venerdì 4 aprile 2014

27° giorno l’atteggiamento degli empi sottolinea in diversi modi che il giusto viene perseguitato e ucciso per il fatto di essere giusto. Proprio la sua giustizia personale è l’unico motivo che lo rende insopportabile a coloro che vivono empiamente. Da qui la loro gratuita ostilità.


 Il libro della Sapienza ha anche un secondo livello di lettura: il primo livello è quello già chiarito della profezia allusiva circa il destino di Cristo, ossia un evento circoscritto nel tempo e nello spazio, mentre il secondo livello esprime una verità perenne che accompagna l’esperienza cristiana, quando essa diventa autentica: il mistero di una opposizione e di una ostilità, talvolta esplicite e talaltra implicite, che accompagnano i passi dei servi di Dio, insidiando il loro cammino. Il testo della Sapienza è senza dubbio un punto di arrivo nella riflessione sapienziale ebraica; i testi più antichi, come il libro dei Proverbi o alcune sezioni del libro di Giobbe, pensavano che all’uomo giusto non può accadere nulla di male, dal momento che la benedizione di Dio lo protegge come uno scudo. Questa concezione, però, viene smentita dalla riflessione del Qoelet, il quale afferma che l’uomo, anche se vive da giusto, non può scansare l’incontro spiacevole e misterioso con la sofferenza. Nel libro della Sapienza, composto circa duecento anni dopo (50 a. C.), questa prospettiva diventa ben più radicale: l’atteggiamento degli empi sottolinea in diversi modi che il giusto viene perseguitato e ucciso per il fatto di essere giusto. Proprio la sua giustizia personale è l’unico motivo che lo rende insopportabile a coloro che vivono empiamente. Da qui la loro gratuita ostilità.
C’è poi un punto del testo della Sapienza che rappresenta una novità assoluta nel quadro dell’AT, ed è la considerazione di un salario per la santità oltre questa vita. Infatti, nell’AT, in linea di massima, la speranza della divina ricompensa si racchiude nella felicità sperimentabile nel mondo. Il testo odierno si conclude significativamente in questi termini: “Gli empi non sperano salario per la santità né credono alla ricompensa delle anime pure” (v. 22); non ci può sfuggire il fatto che il libro della Sapienza tocchi qui un punto vicinissimo alla speranza cristiana: non tutte le pendenze e le ingiustizie di questo mondo vengono retribuite da Dio nell’arco della vita terrena. Né tutte le virtù, del resto, hanno la loro retribuzione in questa vita. Infatti, mentre gli empi non sperano salario per la santità, perché il loro orizzonte si chiude con questa vita, l’atteggiamento autenticamente cristiano è diverso, capace di sperare ogni bene oltre la soglia della morte.
Don Vincenzo Cuffaro

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