lunedì 26 maggio 2014

Questa tendenza naturale del nostro cuore, lesionato dal peccato, si acuisce quando non si vede raggiunto un obiettivo a cui si teneva.


At 16,22-34 “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”
Paolo e Sila in questa città sono stati trattati dunque come dei malfattori, bastonati e gettati in prigione. In questo genere di cose l’inclinazione umana più naturale è quella del ripiegamento, con le solite frasi che esso suggerisce: “Abbiamo fallito! Dio ci ha messo nelle mani dei nostri nemici. Ma perché proprio a noi? Che gli abbiamo fatto?”. E così via dicendo. È proprio qui che il peccato originale ci ha colpiti. Il peccato originale ha provocato in noi un continuo ritorno del nostro pensiero su noi stessi, un ritorno che diventa ancora più marcato quando veniamo colpiti da circostanze che non avremmo gradito, o da sofferenze o incomprensioni inaspettate. Questa tendenza naturale del nostro cuore, lesionato dal peccato, si acuisce quando non si vede raggiunto un obiettivo a cui si teneva. Al v. 25 l’atteggiamento degli Apostoli Paolo e Sila dimostra come dinanzi agli aspetti negativi della vita, e dinanzi al mistero della divina pedagogia, l’atto più genuinamente cristiano è la lode! La lode, nel suo slancio verticale e nella sua tendenza ad innalzarsi verso l’alto, spezza questa micidiale inclinazione di ricaduta verso il basso, cioè verso se stessi, che raggomitola l’io umano e lo fa sprofondare nel pessimismo e nel senso d’inutilità. Su questi sentimenti, poi, Satana può fare quello che vuole. Quando l’uomo sprofonda nel pessimismo e nell’inerzia, che sono i ceppi del ripiegamento, Satana ha già vinto. La lode dunque, per questo suo verticalismo, spezza il pensiero umano nel punto in cui esso sta per tornare verso se stesso e lo innalza invece verso Dio. Questa è la condizione perché Dio possa intervenire con la sua potenza di liberazione. Infatti, nella condizione del ripiegamento non rimane neanche un millimetro di apertura all’intervento di Dio; nel pessimismo generato dal ripiegamento, la persona ha già giudicato di essere finita, sostituendo il proprio giudizio a quello di Dio, che invece vorrebbe offrire nuove possibilità di rinascita. Paolo e Sila sono alieni da qualunque forma di autocommiserazione, e nella loro sventura lodano Dio: “Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti” (vv. 25-26). 
Don Vincenzo Cuffaro

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