domenica 25 maggio 2014

Uno dei segni della propria estraneità o della propria familiarità con Dio è appunto l’atteggiamento verso la Parola e coloro che l’annunciano


At 16,22-34 “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”

Il tema centrale della liturgia della Parola di questa giornata, può essere identificato con il mistero pasquale, in cui l’azione dello Spirito Santo trova uno spazio proprio in quelle cose che l’uomo percepisce come privazioni o come mortificazioni. Gli Atti degli Apostoli narrano un episodio accaduto a Paolo e Sila nella città di Filippi, dove, come sappiamo dalla lettera ai Filippesi, vi era una comunità cristiana fiorente e motivata, ma che viveva in un ambiente ostile, come si legge al v. 22 della prima lettura odierna: “In quei giorni, la folla degli abitanti di Filippi insorse contro Paolo e Sila”. Ci troviamo di nuovo dinanzi al mistero del rifiuto della Parola Dio, nel rifiuto dei suoi portatori; infatti, rifiutare gli annunciatori della Parola di Dio, equivale a rifiutare Dio! Uno dei segni della propria estraneità o della propria familiarità con Dio è appunto l’atteggiamento verso la Parola e coloro che l’annunciano. Qui, a differenza dell’atteggiamento d’apertura di Lidia alle parole di Paolo, si verifica il contrario: l’indurimento e il rifiuto violento: “i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi” (vv. 22-24). 

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