stessi. Il Figlio viene insomma buttato fuori dalla vigna che gli appartiene.
In questa linea ci sembra di potere leggere la prospettiva ecclesiale della parabola. Cosa significa avere rifiutato l’ultimo inviato? A livello comunitario può significare forse la costituzione di una pastorale senza Cristo; forse la riduzione dell’attività della Chiesa ad una progettazione assistenziale, abbassando il livello delle mete dall’esperienza proiettata verso il Regno di Dio al semplice sociologismo assistenziale. c Anche a livello individuale è possibile respingere fuori dalla vigna l’ultimo inviato, e qui le manifestazioni potrebbero essere molte, come la ricerca di un ministero per innalzare se stessi, afferrando l’eredità al posto dell’erede appropriandosi dei doni di Dio, con tutte le conseguenze di protagonismo che ciò comporta; quest’ultimo inviato, dopo essere stato ucciso in quel lontano Venerdì Santo, non può più morire fisicamente, ma può essere ucciso nei nostri cuori in molte maniere sofisticate e sottili, ed è appunto dietro queste maniere che si nasconde una nuova e diversa crocifissione del Figlio di Dio, che durerà finché dura la storia.  
Don Vincenzo Cuffaro

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