sabato 25 gennaio 2014

Queste forme appaiono talora caratterizzate dalla esaltazione "sperimentalistica" della religione, che incoraggia a privilegiarne l'uso eccitante e anestetico.


L'impulso a fuggire il tempo che passa è quindi forte.
Radicata nella sfera più profonda della nostra coscienza,
l'angoscia della fine emerge nei luoghi più impensati,
perfino all'interno della coscienza religiosamente orientata.
Sorge addirittura il sospetto
che alcune forme delle cosiddette "nuove religiosità"
siano obiettivamente omogenee con l'accentuata fuga dalla libertà
che viene descritta come tipica del nostro tempo.
Queste forme appaiono talora caratterizzate dalla esaltazione "sperimentalistica" della religione, che incoraggia a privilegiarne l'uso eccitante e anestetico.
Spesso sono collegate a un precipitoso azzeramento "escatologico" della storia, che sequestra gli adepti da ogni responsabilità della vita presente. In realtà non c'è un vero esercizio della vigilanza, cioè della capacità di raccogliere la provocazione del tempo, che induce l'uomo al cimento della libertà. Dio non lo si incontra nella fuga dalla libertà o nell'ossessione della fine, e neppure l'uomo.
[7] C'è però un altro modo di affrontare il problema. Tra l'illusione di possedere il tempo e la disperazione per il suo venirci meno sta un atteggiamento completamente diverso, evocato con il termine vigilare.

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