giovedì 3 aprile 2014

26° giorno Malgrado Dio non abbia bisogno di alcuno che lo aiuti a governare il mondo, tuttavia, il fatto di intercedere per l’umanità peccatrice, ha una grande forza, perché anche per la preghiera di un solo uomo Dio può fare grazia a tutti, come nel caso di Abramo


 I due brani biblici si collegano in ragione della figura di Mosè, che è il punto di contatto esplicito tra le due letture odierne. Questa figura assume due atteggiamenti diversi nelle due letture: nel testo del libro dell’Esodo, Mosè si presenta come un intercessore, chiedendo perdono a Dio dei peccati del suo popolo; ma nel testo giovanneo la figura di Mosè è ben diversa. Nelle parole di Cristo egli è infatti descritto non più come un intercessore, ma come un accusatore: “Non crediate che sia Io ad accusarvi davanti al Padre; c’è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza” (v. 45). Questa trasformazione dell’atteggiamento di Mosè è altamente significativa per indicare la differenza delle fasi della storia della salvezza e per indicare al tempo stesso la gravità del rifiuto di Cristo, che non ha paragoni nelle sue conseguenze: nei vangeli sinottici è detto infatti che il peccato contro lo Spirito non può essere perdonato né in questo mondo, né nell’altro (cfr. Mc 3,28-30). La figura di Mosè da intercessore che storna l’ira di Dio, nel contesto del cammino nel deserto, e in concomitanza con il peccato del vitello d’oro che stimola la giustizia di Dio a intervenire, si muta in quella di accusatore dopo la venuta di Cristo, avendo Israele rifiutato il suo Messia, ovvero l’ultima rivelazione dell’amore di Dio, realizzatasi sulla croce. Ormai non ci sono più giustificazioni dinanzi a Dio per avere rifiutato il Messia, dopo averlo conosciuto come l’unica possibilità per l’uomo di essere salvo. Infatti, nei vangeli sinottici, l’invio del Figlio, come in particolare si vede nella parabola dei vignaioli omicidi, rappresenta l’ultima possibilità: Dio, dopo avere inviato i suoi servi, per ultimo invia il suo Figlio. L’incontro con Lui rappresenta perciò l’ultima possibilità di salvezza. Nel testo del libro dell’Esodo, la figura di Mosè personifica anche un insegnamento fondamentale sulla preghiera di intercessione: la giustizia di Dio non può sorvolare il peccato dell’umanità, né può fingere di non udire il lamento degli oppressi sotto il giogo dei loro oppressori; tuttavia, Dio rimane in attesa che qualcuno gli fermi la mano e forzi la sua Misericordia a prevalere sulla sua Giustizia. Da questo punto di vista, Mosè si presenta davanti a Dio come un avvocato difensore dell’umanità peccatrice, in contrasto con l’inclinazione naturale del cuore umano, che invece tende molto più facilmente a prendere le difese della giustizia di Dio contro il peccato dell’umanità. Del resto, nel libro di Giobbe, i tre amici che vanno a trovarlo nel tempo della sua malattia, assumono esattamente questa posizione, che alla fine del libro sarà smentita da Dio e giudicata stolta (cfr Gb 42,7-8): essi si mettono davanti a Dio per accusare Giobbe e davanti a Giobbe per giustificare l’azione di Dio, che, se lo ha afflitto con la sofferenza, è perché certo ha i suoi buoni motivi per castigarlo. Malgrado Dio non abbia bisogno di alcuno che lo aiuti a governare il mondo, tuttavia, il fatto di intercedere per l’umanità peccatrice, ha una grande forza, perché anche per la preghiera di un solo uomo Dio può fare grazia a tutti, come nel caso di Abramo: in forza della sua intercessione, il Signore avrebbe fatto grazia ad una città intera.
Don Vincenzo Cuffaro

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