martedì 29 aprile 2014

è lo Spirito che unisce e che crea un canale di comunicazione invisibile ed interiore; per questo le parole diventano efficaci, e la comprensione profonda diventa finalmente possibile.


Il contrasto, risolto dalla fede, si gioca tra la moltitudine e l’unità: “pur essendo molti - dirà l’apostolo Paolo - siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5). Gli Atti, anche prima di questo capitolo, hanno posto l’accento sul fatto che la novità della rinascita consiste in una umanità che ritrova la sua unità profonda. Il capitolo 2 degli Atti è in un certo modo parallelo al capitolo 4; nel capitolo 2, dove si narra l’evento della Pentecoste, accade che l’annuncio di Pietro, sebbene formulato nella sua lingua madre (l’aramaico) è compreso da tutti e da ciascuno nella propria lingua. Aldilà del carisma della glossolalia, tutto questo dimostra come nei processi della comunicazione umana noi non ci comprendiamo reciprocamente per il fatto d’esprimerci in una lingua nella quale usiamo tutti le stesse parole. L’intesa e la comprensione non derivano da questo: è lo spirito delle parole, lo spirito nel quale sono pronunciate le parole, ciò che ci permette di comprenderci o di rimanere stranieri usando le stesse parole. Il fatto di utilizzare un vocabolario comune non è garanzia di comprensione e d’intesa reciproca, tanto è vero che, alla presenza di linguaggi diversi, nel giorno di Pentecoste tutti comprendono: è lo Spirito che unisce e che crea un canale di comunicazione invisibile ed interiore; per questo le parole diventano efficaci, e la comprensione profonda diventa finalmente possibile.
Don Vincenzo Cuffaro

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