lunedì 24 febbraio 2014

ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde


Stile contemplativo e vigilanza sono accomunati dal silenzio,
poiché solo nel silenzio ci si può accorgere di Colui che sta alla porta e bussa.
Scrivevo infatti nella mia prima Lettera:
"L'uomo nuovo,
come il Signore Gesù che all'alba saliva solitario sulle cime dei monti (cf Mc 1,3; Lc 4,42; 6,12, 9,28),
aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante,
dove sia possibile tendere l'orecchio e
percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre.
Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni di clamori,
che assordano il nostro giorno
e perfino la nostra notte;
ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde" (La dimensione contemplativa della vita, p. 21).
Anche Martin Heidegger, il grande filosofo contemporaneo,
ha indicato il silenzio come condizione essenziale dell'ascolto
e quindi della vigilanza:
"Nel corso di una conversazione, chi tace può 'far capire',
cioè promuovere la comprensione più autenticamente di chi non finisce mai di parlare... Tacere non significa però essere muto...
Solo il vero discorso rende possibile il silenzio autentico.
Per poter tacere l'uomo deve avere qualcosa da dire,
deve cioè poter contare su una apertura di se stesso ampia e autentica. In tal caso, il silenzio rivela e mette a tacere la 'chiacchiera"' (13).
E, sempre nella dimensione contemplativa della vita, ricordavo una significativa espressione di Clemente Rebora riguardante la sua conversione:
"La Parola zittì chiacchiere mie" (p. 20).

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