domenica 13 aprile 2014

il servo di Dio è un discepolo, un uomo che ogni mattina si pone in ascolto come fanno gli iniziati


Il brano della prima lettura apre la liturgia odierna con una descrizione profetica del Messia. L’analogia più importante e significativa per la vita cristiana, 
tra il racconto di Isaia e la Passione di Cristo, 
è la disposizione del discepolato, 
che in entrambi i testi, fonda e conferisce valore alla sofferenza. 
Il testo di Isaia, infatti, pone l’accento sulla disposizione di discepolato che infonde significato e valore a qualunque forma di sofferenza che l’uomo possa sperimentare nell’ordine fisico o morale: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, 
perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. 
Ogni mattina fa attento il mio orecchio 
perché io ascolti come i discepoli” (vv. 4-5). 
Il riferimento all’apertura dell’orecchio, 
intesa come la capacità di ascoltare la parola di Dio tipica dei discepoli, viene premessa dall’autore alla descrizione dei dolori del servo di Yahweh. 
In primo luogo, il servo di Dio è un discepolo, un uomo che ogni mattina si pone in ascolto come fanno gli iniziati e, solo successivamente, in forza della sua capacità di ascolto che lo costituisce discepolo, egli può presentare: “il […] dorso ai flagellatori”, può consegnare “la faccia agli insulti e agli sputi” (v. 6), senza tuttavia rimanere confuso: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato […] sapendo di non restare confuso” (v. 7). 
Dietro questa espressione: “sapendo di non restare confuso”, 
l’autore intende indicare il significato positivo della sofferenza del servo di Yahweh, laddove nell’AT la percezione dell’essere confusi, 
la perdita dell’orientamento è la caratteristica degli empi, di coloro che impostano la vita a sistema chiuso vivendo in maniera difforme al vangelo. 
Nonostante il colpo del flagello, gli insulti e gli sputi, l’uomo che vive nella fedeltà quotidiana alla parola di Dio, rimane fermo, incrollabile contro qualunque urto. 
Il libro dell’Apocalisse esprimerà la stessa verità in altri termini: erroneamente crediamo di essere noi i custodi della parola di Dio, 
ma è la Parola a custodire noi (cfr. Ap 22,7; Sap 6,10), dal momento che Dio è presente in Essa in modo vivo ed attuale, così come lo è nell’Eucaristia. 
Quando si entra nel discepolato e si osserva la parola di Dio, Essa si pone come scudo contro ogni male che colpisce il discepolo, rendendolo capace di restare in piedi, quando tutto intorno a lui sta crollando. 
Il discepolato autentico, l’ascolto quotidiano e non sporadico, meno che mai un ascolto compiuto una volta per tutte, 
permette a qualunque esperienza di dolore di acquistare un risvolto di luce. 
Ogni sofferenza conseguente al discepolato diventa preziosa agli occhi di Dio e fiorisce in una nuova realtà, diventa la forza di fecondità che si estende misteriosamente, per la via della grazia, nell’intero corpo della Chiesa risanando, guarendo le sue ferite, sostenendola nelle sue lotte e nelle sue prove.
Don Vincenzo Cuffaro

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